14 marzo 2025

«Il golem» di Juan Mayorga

Roma, Teatro India
13 marzo 2025

PROPAGANDA AL CLOROFORMIO

A volte le note di regia vengono lette troppo superficialmente; invece, occorre fare più attenzione e cercare di individuare, tra le righe, la frase che è stata scritta per avvertirci, per metterci in allerta, quella che poi riletta a fine spettacolo, ti fa sospirare, sotto forma di autoimprecazione: «Me l’aveva pure detto!». La verità è che le note di regia, purtroppo, hanno il difetto di farsi comprendere bene soltanto dopo, quando si lascia la platea e il peggio è già passato. La frase che ho sottovalutato, o forse sopravvalutato, volendole attribuire un significato esclusivamente intellettuale, è: «La parola che crea e distrugge». Chissà perché non avevo considerato il significato scenico dell’avvertimento. La parola in teatro può creare opere meravigliose: da Eschilo a Euripide, da Shakespeare a Molière fino a Goldoni e tanti altri, tutti autori di capolavori d’eccellenza. La stessa parola, però, può anche distruggere e far crollare, in una manciata di secondi, interesse, entusiasmo e concentrazione.

12 marzo 2025

«Moby Dick alla prova» di Orson Welles

Roma, Teatro Vascello
11 marzo 2025

IL PEQUOD NEI MAROSI DEL COVID

Quando un’opera di teatro è scritta in versi e lo spettacolo acquista spessore drammatico soltanto dalle parti musicali, non è un buon segno. Eppure, il Moby Dick alla prova, proposto da Elio De Capitani, è impresa costruita con una vivace inventiva e molta precisione, tanto impegno e seria professionalità; peccato, però, che il criterio intellettuale di partenza, ambiguo ma calzante, appena uscito dal porto di un prologo palpitante di buone intenzioni, in pieno oceano, naufraghi clamorosamente in un contesto dal retrogusto circense. Non conosco l’originale di Orson Welles, ma sospetto che, durante la stesura dell’adattamento, gli artefici si siano lasciati prendere la mano da un certo squilibrato spirito piratesco più che dalla intransigenza della poesia che, per quanto sia a volte impalpabile, mantiene un tessuto letterario assai severo e concreto.

11 marzo 2025

«non era così», un ritratto di Luca Ronconi

Roma, Teatro Argentina
10 marzo 2025

«L’UOMO CHE VIVE SOGNA IL RE, IL SUO TRONO E VIVE NELL’INGANNO»

A dieci anni dalla scomparsa, il Teatro di Roma ricorda il grande regista con una serata evento «per celebrare l’eredità di un maestro che ha rivoluzionato il teatro europeo con il suo genio e la sua instancabile ricerca»

Luca Ronconi ha diretto il Teatro Stabile di Roma dal 1994 al 1999 portando sul palcoscenico dell’Argentina spettacoli memorabili, e ieri sera quello stesso palcoscenico gli ha reso omaggio a dieci anni dalla scomparsa. Era doveroso per Roma ricordare uno dei più importanti protagonisti del nostro teatro del secondo Novecento. Se non il più grande, certamente il più coraggioso: quello delle sfide impossibili, il regista degli spettacoli interminabili, quello che forse ha osato di più approfittare della pazienza degli spettatori tenendoli ore e ore inchiodati alla poltrona con opere maestose e allestimenti sempre imprevedibili. A dar voce al suo teatro, cinque star: Annamaria Guarnieri, Laura Marinoni, Massimo De Francovich, Giovanni Crippa e Massimo Popolizio. Coordinati da Giacomo Bisordi, ciascuno, da solo o in coppia, ha letto, ha declamato, celebrato, rispolverato, rievocato, riecheggiato – non saprei, la parola giusta sceglietela voi – quel teatro che una volta «non era così» come lo si fa oggi, ma era un’altra emozione, e non soltanto perché eravamo più giovani, ma perché dietro quel teatro c’erano grandi maestri, tra cui Luca Ronconi, classe 1933.

09 marzo 2025

«Le cinque rose di Jennifer» di Ruccello/Gleijeses

Roma, Teatro India
8 marzo 2025

PIÙ ECCENTRICA E «STRAFOTTENTE» LA JENNIFER DI GEPPY

Nelle mani di Geppy Gleijeses, Jennifer cambia i connotati in maniera drastica. La creatura di Annibale Ruccello, forse quella che più rappresenta la fantasia intima e lo stile dell’autore, si spoglia completamente del lato poetico e astratto per vestirsi di un sapore forte di Mediterraneo. Sogni e speranze rivivono in lei, non più come immagini liriche, come strazianti vuoti sentimentali, ma prendono corpo in una realtà cruda e violenta. È un’esigenza che l’attore, più del regista, ha sentito per adattare il personaggio alla sua fisicità, al suo essere uomo in toto. Cosicché Gleijeses ha dovuto compiere una trasformazione doppia: prima «diventando» donna e poi personaggio. Per arrivare a questa trasfigurazione, il regista s’è preoccupato giustamente di collocare Jennifer in un ambiente dove ogni oggetto è reale e ogni azione realistica. Dal telefono al fornello, dall’olio al pomodoro, dalla sigaretta al caffè, tutto è spudoratamente autentico, finanche nelle sue funzioni. Quando la «donna» mette la moka sul fuoco, dopo un po’ si vede il fumo che esce dall’interno e si sente l’acqua gorgogliare.

08 marzo 2025

«L’uomo dei sogni» di Giampiero Rappa

Roma, Sala Umberto
7 marzo 2025

JOE BLACK, BRACCATO ANCHE DAI PROPRI FANTASMI

L’opera di Giampiero Rappa viene pubblicizzata al pubblico come «una commedia divertente e surreale che sfida l’incubo della vita reale». A parte un breve prologo, assai arguto e ironico, sull’importanza del mondo onirico, proposto da due operatori del sindacato dei sogni, i quali giustamente fanno notare quanto lavoro non retribuito ci sia nel distribuire e controllare i sogni di tutti, e che si tratta quasi sempre di lavoro notturno, a parte questo breve prologo, certamente «divertente e surreale», L’uomo dei sogni rispecchia fedelmente il dramma di un’immensa moltitudine di individui del nostro tempo. I temi affrontati sono precisi e scanditi con pacata severità: solitudine, depressione, egoismo, paura di affrontare la realtà, terrore di relazionarsi col prossimo, difficoltà di guardare serenamente il proprio passato e impossibilità di programmare un futuro, e – ciliegina sulla torta – una forte propensione all’incomunicabilità, perfino con i figli. Insomma, ce n’è per tutti. E non sono argomenti da ridere, tutt’altro!

