06 novembre 2025

«Rosencrantz e Guildenstern sono morti», di Tom Stoppard (regia, A. Rizzi)

«Rosencrantz e Guildenstern sono morti», di Tom Stoppard (regia, A. Rizzi)

Roma, Teatro Ambra Jovinelli
5 novembre 2025

IL MALINTESO DELLA FARSA SULL’ESISTENZA UMANA

Al finale, più che perplessi, si resta storditi. Mentre il cuore della platea applaude i propri beniamini al loro debutto romano, qualcuno nelle retrovie si guarda attonito e la domanda, nello sguardo di quei pochi, è facile da intuire: che cosa abbiamo visto? Immediatamente, trasportati dal fragore delle mani che ancora plaudono gli artefici, il pensiero va a loro che dal proscenio ringraziano. Indubbiamente bravi tutti: Paolo Sassanelli una spanna sugli altri, ma anche il giovane Pannofino (Andrea Pannofino) se l’è cavata egregiamente, come pure Chiara Mascalzoni; soprattutto la scena di Luigi Ferrigno, semplice, rustica, agevole e multiforme, ha lasciato un’ottima impressione, trovando ispirazione nell’adattabilità dell’antico carro di Tespi. Ma la domanda che ci assilla resta ancora senza risposta: che cosa abbiamo visto?

Nelle note di regia, Alberto Rizzi avverte di essere sempre stato convinto della genialità dell’operazione di Tom Stoppard che si prefigge di «spiare l’Amleto dal buco della serratura, di guardarlo attraverso i due clown, i due guitti, Rosencrantz e Guildenstern, e di trasformare la più grande tragedia di tutti i tempi in una farsa sull’esistenza umana». E poi aggiunge: «Con questo allestimento vorrei presentare al pubblico italiano uno spettacolo nuovo, divertente, che mescoli l’umorismo inglese di parola, alla comicità fisica della Commedia dell’Arte». Ahi, ahi, l’incauto! Eccolo qui il motivo dello stordimento. L’umorismo anglosassone mescolato alla commedia dell’arte già procura un certo stridore, ma probabilmente Rizzi ha sottovalutato quel che lui stesso ha scritto in precedenza: «in una farsa sull’esistenza umana». C’è un evidente malinteso! La parola esistenza, che fa parte delle intenzioni di Stoppard, nel 1964, quando fu scritta Rosencrantz e Guildenstern sono morti, aveva un valore teatrale che si dibatteva tra il metafisico e l’assurdo. Ci sono delle correnti di pensiero che vanno rispettate. Stoppard non ha scritto una farsa da commedia dell’arte fine a se stessa, con lo scopo di voler divertire il pubblico prendendo in giro il genere umano, ma ha ribaltato la più famosa opera di Shakespeare, come altri di quel filone teatrale iniziato negli anni Quaranta, rigenerarono con uno stile nuovo le tragedie dell’antichità. Su Stoppard, addirittura, pesa enormemente l’influenza di Sartre (A porte chiuse è del 1958), anch’essa una «farsa» sul genere umano, ma una farsa ben lontana da quelle a cui eravamo abituati con gli autori di fine Ottocento.

La commedia dell’arte e i giochi di parole che Rizzi ha cercato di sovrapporre, da noi, si possono facilmente rintracciare nelle commedie di Scarpetta, in qualche dialogo dei Giorni pari di Eduardo, ma sono tutti retaggi di un teatro precedente al grande cambiamento che c’è stato a cavallo della Seconda guerra mondiale. Il gioco sofisticato inventato da Stoppard poco s’addice allo stile grezzo del carro di Tespi e dei loro (pur bravi) scavalca-montagne; l’umorismo inglese poco si sposa con la comicità genuina di Francesco Pannofino e Francesco Acquaroli, spaesati anch’essi da qualche battuta stonata. L’ambientazione teatrale ideata dall’autore è necessaria per recuperare il personaggio di Amleto che con Shakespeare muore, e quindi soltanto dalle tavole di un palcoscenico può rinascere. Rizzi ha tentato di restituire la logica teatrale della nostra antica tradizione a un testo che non contiene quella logica, ma si muove su binari completamente differenti, molto vicini all’opera di Beckett.

Concludo con una puntualizzazione storica e necessaria. Rosencrantz e Guildenstern sono morti è stata scritta per un pubblico avvezzo che conosce a memoria l’Amleto del Bardo e quindi può coglierne le più recondite sfumature. Dal 1953, fino a tutto il decennio successivo, infatti, il Festival del teatro shakespeariano, a Stratford, ebbe una eco mondiale immensa. Gli Amleti più famosi di quel periodo si chiamavano John Gielgud, Laurence Olivier, Alec Guiness, Michael Redgrave, Peter O’ Toole, Jean Louis Barrault, Richard Burton, Maximilian Schell e, proprio nel 1964, il nostro Giorgio Albertazzi. In questo clima governato da giganti del palcoscenico prese consistenza nel giovane Stoppard l’idea di creare un gioco assurdo e di far diventare protagonisti della tragedia più rappresentata, e più rappresentativa del teatro, le due comparse sconosciute e oggi già dimenticate. Una provocazione lanciata ai prìncipi della scena. Inoltre e, di conseguenza, va ricordato che la commedia in Italia non ha mai avuto un gran successo, malgrado nel 1968 fu Franco Enriquez a portarla in ribalta, con Valeria Moriconi e Mario Scaccia. (fn)
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Rosencrantz e Guildenstern sono morti, di Tom Stoppard, traduzione di Lia Cuttitta. Regia di Alberto Rizzi. Con Francesco Pannofino (Rosencrantz), Francesco Acquaroli (Guildenstern), Paolo Sassanelli (Capocomico e Re Claudio), Andrea Pannofino (Alfredo, Amleto e Polonio), Chiara Mascalzoni (Attrice, Gertrude, Ofelia e Polonio). Scene, Luigi Ferrigno. Musiche, Natale Pannofino. Al teatro Ambra Jovinelli, fino al 16 novembre

Con microfoni un po’ troppo alti

Foto: Francesco Pannofino, Francesco Acquaroli, Paolo Sassanelli (© ???)

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