03 novembre 2025

«La matematica dell’amore», di A. Bennicelli (regia, E. M. Lamanna)

«La matematica dell’amore», di A. Bennicelli (regia, E. M. Lamanna)

Roma, Teatro Golden
2 novembre 2025

TRA TOM E GERRY I NUMERI NON SERVONO

Al termine dello spettacolo, Michele La Ginestra ha preso la parola per intrattenere, ancora un po’, il pubblico in sala. Oggi è diventata un’abitudine interrompere gli applausi per prolungare amichevolmente il rapporto con gli spettatori con pretesti non sempre attinenti al teatro. Invece, stavolta la questione centrale era più che pertinente: nonostante fosse appena conclusa l’ultima replica romana, l’attore ha sentito la necessità di spiegare che, quando all’inizio si invita «il gentile pubblico a spegnere i cellulari», questi dovrebbero essere davvero spenti perché son fastidiosi. Ha ragione, La Ginestra: tra vibrazioni, squilli e schermi improvvisamente luminosi, lui stesso è stato disturbato un paio di volte perdendo la concentrazione. Ma quel che notavo, mentre continuavo a osservare i suoi modi divertenti, i suoi toni simpatici, e le reazioni ridanciane in sala, è che tra l’attore di quell’istante che impartiva una garbata ramanzina agli spettatori e il personaggio a cui egli aveva dato voce fino a un attimo prima non c’era alcuna differenza. E la critica dello spettacolo è imperniata proprio su questo: se tra Geraldina (il personaggio femminile, detta Gerry) ed Edy Angelillo (che lo interpreta) si notano delle differenze di atteggiamenti, di parlata – i tempi recitativi – di timidezza, perché tra Tommaso e La Ginestra resta tutto identico? C’è qualcosa che non va!

02 novembre 2025

«Quanno fernesce ‘a guerra», di Rita Bosso (regia, M. Pizziconi)

«Quanno fernesce ‘a guerra», di Rita Bosso

Roma, Teatro Cometa Off
1° novembre 2025

«COME IL VENTO DEL MARE, VIENE PER FARTI SOGNARE»