07 marzo 2025

«Overload», Sotterraneo

Roma, Spazio Diamante
6 marzo 2025

UN’ORA DI DELIRIO DA ATASSIA CEREBELLARE DA PALCOSCENICO

Quando l’attrice comunica al pubblico che lo spettacolo è finito, comincia quella parte che gli antichi chiamavano esodo, ossia l’ultimo canto del coro. Nella tradizione della tragedia greca è la parte riservata al Deus ex machina, mentre in Overload è la parte riservata all’automobile. La compagnia si riunisce in scena al completo, ciascuno prende posto nell’abitacolo di una ipotetica vettura e partono insieme alla volta di una meta sconosciuta. Il viaggio non dura molto, ma il racconto, sia per drammaturgia, sia per intensità di recitazione, sia per pathos, cattura lo spettatore, afferra la sua attenzione e lo porta – senza fiato – fino al suono dell’ultima sillaba. In questo breve concertato a cinque accade che gli autori (il testo è firmato nel suo concepimento dal nome della compagnia, Sotterraneo, anche se la scrittura è di Daniele Villa) descrivano un episodio che non fa parte del nostro quotidiano vissuto, delle nostre abitudini, delle nostre cattive prestazioni; è un episodio per molti nuovo, benché conosciuto da tutti, e certamente mai nessuno l’ha sentito narrato con tanti particolari da renderlo addirittura affascinante nella sua crudeltà. Ebbene, l’esodo di «Overload» è l’unica parte interessante dello spettacolo; l’unica ben recitata, l’unica costruita con arguzia teatrale: la più innovativa, la più drammatica, la sola che riesce a catturare l’attenzione dell’intera platea. Applausi assicurati!

06 marzo 2025

«Edipo re» di Sofocle/De Rosa

Roma, Teatro Vascello
5 marzo 2025

NELLA TEBE DI DE ROSA SUONA UN’ORCHESTRA DI LUCI

I teorici della letteratura individuarono alcuni valori per determinare il carattere romantico di un uomo. Facilmente si giunse alla conclusione che i romantici non potevano essere raggruppati in un unico periodo storico, quello che solitamente si fa coincidere con la fine del XVIII e la prima metà del secolo successivo, ma che invece sarebbe stato più corretto affermare che ogni periodo aveva i suoi romantici, i quali attribuivano massima importanza all’integrità d’animo, alla sincerità e alla disponibilità a sacrificare la vita per un ideale. In Edipo re, questi valori, ci sono tutti: è lui che minaccia la pena dell’esilio per l’autore dell’uccisione di Laio (integrità di sovrano); è lui che vuole arrivare alla verità allorquando i sospetti lo vedono coinvolto (sincerità d’animo); ed è lui che al finale, constatata la sua colpevolezza, chiede di essere esiliato (disponibilità a sacrificare la vita per mantener fede al principio enunciato all’inizio). Edipo è un re moralmente integerrimo, colpevole solo perché gli dèi lo hanno costretto all’errore con un inganno. Se Edipo avesse saputo che Laio fosse suo padre, non l’avrebbe mai assassinato. Se non fosse stato trascinato nel delitto di uno sconosciuto a causa di una volontà superiore non sarebbe mai caduto in fallo e non avrebbe mai attirato la sciagura su di sé. Dunque Edipo, fuori dal mito, ha tutte le caratteristiche per essere un personaggio romantico.

05 marzo 2025

«Pietro Orlandi, fratello» di Giovanni Franci

Roma, Off/Off Theatre
4 marzo 2025

«SE LE PORTAVA A LETTO»

Quando uno spettacolo teatrale è in prova, il regista può tranquillamente fermare gli attori e dire: «Scusate, non ho capito bene. Ripetiamo la scena, per favore». Soltanto così si può riascoltare quel breve brano che l’orecchio non è riuscito a captare perfettamente. La mancanza di questo privilegio, che spetta esclusivamente a chi dirige l’allestimento, ieri sera, s’è fatto sentire. Ma non perché l’attore avesse sbagliato o non fosse stato chiaro nella dizione, ma per il motivo sconcertante che certe frasi, certi passaggi dell’inchiesta portata avanti dalle parole di Pietro Orlandi, fratello (testo del 2023) di Emanuela, cittadina vaticana, scomparsa a 15 anni il 22 giugno 1983, avrebbero dovuto essere ripetuti, e ripetuti ancora, per gli incredibili sospetti che lanciavano all’indirizzo del Papa in persona. Fatti gravissimi e trascritti fedelmente da Giovanni Franci in quella che lui stesso chiama una stand-up tragedy.

Teatro Eliseo


L’ingresso del teatro Eliseo in via Nazionale. Foto scattata la sera del 4 marzo 2025, ore 20.09. Questa è la miglior critica allo spettacolo che ha debuttato (martedì 4/3/2025, ore 20.00) al Teatro Argentina, protagonista Luca Barbareschi che, sul primo palcoscenico della Capitale, ha potuto festeggiare i cinque anni di chiusura e di degrado


Eliseo, storia di un teatro chiuso da cinque anni (seconda parte)

03 marzo 2025

«Fino alle stelle!» di Agnese Fallongo

Roma, Teatro Roma
2 marzo 2025

PAESE CHE VAI, CANZONE CHE TROVI!

Ogni spettacolo fa storia a sé e nessuna rappresentazione deve dipendere da un’altra o ad altra far riferimento. Cosicché anche Fino alle stelle! vive autonomamente, nonostante faccia parte di una trilogia, e, di questa, sia lo spettacolo di congiunzione: ossia, quello che è legato ad ambo le parti e che dovrebbe mantenere solida l’unione di una terna sulla povertà del secolo scorso in chiave popolare; invece, dei tre, malgrado sia quello di mezzo, sembra essere il più indipendente, il più slegato, il più «sbarazzino». Se in Letizia va alla guerra il motore trainante era la scrittura drammaturgica, mentre ne I Mezzalira, a crear fascino, era l’abilità degli interpreti, impegnati i diversi ruoli con travestimenti repentini, qui sono i ritmi, quelli incessanti tipici del vecchio avanspettacolo, a tirare la carretta e a farla correre oltreoceano, anzi scorrere piacevolmente sulla nave che li trasporta.

02 marzo 2025

«Per amore dell’amore» di Caroline Pagani

Roma, Auditorium,
Teatro Studio Borgna
1° marzo 2025

RICORDO DI HERBERT PAGANI, POETA DELLA «NUMERO TRE»

«Io lavoro al bar di un albergo a ore, porto su il caffè a chi fa l’amore». In quella stanza «numero tre» di un Albergo a ore non meglio identificato, si amò una delle coppie destinate a diventare tra le più famose del mondo, ma i loro nomi nessuno li ha mai scoperti. Sono immortalati nei versi di Herbert Pagani che nel 1969 immaginò, con parole scritte sulla musica di Marguerite Monnot, l’incontro segreto di due amanti che hanno fatto della loro ultima notte un inno straziante per gli innamorati clandestini. Per l’amore dell’amore è il titolo dello spettacolo che la «sorellina Caroline» regala alla memoria del «suo fratellone Herbert», scomparso nel 1988 a soli 44 anni.

