ROBERTO LATINI DETERGE LA VANITÀ UMANA IN UNA VASCA PIENA D’ACQUA
La parola chiave per leggere l’accostamento che Roberto Latini fa dei testi di Leoncavallo e di Pirandello è la vanità. Sia Pagliacci, opera lirica dove la voce tenorile intona il famosissimo «Ridi, pagliaccio, sul tuo amore infranto», che All’uscita, commedia in cui due anime riflettono, nell’aldilà, sul valore dei sentimenti dei vivi, hanno come comun denominatore la vanità umana, nelle due accezioni del suo significato. Nel primo caso, la vanità, ossia il compiacimento di sé e delle proprie qualità – in questo caso, ferite – porta un pagliaccio tradito dalla moglie ad uccidere il rivale. È la storia che Leoncavallo visse da bambino, assistendo all’uccisione del suo tutore, e che anni dopo raccontò in musica, costruendo un dramma all’interno di una commedia, così che la realtà potesse irrompere nella finzione teatrale. Nel secondo caso, la vanità è l’inconsistenza dei sentimenti dei vivi, i quali sentono la necessità di edificare tombe, non per conservare le spoglie dei loro cari (così come si crede: «di noi poveri morti, dopo un po’ di tempo, che volete che resti in quelle fosse», dice lo spirito filosofo), ma per custodire e proteggere i loro sentimenti, che altro non sono che vane illusioni, ancor più vane delle anime dei defunti.