IMMIGRAZIONE: «BENEDETTO COLUI CHE VIENE, A PATTO CHE QUALCUNO SE NE VA»
In una pausa, tra la frenetica valanga di battute, allusioni, iperboli e assurdità, dalla platea qualcuno intona un «Bravo» con timbro tenorile, fermo e robusto. Antonio Rezza immediatamente ribatte con decisione: «Lo so», prima di raggiungere l’uscita in quinta, dove viene aiutato a indossare velocemente un’attrezzatura d’astronauta per la successiva piroetta comica. Eppure, non appagato, durante il travestimento, portando bene la voce, aggiunge: «Secondo te, aspettavo te stasera per scoprirlo!» Non c’è nulla di male che un artista sia cosciente della sua bravura: ci sono attori che hanno la necessità di sentirsi bravi per andare in scena con la giusta determinazione; altri che ne possono fare a meno; i più insicuri possono risultare i migliori e viceversa. Non ci sono regole, né, per fortuna, si pagano sovrattasse (per ora) sul talento e nemmeno sull’esibizione del talento, autentico o presunto che sia. Ma quell’ostentazione urlata da fuori palco, come a riempire un vuoto scenico, m’è parsa o finta o di cattivo gusto. O entrambe le cose.