01 marzo 2025

«Qué será» di Alessia Ferrero

Roma, Centro Artemia
28 febbraio 2025

LA POESIA IN PALCOSCENICO DEVE DIVENTARE DRAMMA

Alessia Ferrero è una giovanissima autrice e una regista debuttante. Sente la necessità di scrivere e dimostra una certa predilezione per la scrittura teatrale. Anche lei, come tanti, trova ispirazione nei fatti vissuti o nelle storie di famiglia: ed ecco che è nato Qué será, docili isterismi per due spose terrorizzate, presentato al Centro Artemia per «SperimentArti Donna», rassegna di teatro sperimentale al femminile, curata da Paola Canepa. In realtà, di sperimentale, l’operazione ha ben poco, anzi, sia dialoghi che regia si stringono attorno a canoni e schemi abbastanza tradizionali. Cosa c’è, infatti di più tradizionale del matrimonio? Le ansie provate da Elsa e da Amelia non sono, però, determinate dall’ipotesi di cambiar vita, cioè di uscire da casa di mamma e papà per trasferirsi in quella del marito, ma più dal terrore di dover affrontare la celebrazione del matrimonio, di pronunciarne finanche la parola, tanto questa fu (il passato è d’obbligo) enfatizzata.

28 febbraio 2025

«Il vedovo», dal film di Dino Risi

Roma, Teatro Parioli
27 febbraio 2025

HO VISTO COSE CHE VOI UMANI…

No, ma, dico… se ci facevate rivedere il film, non era meglio? Non per infierire, ma stiamo parlando di una pellicola con Alberto Sordi e Franca Valeri, con Enzo Petito e Nando Bruno, Gigi Reder giovanissimo e Angela Luce bonissima, insomma tutta roba d’epoca, sì, ma roba buona, di grande qualità, da cui ancora oggi si può imparare qualcosa. Che ci voleva? Gli attori della compagnia si sedevano giù in platea con noi e si guardava tutti insieme Il vedovo di Dino Risi, regista coi fiocchi. Non c’era nulla di male! Nessuno si sarebbe arrabbiato. Ammetto che un film ambientato negli anni Cinquanta è un po’ vecchiotto, è vero – quelli che capiscono dicono che è datato – ma un film, se bello, conserva sempre una sua freschezza. Nell’oscurità della sala, il grande schermo compie il miracolo e ti riporta a quegli anni, perché tutti i particolari sono di quel periodo e ogni cosa si sposa perfettamente con il resto: dagli oggetti agli ambienti, dalle mode alle inflessioni.

27 febbraio 2025

«La grande menzogna» di Claudio Fava

Roma, Teatro Belli
26 febbraio 2025

LA VERITÀ SECONDO BORSELLINO

La grande denuncia di Claudio Fava arriva dal palcoscenico per voce di David Coco, e affonda le radici in via D’Amelio, a Palermo, dove il 19 luglio 1992 l’esplosione di una Fiat 126, carica di tritolo, uccise il giudice Paolo Borsellino e cinque agenti della scorta. Da quello scoppio, da quella polvere, da quel puzzo di cadaveri bruciati dalla deflagrazione e sparsi lungo la strada per centinaia di metri, Borsellino riprende vita e, in maniche di camicia e sigaretta alle labbra, comincia la sua deposizione davanti a un invisibile magistrato, suo collega, che lo ascolta in silenzio per quasi un’ora, durante la quale rivela la grande menzogna alla quale, appena morto, ha dovuto assistere inerme. Fava ricostruisce la sua tesi per la scena partendo dai sospetti lanciati dai figli di Borsellino, dai tanti omissis rimasti sospesi durante il processo, dalla famosa agenda rossa di cui si sono perse le tracce, dalla scrivania improvvisamente ripulita in pretura poche ore dopo la strage. Insomma, i particolari giudiziali rimasti pendenti – raccontati anche in un libro – e le tante stranezze che continuano a non trovare una soluzione diventano il tracciato da seguire in un contesto che assomiglia alla revisione del processo da parte della vittima.

26 febbraio 2025

«La leggenda del santo bevitore» di Joseph Roth

Roma, Teatro India
25 febbraio 2025

«UN APPLAUSO ALMENO ALLA CARRIERA»

Sedendomi al posto indicato sul biglietto, mi son trovato accanto a una giovanissima attrice del Centro sperimentale. Nei suoi occhi ho notato tanta incantevole curiosità durante l’attesa che ha preceduto l’inizio dello spettacolo. Nel frattempo, scambiando qualche parola, mi ha confessato che era lì per ammirare Carlo Cecchi, «un attore di cui ho sempre sentito parlare, ma che non ho mai visto recitare». È bello vedere un così candido entusiasmo giovanile elettrizzarsi soltanto per un nome. «Ho anche letto il testo in questi giorni». Beata innocenza! Mi sono rivisto nell’euforia dell’adolescenza quando volevo arrivare preparato all’apertura di sipario che però mi sorprendeva sempre: ogni volta, dietro la tela rossa, si nascondeva un effetto mai immaginato in precedenza. Oggi che i sipari sono diventati una rarità anche questa magia è pressoché scomparsa. Peccato!

24 febbraio 2025

«Porte chiuse» in faccia alla democrazia

Roma, 24 febbraio 2025

LE ELEZIONI IN GERMANIA E LA POLITICA DEGLI AMATORIALI

La politica non fa per me: né per cultura o tradizione familiare, né per volontà o aspirazione. Il mondo della politica da troppi anni è rappresentato da una pessima accolita di amatoriali: scarsa preparazione e inaffidabile serietà. Visto con occhio da palcoscenico l’operato etico e morale dei politici si potrebbe sintetizzare con una iperbole teatrale: al «chi è di scena» solitamente segue il «si salvi chi può» (boutade che più volte ho ascoltato dietro le quinte per scongiurare la catastrofe). Tuttavia i risultati delle elezioni in Germania fanno parte di un argomento assai delicato, che non riguarda solo i tedeschi, artefici di un drastico effettivo cambiamento epocale. Senza andare a scomodare, per paragone, la solita alternanza governativa che coinvolge ormai da anni il sistema elettorale americano (una volta per uno non fa male a nessuno, o forse fa male ad entrambi!), Deutschland ha parlato über alles, ossia per l’intera Europa. La vecchia cara Europa, vecchia davvero, ormai decrepita e incapace di tagliare il cordone ombelicale con l’ultima roccaforte d’avanguardia sociale, rimasta ferma al Dopoguerra: quella che da noi fu rappresentata da una audace resistenza partigiana che trovò sostegno ed egemonia in alcuni sodalizi concreti e luminari con Francia, Gran Bretagna e la rinascente Germania.

