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Vito Riviello, ritratto da Rocco Grieco |
Al bar c’è un tipo strano: è un poetaNon è vecchio, peccato che l’abbianogià tumulato in biblioteca
Roma, 14 settembre 2005
© Fausto Nicolini
Tratta da «Quelle che smuovono...»,
Campanotto Editore (2007)
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Vito Riviello, ritratto da Rocco Grieco |
Al bar c’è un tipo strano: è un poetaNon è vecchio, peccato che l’abbianogià tumulato in biblioteca
Roma, 14 settembre 2005
© Fausto Nicolini
Tratta da «Quelle che smuovono...»,
Campanotto Editore (2007)
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Eros Pagni |
Per i nostalgici di un certo tipo di teatro quasi scomparso è commovente realizzare che, al giorno d’oggi, esistano ancora registi sostenitori della quarta parete: quel muro immaginario posto tra palco e platea. Fu abbattuto, ormai, molti anni fa con l’avvento del varietà, per esigenze di relazioni tra artisti e avventori. Era però, quello, un genere teatrale assai differente, e non aveva nulla a che vedere con il teatro classico: gli attori del varietà avevano bisogno di confrontarsi direttamente con gli spettatori e gli spettatori con gli attori. Non a caso fu inventata la passerella che si addentrava in sala, spesso abbracciando l’intera buca dell’orchestra. I comici del varietà si rivolgevano sempre al pubblico, cercavano il suo appoggio; e dalle reazioni della platea improvvisavano duetti inediti, battute nuove. Questa abitudine ha portato poi i cattivi registi a considerare (vivo e creativo, secondo i loro principi “neo-confusi”) il confronto con gli spettatori anche durante la rappresentazione di spettacoli di prosa. È vero che la commedia, specie quella goldoniana, con gli a parte così soventi e sferzanti, offre molti spunti per coinvolgere il pubblico; è vero pure che i sempre più riproposti monologhi sono dati in pasto a una platea che spesso soffoca senza rendersene conto, ma negli ultimi anni attori, mal governati da registi sempre più improvvisati, entrando in scena guardano, chissà perché, spudoratamente dalla parte degli spettatori, e a loro enunciano sconsideratamente le battute, non tenendo più conto né della quarta parete – l’educativa quarta parete, antitesi della telecamera – né del collega a cui un autore ha offerto l’altra metà del dialogo.
Spettacolo che da alcune stagioni è diventato un appuntamento fisso per gli affezionati dell’antico Ambra Jovinelli di Roma. Stavolta, però, la novità: se finora si è recitato in lingua originale (lo spagnolo) adesso è giunta la versione italiana. Ma la primadonna, Alejandra Radano, una giovane bruna, bravissima e molto spigliata, è rimasta sudamericana purosangue e parla un impetuoso italiano tempestato di pampa. Dopo lo spettacolo, nei camerini, l’attrice mi ha confessato di essere venuta a Roma dall’Argentina quando debuttò 4 anni fa sullo stesso palcoscenico e, affascinata dal nostro Paese (non è l’unica ad amarlo; sì, finché non si ha un passaporto italiano, resta una nazione da amare con passione!), qui è rimasta.
Adesso l’accoppiata vincente Piovani-Cerami l’ha praticamente adottata confezionandole una traduzione su misura e regalandole la parte della protagonista, quella che nelle precedenti versioni non aveva. Alejandra ama viaggiare, le piace recitare, ed essa stessa ha deciso di girare il mondo guadagnandosi da vivere con il suo mestiere. Dove andrà, là reciterà… Mah! Evidentemente non ha capito che il mondo assomiglia affatto all’Italia, né l’Italia al mondo. Si scotterà o si bagnerà, chi lo sa… Noi, naturalmente, le auguriamo il meglio.
Roma, 21 agosto 2005
Lasciarsi cullare sull’eco infinita dell’onda: una danzaantica per assaporare il fascino del disagiocome l’appoggio precario della frase d’un adagioma anche l’elegante dondolio di una speranzache brulica tra un ricordo e una fantasia,il sogno primordiale che avvolge e fugge via
Poesia e foto © Fausto Nicolini