Dopo lo spettacolo raggiungo un amico al ristorante.
- Pure oggi sei andato a teatro? Ma come fai?
- Mi diverto troppo.
- Tu lo sai che si può anche non andare a teatro?
- Sì, certo, ma è una possibilità che offre poche alternative.
- E riesci a divertirti anche se vedi un lavoro fatto male?
- Cambia il tipo di piacere, ma a lungo andare scopri che ci può essere un divertimento anche nella noia. Tuttavia ne devi essere consapevole. E devi soprattutto scindere la noia del testo che si riflette in platea, dalla noia in palcoscenico che invece, osservata dalla platea, diventa puro divertimento.
- Solo per te. Mica per tutti!
- Tranquillo! Siamo in due a Roma a divertirci con questo raffinato genere masochistico.
- Che sei andato a vedere stasera?
- Un lavoro che sulla carta mi aveva molto incuriosito. S’intitola: Quanno fernesce ‘a guerra.
- I soliti napoletani!
- Il tuo è uno sciocco pregiudizio. Ricordati che i napoletani quando stanno in scena hanno sempre una marcia in più.
- Sì, questo si diceva molti anni fa, ma ho avuto modo di constatare che non è più così!
- Infatti, stasera il migliore è stato Mauro Toscanelli che napoletano non è.
- Lo vedi che ho ragione! E, dimmi un po’, cos’è che ti aveva incuriosito di questo lavoro?
- Prima di tutto il titolo. «Quanno fernesce ‘a guerra» è una meravigliosa canzone della Nuova Compagnia di Canto Popolare. È del 1992 e fu scritta durante la Guerra del Golfo, ma la musica e il canto mantengono tutte le sonorità della nostra terra, della nostra sofferenza atavica. Io la cantavo con un gruppo di amici. C’è un verso che dice: «Comm’ ‘a viento de lu mare vene pe’ te fa’ sunnare».
- Come il vento del mare, viene per farti sognare. Bello!
- E sono arrivato in teatro con la speranza di sentire quella brezza che mi facesse sognare.
- Ed è successo?
- No. Però mi sono incantato…
- Già è qualcosa!
- Sì, a vedere Toscanelli nella parte di Pietro Nenni che con poco riusciva, malgrado il contesto, a disegnare un personaggio, a dargli una sua identità, perfino una connotazione temporale, pur non dialogando mai con qualcuno, se non con il ricordo di sua moglie che gli rispondeva cantando le canzoni di quel periodo. Mentre, invece, l’attore protagonista che avrebbe dovuto fare Benito Mussolini era completamente distante, non solo da Mussolini, ma da qualunque tipo di personaggio, e completamente fuori epoca.
- Non ti seguo: cosa c’entra la Guerra del Golfo con Mussolini e Nenni?
- Nulla. Ma il testo non ha niente a che fare con la canzone. Si riferisce al secondo conflitto mondiale e in particolare al momento in cui il Duce rassegnò le dimissioni al re che lo affidò alla tutela dei Carabinieri, e lo spedì in gran segreto sull’isola di Ponza, in attesa di trasferirlo poi in Sardegna.
- Mussolini andò a Ponza? Non lo sapevo.
- Sì, dal 27 luglio al 7 agosto 1943. Subito dopo la caduta del governo.
- Nenni era detenuto nel carcere di Ponza, giusto?
- Esatto, ed è lui che dalla sua cella lo vede arrivare a bordo del piroscafo e da lontano lo riconosce. Infatti, credo che alcuni particolari del testo siano stati ricavati proprio dai diari di Nenni.
- Be’, dev’essere interessante?
- Amico mio, interessante in teatro non è la vicenda, ma è quando hai davanti a te dei personaggi completi, personaggi che, grazie alle parole dell’autore, acquistano una loro vita. In questo caso, invece, ciascuno ha apportato la sua lezioncina di storia e nient’altro. O quasi! Ho notato, per esempio, la donna interpretata da Marina Vitolo, la quale in due scene sembra fare due personaggi opposti: la prima che non sa nulla del Duce, nemmeno lo riconosce, una isolana un po’ burbera, ignorantona, e attenta soltanto al proprio orgoglio, tant’è che, quando Mussolini fa un’allusione appena audace, lei gli tira un ceffone.
- Una del popolo che tira uno schiaffo al Duce, tre giorni dopo le dimissioni? Non è credibile!
- Ma la poverina, in quel momento, non sa chi ha di fronte. Non sa niente di niente.
- Questo giustifica il gesto.
- Certamente. Quando, però, poi entra per la seconda scena diventa all’improvviso una donna astuta, scaltrissima, capace di dettare a Mussolini la lettera che lo metterà in condizione di lasciare l’isola al più presto. Insomma, capisci bene che il testo è un pasticcio!
- È com’è la Vitolo, convincente?
- È brava, anzi è molto brava, brava come le attrici napoletane che hanno una marcia in più. Una vivacità scenica, briosa e comica assolutamente naturale, come quella di molti napoletani, anche quando non vogliono far ridere. Ma…
- Ma?
- Ma manca di quella educazione teatrale che le permette di comprendere che sta recitando due personaggi in uno! 
- Possibile?
- Te l’ho detto: i napoletani hanno una marcia in più. E questa ne è la prova. Basta che gli dai delle battute da ripetere, loro te le dicono meravigliosamente, ma senza mai riflettere sul mondo del personaggio che interpretano. Senza mai porsi il problema di un percorso logico: chi sono, cosa faccio, dove mi trovo. È come se quei mondi, anche se diversi, facessero tutti parte delle loro tante possibilità di vita. Non si tratta di ignoranza, ma di necessità: di mettere a frutto un’esperienza ancestrale e di condividere una estrema facilità a sognare con le parole di un altro.
- Come il vento del mare, viene per farti sognare!
- Esattamente. «Comm’ ‘a viento de lu mare vene pe’ te fa’ sunnare». (fn)
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Quanno fernesce ‘a guerra (Mussolini a Ponza), di Rita Bosso. Regia di Mariella Pizziconi. Con Mauro Toscanelli (Pietro Nenni), Marina Vitolo (Un’isolana), Fabio Fantozzi (Benito Mussolini), Fabrizio Nalli (Il Carabiniere), Titti Cerrone (La prostituta), Carla Carfagna (La perpetua), Simona Ciammaruconi (Carmen Nenni), e il piccolo Daniele. Alla fisarmonica, Alessandro Severa. Arredi, Aldo Rezk. Luci, Gloria Mancuso. Produzione: WhiteLight. Al teatro Cometa Off, oggi (ore 17.30) ultima replica

Foto: Titti Cerrone e Fabrizio Nalli (© ???)

01 novembre 2025

«Macbeth», di Shakespeare (regia, D. Pecci)

«Macbeth», di Shakespeare (regia, D. Pecci)

Roma, Teatro Greco
31 ottobre 2025

L’INTERPRETE SCHIACCIATO DALLA MOLE DEL GENERALE

Troppo impegnato a raccontarci la vicenda spicciola di Macbeth, Daniele Pecci perde il controllo sui sentimenti dei personaggi che danno vita a quella che è la tragedia moralmente più intensa della produzione di Shakespeare. Costruita su uno schema storico piuttosto semplice, tanto da non riuscire a scardinare le regole del teatro medievale, la difficoltà del testo è quella di saper equilibrare le doppie intenzioni dell’autore, il quale da una parte si pone l’obiettivo di condannare la cupidigia di potere degli uomini e dall’altra di alternare a fatti puramente crudeli, con raffinata abilità poetica, il mondo del sovrannaturale: il bosco, le streghe, lo spettro. Il regista, che pure si pone queste domande e cerca soluzioni sceniche, però, al dunque, si accontenta di affrontare le complessità semplificando fino a rendere ovvia la visione trascendentale.