23 febbraio 2025

«Gente di facili costumi» di Nino Marino e Nino Manfredi

Roma, Teatro Quirino
22 febbraio 2025

UGO, PIGMALIONE CHE AMA ANTONIONI E BEVE TÈ

A teatro si va anche per ridere e, tra molti recenti tentativi non sempre riusciti, Flavio Insinna e Giulia Fiume, invece, hanno fatto centro. Gente di facili costumi è una commedia leggera ma intelligente e, malgrado i suoi 37 anni, il suo valore coscienzioso e, in un certo senso, educativo resiste ai cambiamenti morali che, anzi, sono molto peggiorati. Scritto da una coppia di grandi amici, due che avevano un’intesa formidabile – e si sente – Nino Marino e l’altro Nino, il grandissimo Nino Manfredi che fu Pasquino con Luigi Magni, che fu brutto sporco e cattivo con Scola, e fu il memorabile Geppetto con Comencini, e tanti altri personaggi ci sarebbero da ricordare, entrati nella storia della cinematografia, il testo è soprattutto un esempio di squisita e civile condotta da parte degli uomini nei confronti delle donne. E Nino Manfredi, che oggi, nel 2025, festeggerebbe 4 anni più di un secolo, lo si sente ancora vivo nelle battute della sua commedia, costruite sulle sue tonalità, i suoi ritmi, le sue cadenze paciose e indolenti, quelle che danno tempo a certi atteggiamenti muti e a quelle simpatiche smorfie di cui era maestro, di colorire il personaggio e di renderlo amabile, anche nella sua negatività.

21 febbraio 2025

«Marshmallows» di Angela Ciaburri

Roma, Spazio Diamante
20 febbraio 2025

I TOSSICI RAPPORTI DI QUATTRO MILLENNIALS

«Qui non c’è amore», dice Desy; e un attimo dopo anche Adele chiede «Dov’è l’amore?» Marshmallows, titolo dell’opera prima di Angela Ciaburri, è un’antifrasi che indica il contrario della dolcezza di un rapporto, l’opposto della morbidezza dell’amicizia. La commedia, che prende il nome dalle caramelle gommose di zucchero, indaga sui rapporti «tra i Millennials» (scrive l’autrice), ossia tra quei ragazzi che hanno raggiunto la maggiore età a cavallo del III millennio (che è la sua generazione). In effetti, però, la Ciaburri costruisce una ragnatela ben più vasta e solida: i quattro personaggi, protagonisti di una turbolenta convivenza, infatti, rappresentano un po’ tutte le generazioni postsessantottine. D’altronde il bisogno d’affetto è necessità atavica, e la ricerca d’amore è da sempre nascita e scopo dell’esistenza di ciascuno. Soltanto le abitudini sono cambiate dopo il boom economico degli anni Cinquanta. E, in particolare, i giovani hanno cominciato a prendere confidenza con una vita indipendente soltanto dopo i movimenti sociali del 1968. Prima si lasciava la casa avita soltanto dopo il matrimonio. Per cui una convivenza, organizzata tra amici, in una stessa abitazione, è databile in qualunque momento degli ultimi cinquant’anni. Non sono, dunque, i particolari legati ai Millennials che fanno di «Marshmallows» un quadro generazionale amaro e talvolta spietato: sono sempre gli affetti che allacciano e strappano amori e amicizie di ogni tempo ed età.

20 febbraio 2025

«Giovanna Dark» da A. Birkin, L. Besson, G. B. Shaw

Roma, Teatro Sophia
19 febbraio 2025

SI STA CON LA PULZELLA SUL SET DEL CINEMÀ

Matteo Fasanella è l’uomo delle imprese impossibili, delle sfide teatrali più impensabili. Mesi fa rivestì il ruolo di Cyrano in uno spazio che se gli consentiva di amare e poetare in un’atmosfera assai intima, non gli permetteva di tirar di scherma alla maniera d’un Musumeci Greco, cosicché i cadetti di Guascogna restavano bloccati e anche un po’ impacciati. Ora, in un luogo ancor più sacrificato, porta un dramma tra i più corposi della letteratura: quello di Giovanna d’Arco. E non in forma di monologo o di confronto strettamente processuale, ma, vestendo abiti ispirati all’epoca con tanto di spade, collane d’oro e corona, ripercorre alcune tappe della storia (poi diremo da quali fonti) con la sala del trono in evidenza, la stanza reale al livello superiore, una scalinata purpurea che discende in una vallea che di volta in volta conduce al villaggio, ai campi di battaglia, alla chiesa o alle prigioni. Impresa ancora più impervia, eppure, riuscita nella sua aurea di follia (ché di follia si tratta, ma ben venga!) con un effetto da «drammone».

19 febbraio 2025

«Il ministero della solitudine», di “lacasadargilla”




Roma, Teatro Vascello
18 febbraio 2025

IL PALCOSCENICO NON S’ADDICE
ALLA SOLITUDINE

Il teatro è stato nei millenni sempre un valido specchio dell’umanità, riflettendo in ogni periodo i personaggi che l’hanno caratterizzata. E se nei tempi antichi, greci e romani, grazie alla commedia, sono riusciti a rappresentare i tipi comuni più risibili, più viziosi e più perfidi, e a renderli eterni tanto da essere poi riproposti aggiornati in epoche successive da altri autori straordinari, quando, nel secolo scorso, s’è tentato di dar voce ai silenzi delle solitudini sono stati pochissimi coloro che sono riusciti a tradurre per la scena i drammi sociali causati dall’isolamento coatto e dall’incomunicabilità. Due argomenti che con il teatro – per usare un modo di dire abbastanza esplicativo – fanno a cazzotti. Beckett, Cocteau e pochi altri trovarono un loro stile per arginare il problema, perché la comunicazione diretta è alla base del sistema teatro; idem, per ovviare alle difficoltà rappresentative del romitaggio degli esseri umani e della loro segregazione, un male che purtroppo oggi abbrutisce il mondo intero.

17 febbraio 2025

«Prima della Tempesta» di Antonella Civale


Roma, Teatro di Documenti
15 febbraio 2025

STREHLER & DAMIANI: LA MEMOIRE

Giorgio Strehler, da ragazzo, avrebbe voluto fare il direttore d’orchestra, ma poi optò per dirigere, da regista, gli attori in teatro: grazie alla sua straordinaria immaginazione, gli bastava posizionare un’orchestra in palcoscenico per dar vita con un tocco di bacchetta magica al grande concertato che furono le sue regie, un’arte dove tutto era ricerca della perfezione. Chi conosce, anche per sommi capi, La tempesta di Shakespeare non ha gran difficoltà a intuire quante analogie ci siano tra Prospero e Giorgio Strehler: «Il più grande di tutti», ripeteva Vittorio Caprioli appena sentiva nominare il grande regista del Piccolo, accompagnando l’asserzione con un gesto della mano che cancellava ogni possibilità di fraintendimento.

