06 aprile 2024

«Il giuocatore» di Carlo Goldoni


Roma, Teatro Sala Umberto
5 aprile 2024

LA CITTÀ DEL VIZIO VISTA DA ROBERTO VALERIO

Mettere in scena, oggi, Il giuocatore di Carlo Goldoni significa aver osservato il mondo, significa aver compreso una delle più drammatiche piaghe della società, significa anche mostrare, a chi lo ignora, quel che sta succedendo in un silenzio quasi generale. Il gioco delle carte, è vero, è passato in secondo piano, ha perso il fascino che aveva nei salotti di cinquant’anni fa, quasi non viene più visto come un grave pericolo, ma la ludopatia – la malattia che sta contagiando decine di migliaia di giocatori compulsivi, tra sale bingo, gratta e vinci, lotterie di ogni tipo, e un numero infinito di giochi (gratuiti e a pagamento) che abbiamo a portata di clic sul cellulare e che ci rubano tempo e soldi – è fortemente in crescita ed è vista dagli specialisti come una delle patologie più urgenti da affrontare. E Goldoni, frequentatore dei locali da giuoco, già nel 1750, con quest’opera pare voglia lanciare l’allarme.

Roberto Valerio, regista raffinato, sceglie il testo, che descrive con leggerezza i vizi di una comunità, cambiandogli l’abito della mascherata. Tra i personaggi citati dall’autore, infatti, troviamo Brighella, Arlecchino, Pantalone, Colombina, insieme a Florindo, Lelio, Rosaura, insomma le classiche figure della commedia dell’arte. Molti di loro, per Goldoni, sono giocatori incalliti posseduti dall’impulso delle carte che passano dalle mani dei padroni a quelle dei servitori formando il cerchio vizioso della società. Tra tutti costoro Valerio sceglie di lasciare soltanto quelli necessari allo svolgimento della vicenda: concentrando la sventura su un solo giocatore compulsivo, Lelio, promesso sposo di Rosaura, figlia di Pantalone. Accanto a loro Pancrazio e Gandolfa che vivono una storia parallela prettamente comica, ma non esente dal vizietto dell’anziana sorella di Pantalone, ossessionata da audaci desideri libidinosi.

Sarà stato per la rappresentazione di più vizi, sarà stato per un'osservazione che descrive i mali «della città del vizio» (che però non credo sia di Goldoni), sarà stato per le improvvise atmosfere drammatiche tipiche del giocatore narrato da Dostoevskij, che l’affascinante scenografia di Guido Fiorato ha trovato una idonea collocazione nelle sfumature surreali della Brest di Genet, disegnata da Fassbinder, in un famoso film. Lì era la città del vizio in riva al mare protetta da un pontile sull’oceano che ospitava marinai assetati di sensualità omosessuale, qui sembra più la tolda di una nave che si protende verso l’orizzonte delle virtù che accoglie intrighi, menzogne e manipolazioni del giocatore d’azzardo.

Al personaggio di Pancrazio, Valerio affida molte battute di Brighella, fors’anche di Arlecchino, cosicché egli invece di un signorotto borghese diventa un locandiere con antiche amicizie altolocate: addirittura il corteggiatore della sorella del ricco Pantalone de’ Bisognosi. Così, la comicità di Goldoni, da sempre spaccata nettamente tra il reparto signorile e quello della servitù, qui si amalgama bene in un ambiente unico – più democratico, se vogliamo! – dove anche i sentimenti si fondono senza pregiudizi tra cittadini di differenti classi sociali.

Mattatore del vizio è Alessandro Averone, il Lelio più compulsivo che si possa immaginare, capace di rendere possibile anche il momentaneo sbandamento per la vecchia Gandolfa a cui in cambio chiede soltanto pochi spiccioli: e quando la voce della verità, che appare come il fantasma di un’ombra risorta (altra immagine che evoca lo scrittore russo), sentenzia che «il vizio del gioco sta nelle viscere», il personaggio di Averone sembra trasformarsi in una figura posseduta dal diavolo, pronto a barattare l’amore di due donne, e pure i soldi, soltanto per il gusto del gioco. Così si capisce che perdere il denaro in una partita a carte diventa, per il ludopatico, il prezzo per comprare il piacere; mentre le più rare vincite servono al diavolo per allettare il disgraziato al vizio, per tirarlo a sé tra i tentacoli delle sue tentazioni.

Sembra più un noir che una commedia, ma a ricordarci che si tratta di un’opera goldoniana, ci pensa l’ottimo Nicola Rignanese che caratterizza il Pancrazio bifronte, sempre disponibile a «farsi dar legnate» e all’occorrenza prontissimo a ballare un tango con quella «spudorata» di Gandolfa, interpretata da una superba Alvia Reale, finalmente investita dal soffio della leggerezza, spiritosa con occhiali anni Settanta, all’altezza delle sue rinomate possibilità. Questa è la strada!

Meritevole di particolare encomio è Mimosa Campironi, soprattutto grazie a una incantevole esibizione (come Rosaura) canora di un pezzo con sonorità antiche ma accompagnata dal sottofondo di una musica moderna; oltre a recitare, suona il pianoforte in scena e sue sono le musiche. Quindi c’è da immaginare che anche l’impostazione della gustosa cantata di Gandolfa sia sua. Bravi tutti gli altri elencati di seguito. (fn)
____________________
Il giuocatore di Carlo Goldoni, adattamento Roberto Valerio. Con Alessandro Averone (Florindo), Mimosa Campironi (Rosaura), Alvia Reale (Gandolfa), Nicola Rignanese (Pancrazio), Massimo Grigò (Pantalone), Davide Lorino (Un giuocatore e un passante), Roberta Rosignoli (Beatrice), Mario Valiani (Altro giuocatore e il servitore). Scene e costumi Guido Fiorato. Musiche originali Mimosa Campironi. Luci Emiliano Pona.  Regia di Roberto Valerio. Produzione Teatri di Pistoia – Centro di Produzione Teatrale

Foto: la scena di Guido Fiorato (© Ilaria Costanzo)

Pour vous