UN «PASTICCIACCIO BRUTTO» FIGLIO DEL NOSTRO TEMPO
Ivan Cotroneo, che sa scrivere per il palcoscenico come pochi altri autori contemporanei, sceglie per La denuncia un tema attualissimo e scottante, ossia l’inganno, quello peggiore, strettamente legato al ricatto e alla consapevolezza di poter approfittare dell’immediata protezione sociale che una donna, per di più minorenne, gode nei confronti di un adulto. Un tipico «pasticciaccio brutto» figlio del nostro tempo. All’inizio sembra di assistere a un autentico processo: imputato e parte lesa sono di fronte al giudice più severo, il pubblico, ossia il popolo, colui che oggi, grazie ai social, emette sentenze drastiche senza conoscere né cause né effetti, senza prove e talvolta senza nemmeno accuse appropriate. Eppure al tribunale di massa è sufficiente il presagio di un indizio per mandare al rogo immediatamente il presunto autore di una presunta violenza. In questi anni sono accadute tante – troppe – violenze di genere e giustamente i carnefici vanno individuati e puniti, ma – si chiede evidentemente Cotroneo – tutti i casi di violenza denunciati alle autorità sono davvero frutto di una realtà tanto agghiacciante, oppure ci sono episodi che dovrebbero essere osservati con maggior attenzione e scevri da pregiudizi?
Astutamente l’autore, per mettersi al riparo dall’orda funesta del coro misandrico, sceglie quali protagoniste dell’ipotetico reato due donne, una adulta l’altra minorenne, un’insegnante (interpretata da una magnifica Marta Pizzigallo) e la sua allieva (Elisabetta Mirra). Per una volta il maschio cattivo non appare tra gli indiziati. Tuttavia, in scena è riproposto ugualmente un rapporto costituito da una persona che ricopre un ruolo di potere e da un’altra che invece rappresenta il più debole. Si capisce presto che le indagini sono portate avanti dalla dirigente scolastica e non da un pubblico ministero, ma le risposte delle due donne fanno comprendere che ci potranno essere conseguenze ben più gravi. È la studentessa che ha lanciato l’allarme. Un incontro fuori orario in aula con la prof, senza testimoni, un braccio arrossato e una brutta storia da denunciare. Di fronte alle parole della ragazza che accusa la donna di molestie sessuali, la fiducia nei confronti dell’insegnante crolla immediatamente. A suo discapito, il fatto che non sia regolarmente sposata (un grave pregiudizio!), una scritta sulla parete del bagno che la dichiara lesbica (altro elemento accusatorio fondamentale!), e una vicenda personale che influenza negativamente il giudizio della dirigente. Sono queste le prove di una violenza? Bastano tali irrisori elementi per giudicare severamente una persona?
Il secondo quadro si apre sull’incontro avvenuto in classe, mostrando come effettivamente si siano svolti i fatti. Si intuisce quanto a volte riescano ad essere smaliziati i (cosiddetti) più deboli che approfittano della loro insospettabilità, della loro ingannevole innocenza per ricattare, ottenere, e mettere nei guai gente onesta e innocente. Se agli uomini, per essere colpevoli, basta soltanto appartenere al genere maschile, alle donne occorre la discriminazione dell’orientamento sessuale: il giudizio del popolo non cambia! Viviamo in un mondo in cui, troppo spesso, si pensa e si agisce per quel che si dice in giro, le chiacchiere da bar valgono più della realtà dei fatti. Ed ecco che la vera denuncia Cotroneo la rivolge a tutti noi, a quel che siamo diventati: suscettibili a qualunque vanità, ormai pronta a influenzare giudizi e pensieri di ciascuno. Ci sono certamente, e purtroppo, tanti casi in cui la violenza è un reato da perseguire e casi in cui un altro tipo di «violenza» diventa sinonimo di ricatto o di capriccio, talvolta addirittura di sogno.
Foto: Marta Pizzigallo ed Elisabetta Mirra (© Manuela Giusto)