11 marzo 2025

«non era così», un ritratto di Luca Ronconi

Roma, Teatro Argentina
10 marzo 2025

«L’UOMO CHE VIVE SOGNA IL RE, IL SUO TRONO E VIVE NELL’INGANNO»

A dieci anni dalla scomparsa, il Teatro di Roma ricorda il grande regista con una serata evento «per celebrare l’eredità di un maestro che ha rivoluzionato il teatro europeo con il suo genio e la sua instancabile ricerca»

Luca Ronconi ha diretto il Teatro Stabile di Roma dal 1994 al 1999 portando sul palcoscenico dell’Argentina spettacoli memorabili, e ieri sera quello stesso palcoscenico gli ha reso omaggio a dieci anni dalla scomparsa. Era doveroso per Roma ricordare uno dei più importanti protagonisti del nostro teatro del secondo Novecento. Se non il più grande, certamente il più coraggioso: quello delle sfide impossibili, il regista degli spettacoli interminabili, quello che forse ha osato di più approfittare della pazienza degli spettatori tenendoli ore e ore inchiodati alla poltrona con opere maestose e allestimenti sempre imprevedibili. A dar voce al suo teatro, cinque star: Annamaria Guarnieri, Laura Marinoni, Massimo De Francovich, Giovanni Crippa e Massimo Popolizio. Coordinati da Giacomo Bisordi, ciascuno, da solo o in coppia, ha letto, ha declamato, celebrato, rispolverato, rievocato, riecheggiato – non saprei, la parola giusta sceglietela voi – quel teatro che una volta «non era così» come lo si fa oggi, ma era un’altra emozione, e non soltanto perché eravamo più giovani, ma perché dietro quel teatro c’erano grandi maestri, tra cui Luca Ronconi, classe 1933.

Ovviamente al cronista non spetta scrivere un ritratto del maestro, ma la serata, tra letture dal vivo e registrazioni video, ha offerto alcuni spunti per ricordare la complessità degli allestimenti che Ronconi dirigeva con (in apparenza) grande semplicità, un traguardo che poteva raggiungere soltanto attraverso un enorme impiego di energie, di mezzi, di possibilità, ma anche attraverso uno studio profondo della parola e dell’attore che aveva tra le mani e che riusciva a plasmare con trovate sorprendenti, ma sempre logiche. Come ha giustamente detto Francesco Siciliano, introducendo l’evento, l’opera di Ronconi sull’attore cominciava dall’ingresso in scena: spiegava l’atteggiamento, il tempo, la postura, tutto serviva a creare un’idea, a dare un significato. Ronconi era famoso per le pause tra una parola e l’altra: Massimo De Francovich, subito ne ha dato prova con un brano tratto da «Lehman Trilogy» (ultima regia del maestro, del gennaio del 2015 al Piccolo di Milano): «Qui (pausa) a New Orleans l’aria (pausa) è secca». Mentre la prima sospensione fa parte di una logica abbastanza comune, la seconda è una tipica genuflessione ronconiana, una sottolineatura carica di significati che verranno. Al momento nessuno saprà mai cosa si nasconda in quel tempo sospeso che separa il soggetto dal verbo, ma dopo… dopo ugualmente non lo sapremo mai, ma ne resteremo per sempre affascinati, imbrigliati in un contesto a spirale che ci porterà in un mondo dove mai avremmo pensato di approdare, presi per mano da una pausa.

Ronconi sapeva fare questo: acchiapparci – a noi spettatori, ignari e consapevoli, uno ad uno – per traghettarci nelle sue atmosfere, ogni volta diverse, con delle pause. Osservando il teatro di oggi ci si potrebbe chiedere se fosse stato possibile, allora, un simile prodigio. Sì, era possibile, tant’è che a volte si usciva dalla sala protestando, scalpitando, brontolando, sbuffando per l’insofferenza, eppure a lungo restava viva la sensazione d’aver compiuto un viaggio straordinario, come quando (nel 1996 all’Argentina) ci accompagnò all’interno del condominio di via Merulana 219, dove Gadda ambientò il suo Pasticciaccio brutto, e ci fece vivere il romanzo con le sue frasi precise e la sua scrittura sporca, nella quale lui aveva seminato, nelle battute di Ingravallo, pause che ci facevano soffrire, perché la trama era così avvincente che l’attesa diventava straziante, ma grazie a quelle pause il godimento era assoluto perché erano brevi momenti di riflessione per risolvere l’enigma insieme al commissario. Cinquanta attori in scena e non si perdeva nemmeno il senso di un silenzio. E si rimaneva col fiato sospeso quando la facciata del palazzo si abbatteva sulla folla.