15 febbraio 2025

«Quell’ultima parata» di Fabrizio Bancale

Roma, Spazio Diamante
14 febbraio 2025

LA STORIA DI SEGHESIO: «CHI ERA COSTUI?»

Fabrizio Bancale ci racconta la storia di Mario Seghesio – chi mai sarà codesto Carneade? – e, da quell’ottimo documentarista che è, ne fa un ritratto, come è indicato nel sottotitolo, assolutamente verosimile, aggiungendo stralci di logica immaginazione laddove la biografia langue perché mancano notizie certe. Soprannominato «Gheghe», Mario fu un pioniere del calcio. Giocava tra i legni, quando ancora non si chiamavano pali. Era, infatti, un portiere, ma dalla carriera non proprio impeccabile: 80 presenze nell’Andrea Doria (storica formazione di Genova) dal 1921 al ’26 e 110 reti subite, una media piuttosto altina, per la verità, benché all’epoca il calcio fosse assai diverso da quello odierno. Tifoso del mitico Zamora, numero uno della compagine iberica, ma soprattutto ammiratore devoto di Francesco Calì, che gli appassionati di pallone certamente ricorderanno, con il nomignolo di Franz, nel ruolo di capitano nella prima sfida della nazionale italiana giocata a Milano contro la Francia (15 maggio 1910).

13 febbraio 2025

«A torto o a ragione» di Ronald Harwood

Roma, Teatro India
12 febbraio 2025

RECITARE DI SPALLE, UN’ARTE RARA E SOPRAFFINA

«Finché si potrà ascoltare la musica di Beethoven e di Wagner la gente sarà libera». E se a dirlo è Wilhelm Furtwängler, il messaggio è chiaro: l’avvertimento suona come un monito per la seconda serata del raduno canoro della riviera di ponente. Verrebbe da correre immediatamente per le strade e gridare a squarciagola: italiani spegnete la televisione e ascoltate l’Inno alla gioia o il preludio del Lohengrin, vi sentirete più liberi. D’altronde anche il direttore d’orchestra amato e stimato da Adolf Hitler fu salvato dalla musica. Non furono mai trovate prove che testimoniassero i suoi contatti con il Terzo Reich: motivo per cui il tribunale di denazificazione non riuscì a spedirlo sul banco degli imputati a Norimberga. Da questi fatti storici, il commediografo Ronald Harwood, di origini ebraiche, scrisse Taking sides (in Italia conosciuta come La torre d’avorio) che nel 2001 divenne una sceneggiatura per il film A torto o a ragione, di István Szabó. Titolo preferito dal regista Giovanni Anfuso in un intenso e convincente allestimento, in scena al teatro India fino a domenica. Troppo poco, se mi posso permettere!

12 febbraio 2025

«Antonio e Cleopatra» di William Shakespeare

Roma, Teatro Quirino
11 febbraio 2025

ANNA DELLA ROSA, REGINA LUSSURIOSA

C’è subito da annotare che con un simile possente testo (malgrado sia stato ridotto a 140’ senza intervallo) e una resa attoriale di ottima qualità, la visione di questo Antonio e Cleopatra lascia una sensazione assai gratificante. Quando un regista trova il coraggio di rilanciare un’opera di Shakespeare tra le meno frequentate e a cavarne uno spettacolo che appaghi le esigenze di un pubblico, che ha preferito una prima teatrale alla serata inaugurale dell’annuale remake televisivo di Papaveri e papere (un pubblico elitario, quindi), costui può ritenersi soddisfatto. Alla vigilia, infatti, si temeva che la kermesse canora avrebbe rapito spettatori alla platea del Quirino: nonostante qualche defezione, il timore è stato scongiurato.

11 febbraio 2025

«Il minimo comune viaggiatore» di Vincenzo Mascolo

IL CIELO SOPRA L’OLIMPO

Nel suo quotidiano peregrinare lungo i percorsi poetici, Vincenzo Mascolo si concede una sosta per fissare il suo quarto studio in versi, stavolta per i tipi di Interno Poesia. Tutte le raccolte di Mascolo sono, infatti, approfondimenti su un tema, quasi univoco e sempre solido, sicché ogni suo libro si legge come un discorso che si completa con frequenti e misurate riflessioni, come bere una bottiglia di vino corposo a piccoli sorsi e scoprirne infiniti pregevoli gusti e retrogusti. Per Il minimo comune viaggiatore, ultima silloge, in ogni pagina c’è un attento sguardo rivolto alla fine di ogni cosa. Il viaggiatore è l’occhio che scruta alla finestra della vita ed è minimo perché resta fisicamente fermo, appartato nel suo pensatoio, ma il suo spirito vola nello spazio e nel tempo, sì che le immagini dei ricordi si incrociano in dissolvenze critiche, ma tutte suggerite da un tenace sapere. Il viaggio di Mascolo – senza passaporto, ma sotto identità di un poeta celeste – è un continuo partire e approdare da una lettura all’altra, da un autore studiato in gioventù a uno scrittore della maturità. Un percorso sapiente, obbligato, in cui si possono (e si devono) ritracciare, come in un rebus, distillati di letteratura, appunto, corposa, cólta, protettrice.

09 febbraio 2025

Eliseo, storia di un teatro chiuso da cinque anni (3)

POVERO CYRANO:
Á LA FIN DE L’ENVOI… IL EST TOUCHÉ!

TERZA PARTE

Barbareschi, quindi, con grande abilità e prontezza, preparò il terreno per i secondi festeggiamenti del centenario presentando uno spettacolo grandioso, il Cyrano de Bergerac, personaggio certamente eroico, anche romantico, ma soprattutto con il naso abbastanza lungo da suggerire il facile paragone con l’altrettanto famoso burattino di Collodi. Malgrado qualche maldicenza, comunque, già al fastoso debutto del 30 ottobre 2018 fu proclamato il trionfo artistico: critiche favorevoli e repliche applauditissime. Arrivarono richieste dai maggiori palcoscenici d’Italia per accaparrarsi il diritto di avere in cartellone l’evento teatrale della stagione. Il clamore che suscitò la nuova sorprendente versione del Cyrano fece apparire più luminosa una ribalta che, da lì a breve, invece, si sarebbe spenta come una candela colpita da un soffio inaspettato. Lo spettacolo, infatti, nonostante il notevole successo, improvvisamente svanì nel nulla, come nella migliore tradizione di un’arte scritta sull’acqua.