29 ottobre 2025

«Re Chicchinella» di Emma Dante (da G. B. Basile)

© Masiar Pasquali

Roma, Teatro Argentina
28 ottobre 2025

LA DANZA DELL’IRONIA INTORNO ALLE DOGLIE DI CARLO III

Nella prefazione al Pentamerone (ed. 1925), Benedetto Croce scrive: «L’Italia possiede nel Cunto de li cunti del Basile il più antico, il più ricco e il più artistico fra tutti i libri di fiabe popolari. … Eppure l’Italia è come se non possedesse quel libro, perché scritto in un antico e non facile dialetto.» Ed è vero, la raccolta secentesca delle fiabe di Giambattista Basile, fino all’inizio del XX secolo, è stata presa in considerazione soltanto all’estero, dove i lettori potevano godere delle traduzioni eseguite nella loro lingua: i fratelli Grimm ne beneficiarono non poco. Soltanto da qualche decennio circolano anche da noi traduzioni in un napoletano più comprensibile e facile da leggere. Cosicché, dopo la memorabile rappresentazione de La gatta Cenerentola di De Simone (1976), le storie del Pentamerone, che nelle intenzioni dell’autore voleva emulare, in nuce, l’esperienza letteraria del Boccaccio, hanno cominciato a circolare più agevolmente, tanto da indurre registi di cinema e di teatro ad abbeverarsi a questa copiosa fonte.

27 ottobre 2025

«Idillio. Leopardi e la luna», di Luigi Moretti

«Idillio. Leopardi e la luna», di Luigi Moretti

Roma, Teatro Tordinona
26 ottobre 2025

NEL «CANTO DEL PASTORE ERRANTE», TUTTA LA RABBIA DEL POETA

«Cara Luna, io so che tu puoi parlare e rispondere…» Si tratta dell’incipit del Dialogo della Terra e della Luna che fa parte delle Operette morali, e sul quale si avvolge l’Idillio ideato da Luigi Moretti: un intrattenimento in versi e prosa sulla poetica lunare di Giacomo Leopardi; un’analisi appassionata sul profondo rapporto di studio e amore, di mistero e devozione tra Leopardi e la luna; ma soprattutto, un intimo dialogo costruito con le parole del poeta recanatese, e con quel suo «potere di comunicare – attraverso l’immaginifica luna, scrive Calvino – una sensazione di levità, di sospensione, di silenzioso e calmo incantesimo».

26 ottobre 2025

«Eigengrau», di Penelope Skinner (regia, F. Le Pera)

«Eigengrau», di Penelope Skinner, regia di F. Le Pera

Roma, Teatro Belli
25 ottobre 2025

QUEL GRIGIORE CHE SI ADAGIA SULLA FIDUCIA DELLA GIOVENTÙ

Eigengrau è il colore delle nuove generazioni, che meglio s’intona al loro modo di esprimersi, di divertirsi, di colorare le loro emozioni. In tedesco significa «grigio proprio», ed è una tonalità appena più chiara dell’oscurità, quella nella quale vivono tanti ragazzi. Penelope Skinner (mi è già capitato di vedere l’allestimento di qualche suo lavoro) è autrice inglese molto attenta ai giovani: non ha ancora 50 anni, ma osserva con occhio scrupoloso l’esistenza e il modus vivendi di chi è cresciuto dopo di lei. In «Eigengrau» presenta quattro personaggi: Mark, Chessie, Rose e Tom, due uomini e due donne. Ognuno rappresenta un differente carattere, ognuno si porta dentro qualche silenzioso trauma infantile, ognuno espone timidamente le proprie paure. Il risultato è che, quando si trovano uno di fronte all’altro, ciascuno pensa alla propria difesa, ma nessuno sa come condurre il gioco. E quando accade che bisogna sferrare un attacco per cominciare una relazione, amichevole o amorosa, non esiste altra possibilità che il disastro.

25 ottobre 2025

«Frankenstein_dipstych», by Motus

Roma, Teatro Vascello
24 ottobre 2025

«CHE TERRIBILE NOTTE!»

