LA MAFIA È UN’ORGANIZZAZIONE PIRAMIDALE, COME L’ARANCINO!
La mafia in Sicilia non è soltanto una Cosa nostra come quella di Riina, Provenzano e Buscetta ma è anche una cosa nostra di famiglia; ossia la quotidiana cosa di nonna Pia che usa contro nonno Totò. Nel monologo presentato allo Spazio Diamante, scritto a sei mani da Tommaso D’Alia, Giovanna Malaponti e (per la parte musicale) Valerio Castriziani, il quadretto d’apertura siciliano è tipico di una realtà ancora opacizzata dai luoghi comuni: volutamente comuni e cantati in veloce e ossessivo scioglilingua tipico di alcune tarantelle settecentesche. I due individui, apparentemente loschi, sembrano due sicari della malavita, invece, sono due bravi picciotti incapaci di far del male a una mosca, ma capacissimi di osservare fatti e persone e di saper leggere chiaramente nel volume del contegno riservato della loro terra. A narrare li cunti è Tommaso, perché il maestro Castriziani è troppo impegnato a commentare con i suoni della sua chitarra (e non solo) le parole del compagno menestrello, ma anche un po’ cronista.
Futti futtitinni ma non ti fari futtiri s’è detto già un monologo, ma la definizione non è esatta: il racconto della mafia vera e di quell’altra che Tommaso ha respirato in casa dei nonni viene continuamente spezzato dagli interventi diretti sul pubblico e dai duetti col maestro, a volte soltanto un veloce scambio di battute e di sguardi, che interrompono il soliloquio per ravvivarlo con i colori più vivaci del dialogo. Si parla di pistole e di perdono, di santini e di droga, e con Punta Raisi e Giovanni Falcone si ricorda il momento più buio della lotta a Cosa nostra, un’organizzazione piramidale, come la costituzione dell’arancino. Tra il matriarcato spietato di nonna Pia e l’amorevole sottomissione di nonno Totò, incombe l’ombra dell’altro Totò: un Riina che non viene mai nominato perché tutti lo conoscono, e perché il silenzio nei suoi confronti resta, nel dizionario della malavita, un atto di riguardo e mai di dimenticanza. Il peggior male non s’abbandona all’oblio, anche se resta crocifisso e occulto tra le quinte di sinistra sconvolte dall’onda d’urto di un misterioso attentato dinamitardo. La serietà del male di quella Sicilia criminale, Tommaso l’ha lasciato nascosto lì dietro, dove la vista degli spettatori non può che vederne soltanto l’effetto catastrofico, preferendo portare in scena il lato grottesco della mafia, accostandolo appunto all’atteggiamento che ha riscontrato sin da bambino anche nel rapporto burrascoso tra i suoi avi.
Foto: Valerio Castriziani e Tommaso D’Alia (© Paolo Porto)
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