08 febbraio 2025

«Guerra e pace» da Lev Tolstoj

Roma, Teatro Argentina
7 febbraio 2025

I DRAMMI NON SI DICONO A PAROLE, SI DEVONO VIVERE

Lettera aperta a Luca De Fusco, regista dell’allestimento

        Caro Luca,
essendo un osservatore di teatro totalmente libero e completamente anticonformista, con te mi permetto di usare la forma più confidenziale possibile per riflettere insieme sul tuo ultimo spettacolo. Premetto che al levar della tela, l’effetto è magnifico: scene, musiche, luci e tutti i personaggi che invadono lo spazio s’impastano perfettamente, anche grazie ai costumi, creando un’atmosfera che fa presupporre una grande opera corale (intendo attori e regia, compresi i collaboratori naturalmente). Parte della suggestione di magnificenza, in verità, accompagna lo spettatore sin dal foyer: il titolo che troneggia sui manifesti – Guerra e pace – non è un titolo qualunque, ma di forte impatto, essendo quello della più colossale pubblicazione letteraria dell’era moderna (1865). Ora, io capisco benissimo che, soprattutto in un’epoca culturalmente arida, come la nostra, i libri vengano letti con eccessiva parsimonia, e certamente sono rarissimi coloro che si dispongono a prendere in mano le circa 1.500 pagine scritte da Lev Tostoj; so anche perfettamente che molti italiani purtroppo restano affascinati dalla demenza delle oscene serie televisive; ma sappiamo bene, io e te, che libri e teatro necessitano di tempi differenti da quelli usati da una puntata di una fiction, dalla velocità e dalla sintesi che le pessime abitudini di oggi ci impongono.

07 febbraio 2025

«Dissonorata» di Saverio La Ruina

Roma, Teatro Quirino
6 febbraio 2025

LO CUNTO DI PASCALINA, FEMMINA DEL SUD

La settimana scorsa, la recensione di un altro spettacolo, visto all’Off/Off, cominciava così: «La terribile storia di Saman Abbas, già raccontata dai cronisti che hanno seguito quotidianamente la vicenda, dalla sua sparizione (1° maggio 2021) fino al ritrovamento del cadavere (18 novembre 2022), è diventata nel 2023 materia per primo un libro», e poi anche per un secondo. La trascrizione teatrale della tragica vicenda della diciottenne di origine pakistana, uccisa dai suoi stessi familiari perché giudicata «colpevole» di voler amare liberamente, era stata, in pratica, già immaginata, o quasi, nel 2006 da Saverio La Ruina. Con un finale meno drammatico, Dissonorata torna per un’unica rappresentazione sul palco del Quirino proprio nel giorno in cui è stata annunciata la vendita dello stabile alla United Artist di Roberta Lucca (moglie di Geppy Gleijeses, già direttore artistico nella passata gestione).

06 febbraio 2025

«La morte a Venezia» di Liv Ferracchiati

Roma, Teatro India
5 febbraio 2025

COM’È NOIOSA L’INTELLIGENZA
AL COSPETTO DELLA BELLEZZA

Tutto ciò che si porta sul palcoscenico diventa esibizione. Quando si porta un simbolo della bellezza, questo solitamente risulta vincente. Quando si vuole esibire l’intelligenza senza ironia, solitamente annoia. Quando, come in questo caso, intelligenza e bellezza si confrontano sotto i riflettori in uno scontro visivo e dialettico, l’intelligenza diventa un’insopportabile intrusa, una disturbatrice. Per di più, l’operazione di Liv Ferracchiati, ispirata all’innamoramento del professor Gustav von Aschenbach per il giovane Tadzio, descritto da Thomas Mann in La morte a Venezia, pare voglia dimostrare esattamente l’impotenza della parola cólta di fronte alla contemplazione della bellezza. «Meglio il tuo corpo che le mie parole», dice il professore in scena, sentendosi inadeguato al corteggiamento. Tuttavia occorre aver ben presente le possibilità che offre il mezzo con cui si vuol proporre l’esibizione della contesa/intesa: è sufficiente una ribalta spoglia (soltanto un telo dove si proietta l’immagine del bello) per realizzare un percorso scenico sullo scabroso rapporto tra due persone che non si conoscono?

05 febbraio 2025

«A cuore aperto» di Patrizio Cigliano

Roma, Teatro Belli
4 febbraio 2025

«PENSAVO CHE L’AMORE FOSSE UNA COSA SEMPLICE»

Patrizio Cigliano ripropone al Belli un suo cavallo di battaglia, A cuore aperto, scritto 23 anni fa e ormai giunto alla 19ª edizione, che, però, non avevo mai visto. Sul fondo della scena alcune valigie accatastate sembrano il bagaglio di una vita e in effetti lo sono. La canzone in sottofondo lo confermerebbe. All’interno, infatti, sono stipate tutte quelle «frasi d’amore di fedeltà che a un altro cuore ripeterà... Illusione, dolce chimera sei tu». Quel cuore aperto del titolo è una lunga lettera d’amore scritta a quattro mani, da Giuseppe e da Maria, marito e moglie, ormai anziani, che restano agganciati nell’ultimo sguardo, lungo un minuto, forse qualche attimo in più, durante il quale rivedono tutta la loro esistenza concentrata in un momento: da quando si sono conosciuti ragazzini e facevano il bagno nudi nel fiume, fino al primo rapporto, dalla nascita della loro figlia Checca, fino all’istante in cui la luce di lei si spegne tra le braccia di lui.

04 febbraio 2025

«Mistero buffo» di Dario Fo


Roma, Sala Umberto
3 febbraio 2025

QUANDO GESÙ ERA CHIAMATO PALESTINA

Bravo, Matthias, davvero bravo. E soprattutto coraggioso. Affrontare un classico del teatro moderno che parla di ieri come di oggi, del medioevo narrato dall’incantevole follia di Dario Fo, come fosse il presente di oggi e di domani, è un’operazione che merita un encomio. Ho riso, ma non nascondo di essermi anche commosso: Matthias Martelli non è Dario Fo – e guai a farne un paragone – ma, pur se con molte differenze, il suo Mistero buffo è talmente fedele nell’essere una giullarata che a tratti m’è parso di risentire il suono delle cavalcate di Dario ascoltate e riascoltate da ragazzo al teatro Tenda di piazza Mancini.

03 febbraio 2025

«La ciliegina sulla torta» di Diego Ruiz

Roma, Teatro Manzoni
2 febbraio 2025

IL FRIGORIFERO CHE TUTTI VORREMMO AVERE

Certi spettacoli possono anche non passare sotto l’osservazione della critica. In verità, sarebbe magnifico che non passassero nemmeno sotto i riflettori di un palcoscenico, ma siccome ci sta chi li scrive, siccome esistono attori che li interpretano, un teatro che li accoglie e un pubblico che li va a vedere, è bene che il cerchio si chiuda e che anche il critico affondi le mani laddove a volte sarebbe meglio evitare. È stato proprio il titolo, La ciliegina sulla torta, così poco entusiasmante, così banale, così d’uso comune, ad attirarmi in questo perverso circuito autolesionistico, e, quando una cara amica mi ha chiesto di accompagnarla al Manzoni, non mi sono opposto, e ho pensato che it’s a dirty job but someone has to do it, è uno sporco mestiere ma qualcuno deve pur farlo.

