UN’ORA DI DELIRIO DA ATASSIA CEREBELLARE DA PALCOSCENICO
Quando l’attrice comunica al pubblico che lo spettacolo è finito, comincia quella parte che gli antichi chiamavano esodo, ossia l’ultimo canto del coro. Nella tradizione della tragedia greca è la parte riservata al Deus ex machina, mentre in Overload è la parte riservata all’automobile. La compagnia si riunisce in scena al completo, ciascuno prende posto nell’abitacolo di una ipotetica vettura e partono insieme alla volta di una meta sconosciuta. Il viaggio non dura molto, ma il racconto, sia per drammaturgia, sia per intensità di recitazione, sia per pathos, cattura lo spettatore, afferra la sua attenzione e lo porta – senza fiato – fino al suono dell’ultima sillaba. In questo breve concertato a cinque accade che gli autori (il testo è firmato nel suo concepimento dal nome della compagnia, Sotterraneo, anche se la scrittura è di Daniele Villa) descrivano un episodio che non fa parte del nostro quotidiano vissuto, delle nostre abitudini, delle nostre cattive prestazioni; è un episodio per molti nuovo, benché conosciuto da tutti, e certamente mai nessuno l’ha sentito narrato con tanti particolari da renderlo addirittura affascinante nella sua crudeltà. Ebbene, l’esodo di «Overload» è l’unica parte interessante dello spettacolo; l’unica ben recitata, l’unica costruita con arguzia teatrale: la più innovativa, la più drammatica, la sola che riesce a catturare l’attenzione dell’intera platea. Applausi assicurati!
Ma cosa è accaduto prima, durante quasi un’ora di delirio da atassia cerebellare da palcoscenico? In pratica, non è accaduto niente, perché nulla poteva accadere: l’atassia cerebellare è, infatti, un disturbo del cervelletto che, sulla base degli impulsi ricevuti, non riesce più a coordinare il movimento muscolare, il linguaggio, l’equilibrio e la postura del corpo. Diagnosi ineccepibile: la scena soffriva precisamente di tutte queste anomalie. Tuttavia, a conforto della mia convinzione, prima di raccontare quel che ho visto, occorre sottolineare che l’idea dello spettacolo – il «concepimento», com’è scritto in locandina – è assai intelligente, è un tentativo (a mio avviso sviluppato malissimo) di protesta per denunciare una grave disfunzione che comincia a minacciare l’umanità: l’abbassamento della soglia d’attenzione. L’abuso di strumenti tecnologici sta riducendo progressivamente la nostra capacità di concentrazione. È un problema questo al quale si sono interessati studiosi e giornalisti specializzati perché riguarda soprattutto le generazioni più giovani che del cellulare non sanno fare a meno.
Per dimostrare i danni che procura il sovraccarico (è la traduzione letterale di overload) di informazioni tecnologiche, la compagnia Sotterraneo inventa un sovraccarico di informazioni in palcoscenico: per cui, mentre uno scrittore morto suicida cerca di raccontare il suo ultimo giorno di vita (una possibilità che con l’intelligenza artificiale si potrebbe avverare), costui viene continuamente annullato dagli interventi più inaspettati. Con un escamotage abbastanza elementare è il pubblico a decidere quando interrompere il monologo di Wallace per passare a un altro argomento con la stessa semplicità con cui il dito indice strusciato sullo schermo dello smartphone chiude le finestre che non sono di nostro gradimento aprendo quelle che forse potrebbero affascinarci di più. Siccome però la soglia dell’attenzione, secondo studi scientifici, è scesa a meno di dieci secondi per individuo, ecco che una miriade di personaggi indesiderati e di situazioni chimeriche si alternano sulla scena senza una logica, senza un principio e senza un fine: dal pilota della Ferrari che esulta a Babbo Natale che porta i regali, da un incontro di tennis femminile ai sussulti di un orgasmo, dal gladiatore romano che non fa nulla all’incidente in motorino che scaraventa in terra un corpo morto di giovane centauro.
Foto: La compagnia Sotterraneo (© Filipe Ferreira)