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03 dicembre 2025

«Metadietro» di Flavia Mastrella e Antonio Rezza

Daniele Cavaioli e Antonio Rezza (© Flavia Mastrella)

Roma, Teatro Vascello
2 dicembre 2025

IMMIGRAZIONE: «BENEDETTO COLUI CHE VIENE, A PATTO CHE QUALCUNO SE NE VA»

In una pausa, tra la frenetica valanga di battute, allusioni, iperboli e assurdità, dalla platea qualcuno intona un «Bravo» con timbro tenorile, fermo e robusto. Antonio Rezza immediatamente ribatte con decisione: «Lo so», prima di raggiungere l’uscita in quinta, dove viene aiutato a indossare velocemente un’attrezzatura d’astronauta per la successiva piroetta comica. Eppure, non appagato, durante il travestimento, portando bene la voce, aggiunge: «Secondo te, aspettavo te stasera per scoprirlo!» Non c’è nulla di male che un artista sia cosciente della sua bravura: ci sono attori che hanno la necessità di sentirsi bravi per andare in scena con la giusta determinazione; altri che ne possono fare a meno; i più insicuri possono risultare i migliori e viceversa. Non ci sono regole, né, per fortuna, si pagano sovrattasse (per ora) sul talento e nemmeno sull’esibizione del talento, autentico o presunto che sia. Ma quell’ostentazione urlata da fuori palco, come a riempire un vuoto scenico, m’è parsa o finta o di cattivo gusto. O entrambe le cose.

La ridondanza di un vizio o di una virtù, dal palco, non si sposa mai con il mestiere di teatranti. Attori, anche rinomati che prima di iniziare lo spettacolo bevono un bicchiere di troppo per recuperare sicurezza, per esempio, ne abbiamo visti, ma quel goccio, recitando, spesso si moltiplica a ogni parola, diventando una bottiglia in più, talvolta anche due. L’amplificazione del palcoscenico sintonizzata sul piccolo gesto di una mano, di un dito, oppure sull’impercettibile lamento o su un sussurro, trasferita su movimenti ampi e toni enfatici diventa assordante. E più ancora se il contesto non è intonato alla scena. In questo caso il commento di Rezza aggiunto – a tempo ormai scaduto – in risposta allo spettatore (o alla spalla seduta in platea: il dubbio resta, per via di quel vuoto), ha creato una frattura tra quel che stavamo assistendo e la tangibile mancanza di tatto nei confronti di chi, comunque, è disposto ad applaudire. Frattura che ha leso l’equilibrio della follia di questo Metadietro: perché in teatro anche le follie devono rispettare pause e silenzi. 

Ma tutto questo, signori miei, con Antonio Rezza diventa preistorica e noiosa teoria moralistica: egli ha perfettamente ragione a essere irriverente con il suo pubblico, perché il suo pubblico, nell’insolenza, si sente a proprio agio e ride e applaude e va in brodo di giuggiole. Lo scorso anno, vedendo Bahamuth, scrissi che era uno spettacolo «pericoloso non per quel che si è visto in palcoscenico, ma per le reazioni del pubblico: per come è stato facile al protagonista dirigere le emozioni degli spettatori e plasmarne il pensiero». Ebbene, ne ho avuto la conferma: alla platea, gremita fino all’ultimo posto, il mattatore, stavolta, ha riservato una bella dose di epiteti che riguardano il grado di ignoranza raggiunto, il livello di ipocrisia svelato durante una collaborazione scenica dell’intera prima fila di spettatori chiamati ad affollare la ribalta. D’altronde se la gente ormai ride a crepapelle trastullandosi con gli imbarazzanti video rintracciati sul cellulare, ben vengano le risate con Antonio Rezza, che almeno l’altra sera si divertiva – e faceva divertire – argomentando con la solita impertinenza le tragedie del nostro tempo: dalla fratellanza caduta in ribasso al bluff del patriarcato, dalle centinaia di morti nel mondo (compresi bambini e neonati) fino all’immigrazione e alla Palestina; e tanto altro. Dopo un naufragio sulla spiaggia di Maccarese, dove le sdraio più richieste sono quelle «con vista sui cadaveri», si vola sulla luna per cercare, tra le altre cose, «un dialogo con i russi»: sembra notizia dell’ultima ora!

Tuttavia il mondo scenico di Rezza non è così sgradevole come sembra venir fuori dalla cronaca della serata: la maniera eccessiva con cui porta avanti il monologo – anche se in scena c’è un collaboratore (Daniele Cavaioli) totalmente fuori sincrono (per esigenze artistiche) nei movimenti, nei ritmi e nei toni – rende coerente il peggio (anche la bandiera oltraggiata dagli escrementi) con il nulla (naturalmente è un nulla euforico camuffato da iperbole) per cui il pubblico si scompiscia a singhiozzi, stordito com’è da precetti profani che sfiorano il sacro, anche sull’immigrazione: «Benedetto colui che viene, a patto che qualcuno se ne va: non è un problema razziale, ma spaziale». Quella di Rezza è una comicità sempre più grintosa, ed egli con la grinta graffia l’umanità e l’attualità. È una comicità indecente perché umanità e attualità sono indecenti. Rezza batte e ribatte il tasto dell’irriverenza che si riflette in uno specchio in cui la meta si trova inevitabilmente dietro le nostre spalle. (fn)
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Metadietro, di Flavia Mastrella e Antonio Rezza, (mai) scritto da Antonio Rezza. Con Antonio Rezza e Daniele Cavaioli. Habitat, Flavia Mastrella. Voci fuori campo Noemi Pirastru e Mauro Ranucci.  Luci, Alice Mollica. Produzione: La fabbrica dell'Attore (Teatro Vascello) - Rezza Mastrella. Al teatro Vascello, fino all'11 gennaio

Con microfoni

Foto: Daniele Cavaioli e Antonio Rezza (© Flavia Mastrella)