02 febbraio 2025

«Settantuno*» di Provenzano e Pisani

Centro Culturale Artemia
1° febbraio 2025

FLAVIO: «MEIN KAMPF» E ZUPPA DI LATTE (CON LA PELLICINA SOPRA)

È un piacere passare una serata, in completo relax, nel salotto di Maria Paola Canepa: se non fosse un po’ distante da casa ci andrei molto più spesso, sapendo di non saltare nemmeno il quotidiano appuntamento teatrale. Con un buon bicchiere di vino si incontrano anche i protagonisti dello spettacolo e insieme si chiacchiera. Nello Provenzano e Riccardo Pisani vengono da Napoli e portano a Roma, sulla Portuense, un testo assai curioso e scioccante. Leggo il titolo: Settantuno, ma seguito da un asterisco che segnala la spiegazione. Mi volto, incrociando lo sguardo del regista, e sorrido. Intuisce che conosco il linguaggio della smorfia napoletana e che il numero corrisponde a l’ommo ‘e mmerda. L’asterisco in locandina, infatti, rimanda all’esegesi tradotta in lingua: l’uomo di… be’ non dovrebbe essere difficile nemmeno per uno svizzero!

01 febbraio 2025

«Saman» di Cardillo/Apolloni

Roma, Off/Off Theatre
31 gennaio 2025

UCCISA PERCHÉ INNAMORATA DELLA VITA

La terribile storia di Saman Abbas, già raccontata dai cronisti che hanno seguito quotidianamente la vicenda, dalla sua sparizione (1° maggio 2021) fino al ritrovamento del cadavere (18 novembre 2022), è diventata nel 2023 materia per un primo libro Saman, vita e morte di una ragazza italiana, di Jacopo Della Porta ed Elisa Pederzoli (ed. Aliberti), e poi, lo scorso anno, argomento per una seconda pubblicazione di Gianmarco Menga, «Il delitto di Saman Abbas. Il coraggio di essere libere» (Newton Compton ed.). Ora il dramma arriva in palcoscenico per la trascrizione teatrale di Gianni Cardillo e Francesco Apolloni che si sono ispirati all’opera omonima di Della Porta e Pederzoli. È sempre bene che se ne parli: far conoscere i particolari di una vicenda tanto sconcertante aiuta a capire quanto grave sia il delitto civile commesso nei confronti di una ragazza di appena 18 anni, uccisa dai genitori (e da altri familiari) perché da essi giudicata «colpevole» di voler vivere la vita. Il primo pensiero va a Saman, alla sua memoria, al suo desiderio di libertà.

31 gennaio 2025

«Bianco» di Marco Buzzi Maresca

Roma, Teatro Sophia
30 gennaio 2025

TROPPI PARABORDI IN MARE APERTO!

Il punto, signori miei, è che in teatro non si giudica mai l’operato del protagonista, ma sempre quello dell’autore in primis, e a seguire quello del regista. E quando alla fine non si ha nient’altro da dire, allora si esamina la capacità degli attori. Tuttavia, in questo caso l’opera del protagonista diventa fondamentale, in quanto viene presa a pretesto sia dall’autore che ne illustra letterariamente la genesi, sia dal regista che la usa per l’allestimento scenico. D’altronde stiamo parlando di Jackson Pollock e Lee Krasner, due artisti innovativi, pittori eccentrici, coppia irregolare di un’America a cavallo del secondo conflitto mondiale, in cerca di una corrente pittorica anticonformista che desse finalmente una moderna identità artistica al Paese che ancora manteneva nella civiltà dei pellerossa il distintivo indigeno di un’arte figurativa più vicina alla preistoria che a Picasso.

30 gennaio 2025

«Radio Argo Suite» di Igor Esposito

Roma, Teatro India
29 gennaio 2025

STRAPPIAMOCI DI DOSSO L’ABITO DELLA VANITÀ

Più che il Mazzotta poté l’Esposito. Peppino Mazzotta è un ottimo interprete (ma...!). A settembre scorso vinse il Premio Le Maschere per la realizzazione di Radio Argo Suite, monologo che già nel 2011 ricevette il Premio nazionale della Critica, e che ora torna in ribalta al teatro India fino al 2 febbraio. Peppino Mazzotta, ripeto, è un ottimo interprete, eppure è il testo di Igor Esposito a lasciare il segno sugli spettatori, a graffiare il mondo del potere dei pochi e della vanità dei molti. Come Vittorio Alfieri, per far rivivere ai suoi giorni (fine Settecento) il mito degli Atridi, riscrisse in endecasillabi – Notte! funesta, atroce, orribil notte… il più famoso incipit – il ciclo di Argo, ispirandosi all’Orestea di Eschilo, Esposito, per lo stesso intento, ha scelto, nella sua originale soluzione teatrale, di simulare una trasmissione radiofonica, con un conduttore dalla tipica profonda voce notturna, che introduce i personaggi della tragedia a cui offre un microfono per lasciargli il tempo di raccontare ciascuno il proprio dramma. O, per essere più precisi, un radiodramma in versione suite, proprio come sono certe trasmissioni della notte, che alternano brani musicali a momenti più «funesti».

28 gennaio 2025

Eliseo, storia di un teatro chiuso da cinque anni (2)

OTTO MILIONI DI EURO «PER SPESE ORDINARIE E STRAORDINARIE»

SECONDA PARTE

Tra rimandi e altre promesse la nuova gestione dell’Eliseo debuttò nel settembre del 2015. Un anno perso, eppure, con un sorridente e compiaciuto «Ce l’abbiamo fatta», Barbareschi annunciò la riapertura in conferenza stampa, sbandierando eroicamente una spesa iniziale – pare – di quattro milioni di euro per una ristrutturazione obbiettivamente poco vistosa. I proclami non si fecero attendere, ma le effettive novità riguardarono l’apertura di un ristoro all’interno del foyer superiore e l’inizio degli spettacoli anticipato di un’ora: «… perché a Londra il teatro comincia alle 20», fu la spiegazione. Inoltre, al Piccolo, fu rimossa la targa con il nome di Giuseppe Patroni Griffi, regista e scrittore al quale la sala era stata intitolata subito dopo la scomparsa (15 dicembre 2005); in compenso i nomi degli artisti più famosi che resero glorioso il passato del teatro furono affissi (ad honorem?) tra le piastrelle del nuovo rivestimento delle toilette accanto alla sala grande, così da poterla fare sempre in buona compagnia. Stravaganza sudamericana (dove Barbareschi nacque a Montevideo, Uruguay, nel 1956) più che tradizione dell’ebraismo, giudiziosa dottrina religiosa professata dal nostro protagonista.

27 gennaio 2025

«Lo stato delle cose (2)» di Massimiliano Bruno & C.

