15 marzo 2025

«Prima della prova», Shakespeare/Colizzi

Roma, Il Cantiere Teatrale
14 marzo 2025

I VERSI CHE CI ACCOMPAGNANO SULL’ISOLA CHE NON C’È

Con il Riccardo III di Shakespeare ci si prepara ad affrontare la prova. Franco Mannella spiega subito al pubblico in sala, che è a digiuno delle nozioni primordiali su come si comincia a costruire uno spettacolo teatrale, il significato di Prima della prova. Anzi, Mannella usa il passato, visto che questa buona abitudine oggi è caduta in disuso, e ricorda i tempi di quando i registi della «vecchia scuola» riunivano per la prima volta la compagnia attorno a un tavolino e leggevano loro il copione agli attori. Una lettura spesso sporca, a volte stonata, anche disturbata, ma valida per un approccio letterario attraverso il quale si accedeva, tutti insieme, passando per un’unica porta. Come se il regista dicesse: «Seguitemi, vi accompagno io all’ingresso». Non era ancora una prova, ma un preambolo che offriva opportunità al maestro di dare le indicazioni di base, tanto generiche quanto provvisorie, ma essenziali per iniziare lo studio da un unico punto di vista, cosicché tutti poi potessero parlare lo stesso linguaggio e intendersi meglio.

Nella piccola sala, intitolata alla memoria di Remo Remotti, ultimo patriota del teatro romanesco, al Cantiere teatrale, lassù, in cima al Casaletto, a pochi passi dal capolinea del tram numero 8, comincia, come fosse un rito, la lettura del Riccardo III nella traduzione in endecasillabi di Pino Colizzi. Il quale, lo si intuisce dalle note a piè di pagina, per raggiungere le elette intenzioni, ha utilizzato varie edizioni in originale, tanto da essere riuscito a recuperare alcune scene che furono tagliate in epoca non recente e che poi altre ristampe non hanno mai più ripassato al torchio. Dunque, alla base di questa traduzione inedita, c’è – e si sente – un’approfondita ricerca bibliografica, oltre a una lunga esperienza con l’endecasillabo. Si tratta di un verso sciolto, ossia con rime e assonanze che cascano là dove capita, ma che seguono un nitido e, direi, implacabile ritmo che dona alla tragedia grande intensità e restituisce ai personaggi nobile carattere letterario. D’altronde se Shakespeare stesso utilizzò il pentametro giambico è giusto rispettare il valore poetico, un altro rito che si prefigge un preciso scopo.

Palcoscenico sgombro, fondale nero, pochissime luci, un leggio che sorregge un tablet, la cui luminosità schiarisce appena i contorni del viso dell’attore, che dopo il prologo «dimentica» di dover leggere come un regista seduto al tavolino, ma con maggior professionalità comincia l’interpretazione di tutti i personaggi in locandina. Un lavoro immenso, appassionato e condotto con rara precisione. «Ora l’inverno delle nostre pene / è divenuto una gloriosa estate…». Due giorni fa scrissi a proposito del «Moby Dick» presentato dal Teatro dell’Elfo al Vascello: «… se il testo è scritto in versi, perché ignorarli?». A Mannella sono bastati non più di cinque endecasillabi, scanditi bene, per creare un clima poetico e drammatico, per rapire l’attenzione di una platea e portarla nell’alloggio di Riccardo dove si apre l’atto. I versi, se declamati con precisione, hanno la potenza di catturare l’ascoltatore con un linguaggio che non è quello che ci ubriaca ogni istante della giornata e dal quale, spesso ormai, ci difendiamo per non essere tartassati e aggrediti da inutili informazioni, e condurlo a sé, cioè riescono con poco a portarlo più in alto, a elevarlo dalla cattive abitudini della quotidianità per accompagnarlo sull’isola che non c’è. Ma che talvolta salta fuori da qualche libro!

«Io no! Non sono adatto alle mollezze; / non mi guardo allo specchio per disgusto, … ho un corpo che s’oppone all’armonia, / frodato anche nel volto da natura, / deforme, non compiuto; innanzi tempo / vomitato al respiro della terra, / per metà, son completo; ed anche quella / è ridicola e goffa; il cane latra / quando gli passo zoppicante accanto». È la tragedia di Riccardo Plantageneto, quella che spesso nelle rappresentazioni in teatro, complete di cast, scene e costumi (e talvolta anche di una regia) viene offuscata dall’immagine invasiva di un finto storpio che diventa più forte della parola.

Al termine della lettura del primo atto (repliche oggi e domani – a fine articolo il calendario completo degli appuntamenti), Mannella ha chiesto se avessimo sentito la necessità di rivedere, in un prossimo futuro, lo spettacolo in versi e con i personaggi interpretati non più da un solo mattatore ma da tanti attori quanti sono i ruoli. In verità, avendo già visto molte regie, la sua performance m’è sembrata una piacevole novità, soprattutto perché traduttore e interprete si sono inconsapevolmente accordati nel tirar fuori da una tragedia, tra le più scellerate, tanti particolari umoristici che spesso vengono soffocati o passano in secondo piano. Ricordo l’ultima edizione con Pierobon in cui è trapelato qualche effetto sarcastico, ma ascoltarli da una versione certamente non adattata, quindi molto vicina alla stesura dell’autore, è un regalo raro che invece andrebbe riproposto in altri teatri, o nelle scuole come forma d’istruzione. Ma la scuola, si sa, non contempla né Shakespeare e né il teatro. La scuola è esattamente come Riccardo III: fa il male mentre lo condanna! (fn)
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Prima della prova, il Riccardo III di William Shakespeare nella traduzione in endecasillabi di Pino Colizzi. Tre incontri con Franco Mannella. Produzione: Arotron. Al Cantiere Teatrale (Acc. G. Arnone), circonv. Gianicolense 307

Il programma: I atto: 14-15-16 marzo; II e III atto: 28-29-30 marzo; IV e V atto: 11-12-13 aprile

Inoltre, al teatro Elicantropo di Napoli, dal 3 al 6 aprile, sarà replicato il primo atto

Foto: Franco Mannella (© ???)

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