I TEMPI, ALESSANDRO, I TEMPI
Una famosa battuta di una commedia che fece epoca negli anni Sessanta dice: «I tempi, Ric, i tempi». Scorrendo il programma della Sala Umberto, che il patron Alessandro Longobardi ha presentato martedì 28, di fronte a una platea gremita, quella frase m’è tornata alla mente come un avvertimento; quasi come un’allerta che richiamasse l’attenzione a cercare di individuare, al di là delle parole dette sul palco, la logica della composizione della prossima stagione. L’antica sala di via della Mercede gode di una nobile storia teatrale: lì si esibirono i più eccelsi artisti dell’avanspettacolo e del varietà. I nomi di quei protagonisti oggi sono ben leggibili lungo il corridoio che dall’atrio raggiunge la platea. Dopo gli splendori del periodo d’oro ci fu un immancabile declino: soprattutto quando al sipario si preferì il grande schermo e la Sala fu declassata prima a cinema di seconda visione, poi addirittura alle proiezioni a luci rosse. Infine nel 1981, grazie all’intervento dell’Eti, resuscitò come teatro del centro salottiero della Capitale. In questi ultimi anni, con la scomparsa di molti altri importanti teatri romani, ha avuto l’occasione di poter fare il salto di qualità e imporsi con proposte raffinate, d’élite, potendo finalmente ospitare compagnie di prestigio rimaste orfane delle solite sedi. Tuttavia, a leggere il programma presentato – che conta ben 29 titoli – sembra che si sia fatto un passo indietro. E appare evidente che un certo timore abbia preso il sopravvento.