Roma, Teatro Parioli
25 gennaio 2025

ERRARE HUMANUM EST, PERSEVERARE AUTEM DIABOLICUM

Già il titolo, ampiamente abusato, è un’indicazione precisa. Si sa che non c’entra il film di Wenders, si capisce che non è il libro di Ford, s’intuisce che non ha nulla a che fare con la trasmissione di Giletti, ma l’unico riferimento resta, per Massimiliano Bruno, ideatore del carosello, la citazione di se stesso. Infatti, lo spettacolo (o quel che sembra) è un remake, finto teatrale, finto televisivo, della prima serie andata in scena nel 2003. Così nasce la seconda parte de Lo stato delle cose, una carrellata senza lode di quel misero modo di far avanspettacolo, scimmiottando il più banale esempio televisivo. Errare humanum est, perseverare autem diabolicum, dicevano i saggi. Eppure Bruno non si tira indietro e con coraggio e determinazione, per regalare soddisfazione agli allievi della sua scuola di teatro, lui, il maestro, offre loro l’opportunità di esibirsi in ribalta davanti a una platea costituta per lo più da amici e parenti. Gli attori sono una trentina, forse più, quindi non è poi così difficile riempire la sala e consolarsi con gli applausi.

26 gennaio 2025

«Anna Cappelli» di Annibale Ruccello

Roma, Teatro India
25 gennaio 2025

ANNA NEL CAMPO DEI MIRACOLI

Ci sono due momenti che rendono fertile il terreno incolto che Anna Cappelli calpesta con disprezzo e morde con i piedi per necessità; terreno brullo nel quale lei ci inciampa e ci affonda, per leggerezza e per gravità, per tedio e per fastidio; lo scalcia questo terreno, lo sfiora, l’accarezza, e ci si sdraia dentro (non sopra, ma dentro). Il primo indizio lo si deve leggere quando si entra in sala: Anna è lì, in scena, scalza, con una vesticciola sgualcita, i capelli arruffati, vede entrare gli spettatori e mantiene l’atteggiamento malato di chi attende una visita importante. Non si sa chi aspetta, ma certamente arriverà qualcuno a cui deve raccontare una storia, una storia malata anch’essa. Qualcuno che le offrirà un perdono o la punirà con una condanna. Anna, ancora con le luci di sala accese, mormora sedimenti di un passato, farfuglia timori e remore, con talmente tanta intensità che il pubblico (che ha capito benissimo che lo spettacolo ancora ha da cominciare) resta rispettosamente fermo e silenzioso a osservare: perché il delirio della protagonista è inquietante e contagioso.

25 gennaio 2025

«Il rito» di Ingmar Bergman

Roma, Teatro Vascello
24 gennaio 2025

L’ETERNITÀ DELLA BELLEZZA E IL LIMITE DELL’ARTE SOVVERSIVA

L’allestimento di Alfonso Postiglione dell’opera di Ingmar Bergman mi lascia in eredità due convinzioni: la prima è che la bellezza è un talento eterno e universale, la seconda è che l’arte rivoluzionaria invece è temporanea e quindi rivolta a un pubblico assai esiguo. La bellezza, infatti, è un’ispirazione e un’attrazione che colpisce tutti (o quasi) e in chiunque provoca una reazione che solitamente, di primo acchito, è una piacevole ammirazione; ma è anche una qualità e una virtù capace di appagare l’animo attraverso i sensi, divenendo così, per naturale traslazione, oggetto di meritata e degna contemplazione. Ed è quel che accade durante Il rito, commedia adattata dal film firmato dal grande regista svedese. La bellezza in questione è quella di Alice Arcuri, viso incantevole, corpo androgino (fasciato dagli ottimi costumi di Giuseppe Avallone) perfetto, statuario, che acquisisce rilevanza estetica man mano che la trama si sviluppa, relegandola, ahinoi, in secondo piano. La fisicità dell’Arcuri resta purtroppo l’unica attrazione contemplativa della serata. Sì, c’è anche la bella scena di Roberto Crea che fa da cornice luminosa alla Venere del Vascello, ma perfino la buona prova recitativa dello stesso Postiglione non regge il confronto.

24 gennaio 2025

«Controfigura» di Antonello Toti

Roma, Teatro Tordinona
23 gennaio 2025

I DUBBI SULLA REALTÀ E L’EQUILIBRIO DELL’AMORE

«Il mondo non è di per se stesso in nessuna realtà se non gliela diamo noi; e dunque, poiché gliel’abbiamo data noi, è naturale che ci spieghiamo che non possa essere diverso. Bisognerebbe diffidare di noi stessi, della realtà del mondo posta da noi». Lo scriveva Luigi Pirandello il 2 settembre 1920, per il Discorso alla Reale Accademia d’Italia di Catania, in omaggio a Giovanni Verga, sette anni prima che uno strabiliante fatto di cronaca divenne l’affasciante caso giudiziario, denominato «Bruneri-Canella», altrimenti conosciuto come lo smemorato di Collegno. Tale signora Canella riconobbe suo marito, professor Giulio, in una fotografia pubblicata nel febbraio del 1927 dalla Domenica del Corriere, sotto la quale si poteva leggere di un ricoverato nel manicomio di Collegno che non ricordava più nulla di sé, nemmeno il nome. Era uno dei tanti dispersi della Grande guerra. La probabile consorte andò a trovarlo, lo abbracciò e amorevolmente se lo riportò a casa. Dopo qualche tempo, però, una lettera anonima riaprì il caso. Il Momento, quindicinale milanese, appoggiando la tesi della missiva, cominciò a sostenere che l’identità dello smemorato non fosse quella del Canella, piuttosto di un tipografo, Mario Bruneri, più volte condannato per truffa e falsa personalità. Malgrado la sentenza del tribunale, in seguito, stabilì che si trattasse effettivamente del losco Bruneri, la signora Canella continuò a riconoscere l’uomo che ormai viveva accanto a sé come suo marito, e continuò a chiamarlo Giulio.

23 gennaio 2025

«Il caso Jekyll», di Stevenson/Rubini

Roma, Teatro Quirino
22 gennaio 2025

LA FIERA DEI RUMORI A PALAZZO JEKYLL

Sergio Rubini, di cui ho grande stima, scrive nelle note di regia: «Partendo dalla considerazione che il celebre romanzo di R. L. Stevenson Lo strano caso del Dr. Jekyll e di Mr. Hyde sia un’apologia sulla condizione umana avendo come tema centrale il doppio, che poi è il doppio che alberga in ognuno noi, abbiamo sviluppato una drammaturgia che avesse una chiave più chiaramente psicanalitica … etc etc…». La riduzione teatrale vista al Quirino ha esattamente questo andamento: una costruzione scenica e registica attenta, meticolosa, e in teoria anche coerente, ma concretizzata in una realizzazione senza alcuna emozione. Non c’è pathos, non c’è coinvolgimento, non c’è un’anima teatrale. C’è un racconto che man mano che progredisce si allontana dalla platea. Resta la narrazione di una storia, di cui vediamo alcune scene dialogate, un po’ ripetitive, ma senza suspense.

Pour vous