«L’uomo che vive sogna il re, il suo trono e vive nell’inganno, comandando, disponendo e governando… E l’applauso che riceve in prestito... nel vento scrive... », sono parole di Calderòn de la Barca che sembrano scritte appositamente per Luca Ronconi che ha sempre vissuto del meraviglioso inganno del teatro. Le ha pronunciate Massimo Popolizio, il quale però, prima di cominciare a declamare il brano da «La vita è sogno» (Teatro Strehler, Milano, 2000), scrive una frase in cui confessa di aver conosciuto anche un Ronconi «violento, uno che mi sostituiva con un altro più giovane». Il maestro lo dice chiaramente: «Ogni rappresentazione è un tradimento». Un tradimento nei confronti del testo, sì, dell’autore certamente, ma mettiamoci nelle vesti dei collaboratori più fedeli, quale è stato Popolizio, delle voci che il regista ha usato a suo piacimento, dei fisici di cui s’è servito per giocare a muovere i personaggi, e dei caratteri particolari che lo hanno illuminato: allora si può comprendere che il tradimento di un regista è una violenza anche per un attore, seppur a volte necessaria.

Il carattere particolare, per esempio, Ronconi lo individuò in Laura Marinoni quando le propose di interpretare la madre di Lolita di Nabokov («Lolita sceneggiatura», Teatro Strehler, 2001) al limite di una eccessiva caratterizzazione. Un’autentica novità, sia per il regista che per l’interprete. Le immagini dello spettacolo scorrono sul grande schermo mentre l’attrice, con Giovanni Crippa (nel ruolo dell’autore), legge le battute in perfetto sincrono lasciando spazio agli interventi registrati di Franco Branciaroli, purtroppo assente. Della scena colpisce la capacità di Ronconi di far muovere gli attori in un ambiente che cambia di continuo: uno spazio che da giardino diventa sala, poi camera, poi bagno e poi di nuovo giardino. Gli arredi scivolano tra i personaggi del racconto, insieme a Nabokov che li segue e li commenta, partecipando emotivamente al trambusto imposto dalla regia. Uno slalom che sembra una danza.

Giovanni Crippa è poi tornato in scena con De Francovich in un suggestivo squarcio tratto dai «Fratelli Karamazov», realizzato a Roma nel 1998: «Un problema di fede – spiega il maestro in un’intervista – ma non di fede cristiana, piuttosto fede in qualcuno». Fede come necessità di sopravvivenza al di là di Dio e dell’immortalità: sono i discorsi che affronta Ivan Karamazov in una scena spoglia, dove una lunga tavolata disegna prima una mensa e poi la pedana che accoglie il grande Inquisitore che brucerà Cristo sul rogo degli eretici. Un lungo monologo quello di De Francovich che scivola sulla registrazione video. Se ne sono viste parecchie ieri sera di testimonianze visive e mai ho notato un attore rivolgersi verso la platea: come si recitava bene quarant’anni fa. Si rispettava il testo, l’autore (anche per gli immensi Karamazov, Ronconi scelse una rilettura fedele, senza drammaturgia, senza drastici adattamenti), si dava l’opportunità agli attori di dialogare con gli attori, non con il pubblico. Gli attori erano concentrati sul dramma e non sulla ricerca dell’effetto personale. Era un teatro ancora avulso dalla sciagura televisiva e obbiettivamente era più elegante.

Un fragoroso applauso accoglie Annamaria Guarnieri che si stupisce dell’omaggio che le riserva la platea gremita dell’Argentina. Lei è lì per riproporre le battute della madre di «Peer Gynt» che legge insieme a Popolizio, ma un ricordo sovviene nel teatro della memoria. La Guarnieri, ieri sera, era l’unica che poteva ricordare Ronconi attore all’inizio della sua avventura. Era la stagione 1956, quando Luca Ronconi entrò a far parte della compagnia dei Giovani partecipando all’allestimento che regalò alla compagine di De Lullo il primo grande successo di una lunga serie: «Il diario di Anna Frank», lei era Anna, lui era Peter. (fn)
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Non era così, un ritratto di Luca Ronconi, regia e drammaturgia di Giacomo Bisordi. Con Annamaria Guarnieri, e (in o. a.) Giovanni Crippa, Massimo De Francovich, Laura Marinoni e Massimo Popolizio. Video, Igor Renzetti. Suono, Dario Felli. Produzione: Teatro di Roma in collaborazione con Piccolo teatro di Milano e Centro Teatrale Santacristina. Al teatro Argentina, serata unica

Foto: in alto, Luca Ronconi (© ???); le tre immagini in basso fanno parte del mio archivio e ritraggono Ronconi con la Guarnieri nel «Diario di Anna Frank», regia di De Lullo

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