ROSALINDA SPRINT CONTRO IL POLITICAMENTE CORRETTO
Nei giorni che precedono il ventesimo anniversario della morte del suo autore (15 dicembre 2005), Rosalinda Sprint passa, ovviamente sempre di fretta, per la nobilissima via Giulia. Roma che ha accolto Giuseppe Patroni Griffi sin dal 1945, lo ricorda con l’allestimento all’Off/Off theatre di Roberto Maria Azzurro, il quale, in forma ridotta, porta in scena le parole del personaggio simbolo dello scrittore napoletano. Peppino era legatissimo a Rosalinda Sprint, protagonista del romanzo pubblicato nel 1975, dopo undici anni di gestazione; talmente affezionato all’idea della suggestione letteraria che difese strenuamente la sua fantasiosa creatura tra le pagine del libro, proteggendola da qualunque tentativo di volerle attribuire una fisionomia cinematografica o teatrale (qui l’approfondimento sui diritti d’autore).
Roberto Azzurro rispetta questa volontà, presentandosi con discrezione dalla platea, in punta di piedi e in abito scuro maschile, parlando d’altro, prima di affrontare la frenetica e irruenta discesa lungo via Toledo e la conclusiva risalita verso le bianche scogliere di Dover, laddove Rosalinda abbandonerà il suo tenace desiderio di felicità. Si comincia, quindi, con una narrazione impersonale (che invece è personalissima), annunciata da una campanella, anch’essa in forma letteraria, forse addirittura poetica, nella quale il richiamo a Rosalinda Sprint diventa un invito all’ascolto dei fatti di quel maledetto 4 agosto 2017. Ci fu un’aggressione quella sera, dopo che Roberto lasciò casa di sua madre. Ci furono 44 coltellate al collo, all’addome, quando Roberto cercò di difendersi. Ci fu il chiaro tentativo di omicidio, di sequestro di persona, quando Roberto fu rinchiuso sanguinante nel cofano della macchina. Ci fu una corsa all’ospedale, reparto rianimazione. Centinaia di punti di sutura. Un periodo di riabilitazione. E ci fu anche un processo che si concluse, come molti processi italiani, amaramente per la vittima. Una storia lunga e drammatica che Rosalinda Sprint ascolta nell’oscurità della platea. Una storia che appartiene alla realtà, mentre lei, personaggio nato dalla fantasia di un autore, si prepara a condividere la sua rinascita.
Ho chiesto a Roberto Azzurro perché avesse sentito la necessità di voler raccontare la sua tragica vicenda accaduta nelle campagne sannitiche quasi dieci anni orsono: «In pochi versi – ha spiegato l’attore – cerco di descrivere un evento infernale che ho vissuto sulla pelle e nell'animo e che, quindi, appartiene alla realtà, prima di salire sul palco e narrare le avventure del più romantico femminiello napoletano alle prese con la speranza di una vita felice». Un gioco teatrale tra realtà e finzione che vede protagonista il narratore più che il personaggio. «Sì, resto legato alla realtà della narrazione, ossia alla fedeltà del testo, regalando, di tanto in tanto, attimi di immaginazione scenica utilizzando soltanto qualche accessorio». Sul palco vediamo, infatti, un paio di scarpe femminili che l’attore indosserà in tempi scombinati (prima una e poi l’altra), una giacca leopardata per il finale, due valigie per la partenza da Napoli, ci sono anche due copertoni d’auto che servono a trovare riparo. E c’è soprattutto un grande leggio che mantiene alte le parole di Scende giù per Toledo.
Parole audaci, poetiche sì, ma sempre tendenti a scandalizzare: «Com’è bello il pesce! E com’è buono!» Sono i fiori del male del mare di Napoli, che azzardano, che osano, che sfidano. Nella scrittura di Patroni Griffi, colorata a tinte fortissime, c’è la preveggenza di voler fustigare quella falsa mentalità bigotta che soltanto qualche anno fa è riuscita a incatenare certe espressioni stabilendo cosa fosse corretto dire e cosa di scorretto doveva rimanere taciuto. «Il ragazzo crede ancora che tutto quel che ha un nome si può dire», si rimprovera nel romanzo. «Tu sei un ricchione e devi morire», urla disperato di rabbia il padre di Rosalinda Sprint. Non ci sono mai precauzioni conformiste nel linguaggio ritrovato di quella Napoli del Dopoguerra, quando finalmente la città festeggiò la libertà negli occhi sorridenti dei negri: perché «napoletani e negri sono coetanei», dice altrove Mariacallàs, mentre il «nero» si confonde con la miseria e con il terrore della mezzanotte, quando nessuno più è disposto ad aiutarti.
Foto: Roberto Azzurro (© Sara Lauricella)