Nelle esili cantinelle, il mondo artigianale del teatro

Rubo direttamente a Frankenstein la battuta per titolare questa esperienza vissuta al Vascello che ho raggiunto per assistere al dittico dedicato al mostro ideato da Mary Shelley e messo in scena, per Romaeuropa Festival, dalla compagnia Motus di Daniela Nicolò & Enrico Casagrande. In Frankenstein_dipstych si riflettono l’uno nell’altro due spettacoli: alla storia d’amore (love story), tra la scrittrice e la sua creatura, s’oppone il capitolo dell’odio (history of hate) perché l’orrore alimenta l’odio; e quando il mostro scopre l’orrore su se stesso tutto e tutti diventano bersagli di odio. Parola oggi abusata come sinonimo bellico che sta per distruzione, mentre invece letterariamente l’odio sarebbe la non creazione, ossia il contrario dell’opera di uno scrittore. E questo vuol essere il senso del dittico: l’opera dello scrittore è creazione, quindi amore; e la creatura nata dalla penna d’amore non morirà mai. Ma ogni creatura, pur se nasce innocente, viene messa alla prova dal mondo malvagio e così il bene dell’infanzia e il calore degli affetti si trasformano in odio.

24 ottobre 2025

«Anno Omega», di Maria Letizia Avato (regia, M. Belocchi)

«Anno Omega», di Maria Letizia Avato

Roma, Teatro di Documenti
23 ottobre 2025

FELICE DI POTER DIRE LA VERITÀ A DIO

Marco Belocchi sceglie la sala del teatro dei Documenti per rappresentare i due brevi atti unici di Maria Letizia Avato, entrambi tratti da racconti della stessa autrice, e legati a un unico tema, indicato nel sottotitolo: Quando tutto ebbe inizio. Il tutto si riferisce alla vita, prendendo spunto dalla creazione di Dio, e cercando di tornare alle origini di un Amore puro, «necessario come il pane» (dice il poeta), e protetto dalla benedizione della Poesia. Ma siccome dalla settimana dedicata alla Genesi, secondo la tradizione biblica, ogni cosa è già avvenuta, prima di tornare al punto di partenza, occorre chiudere questo ciclo vitale che ci compete, perché evidentemente è sfuggito dalle mani del Creatore e il male regna ormai ovunque: così Anno Omega segna il momento della fine. Dio, nel libro dell’Apocalisse, si definisce l’alfa e l’omega, prima e ultima lettera dell’alfabeto greco, ossia il principio e la fine.

23 ottobre 2025

«L’importanza di chiamarsi Ernesto», di Oscar Wilde (regia, G. Gleijeses)

«L’importanza di chiamarsi Ernesto», di Oscar Wilde (regia, G. Gleijeses)

Roma, Teatro Sala Umberto
22 ottobre 2025

«TUTTO FUMO E NIENTE ARROSTO», DISSE G. B. SHAW

Geppy Gleijeses ricorda nelle note di regia che L’importanza di chiamarsi Ernesto è stata definita da critici autorevoli «la commedia perfetta». Giusto rammentarlo, perché The importance of being earnest è opera talmente perfetta che sarebbe prudente non rappresentarla. Fa parte di quel gruppo di commedie intoccabili, che per loro naturale immobilità letteraria e intellettuale rischiano di muffire nella soffitta di un museo. Allora ha fatto bene Gleijeses a riprenderla con l’intenzione di scuoterla con nuova vitalità e restituirle il movimento frizzante del palcoscenico. In verità, già venticinque anni fa egli stesso interpretò il ruolo di John Worthing, sotto la direzione di Mario Missiroli e sempre con Lucia Poli nelle vesti di Lady Bracknell. Era il 2000, periodo complicato per il sottoscritto poter andare a teatro, pertanto non riuscii a vedere quell’edizione.

22 ottobre 2025

«Le cose che t’ho imparato», di Carlo Picchiotti (regia, S. Prestinari)

«Le cose che t’ho imparato», di Carlo Picchiotti (regia, S. Prestinari)

Roma, Teatro Cometa Off
21 ottobre 2025

IL REALISMO CRUDELE DI UNA GRICIA DIETRO LE SBARRE

Oltre alla regia, Siddharta Prestinari firma anche l’adattamento di un testo che sembra essere stato scritto appositamente per le caratteristiche d’attore (e le abitudini culinarie) di Stefano Ambrogi: quindi non ci è dato sapere quanto il vestito cucito su misura sia quello originario di Carlo Picchiotti o se, appunto, l’abito è stato adattato per l’occasione. Il risultato comunque è che taglio e stile trovano sull’interpretazione di Ambrogi la quasi perfetta rifinitura (e sul quasi esporrò in seguito). Ineccepibile conflittualità, invece, si legge dalla rivalità dei due personaggi che danno vita a Le cose che t’ho imparato, una storia dall’aria trucida che si svolge nei pochi metri quadrati della cella di un penitenziario di massima sicurezza. All’anziano ergastolano burbero e prepotente, ma con un bagaglio pieno di avversità vissute, si contrappone la sprovveduta inesperienza del giovane archeologo, interpretato da Ermenegildo Marciante, finito in cella in attesa di giudizio.

Pour vous