27 novembre 2022

«L'ombra di Caravaggio», film di Michele Placido


Roma, Cinema Lux
21 novembre 2022

MICHELANGELO MERISI, IL FUORICLASSE

Il Caravaggio di Michele Placido certamente vince, ma non convince, o forse convince poco. Vince perché Michelangelo Merisi è un fuoriclasse nell’arte e nella vita – un’esistenza che sembrerebbe proprio il frutto di un soggetto cinematografico – e vince soprattutto perché Riccardo Scamarcio ne interpreta l’animosità, il tormento e la ribellione con vigorosa efficacia. Vincente, lui, nella somiglianza oltre che, incisivo e persuasivo, nella recitazione. Il film vince, anzi stravince, perché il realismo pittorico di Caravaggio si presta a una teatralità incantevole: la realtà stessa da cui trae ispirazione diventa opera d’arte ancor prima di essere dipinta; non sono poche le sequenze dedicate alla sensibilità artistica del pittore che perfino dal cadavere di una sua modella (Annuccia Bianchini, morta suicida nel Tevere) ne ricava l’ennesimo capolavoro, «Morte della Vergine», 1604.

24 novembre 2022

«Porco mondo», di Francesca Macrì e Andrea Trapani

Roma, Teatro Basilica
23 novembre 2022

 QUANDO SEI QUI CON ME… IO FUGGO

«Quando sei qui con me, questa stanza non ha più pareti, ma alberi, alberi infiniti, quando sei qui vicino a me…». La canzone di Gino Paoli, «quello che ha la pallottola incastrata nel cuore», è qualcosa in più del leitmotiv di Porco mondo, testo scritto a quattro mani, dieci anni fa, da Francesca Macrì e Andrea Trapani, in scena al Teatro Basilica di Roma fino al 27 novembre. Paoli nel 1963 fu vittima di un incidente da arma da fuoco – si ipotizzò anche un tentativo di suicidio – per cui da allora il cantante convive con un proiettile nel miocardio perché i medici giudicarono troppo rischioso intervenire chirurgicamente. Quella pallottola – che nello spettacolo viene soltanto ricordata – in effetti, diventa il simbolo incandescente e pericoloso del tentativo di dialogo estremo che la coppia protagonista cerca al contempo di instaurare e di evitare nella loro stanza dal cielo fin troppo cupo.

11 novembre 2022

«La stranezza», film di Roberto Andò

Roma, Cinema Lux
9 novembre 2022

PIRANDELLO IN SICILIA CON I SEI PERSONAGGI

Ogni domenica mattina Luigi Pirandello aveva l’abitudine di «dare udienza» ai personaggi delle sue novelle. Cinque ore: dalle otto all’una. Quasi sempre gli sembrava di stare in cattiva compagnia, ma, per dovere di autore, sopportava. In occasione dell’ottantesimo compleanno di Giovanni Verga, dovendo assentarsi da Roma per raggiungere la Sicilia, lasciò loro un biglietto: «le udienze sono sospese». Prese il treno, e durante il viaggio si accorse di essere anche lì in pessima compagnia di sei personaggi che, incuranti dell’avviso, lo stavano seguendo: erano tutti nello stesso scompartimento, di fronte a lui, ciascuno nel suo atteggiamento ostinato, proprio come s’erano già presentati nel suo studio romano qualche tempo prima.

«Diario licenzioso di una cameriera», di Mario Moretti


Roma, Teatro Sophia
11 novembre 2022

AMMICCAMENTI IN GUÊPIÈRE

Quando cominciai a far teatro – sul serio – gli attori avevano a disposizione trenta o quaranta giorni di prove per assimilare bene lo spettacolo che s’apprestavano a rappresentare. Eppure i capocomici pretendevano da loro che, al primo giorno di prove, la memoria fosse già ben avviata: significa che, quando la compagnia si riuniva attorno a un tavolo per la prima lettura del regista, che tutti chiamavano maestro, i commedianti sapevano, anche se non perfettamente, già ripetere a mente le battute del copione corrispondenti al proprio ruolo. Durante il lungo periodo di prove, infatti, si dovevano memorizzare le intonazioni, rispettare i movimenti impartiti dal regista, trovare la gestualità del personaggio, modificare le intenzioni per accordarsi tutti come in un’orchestra, seguendo quei tagli e quelle piccole correzioni al testo che completavano la regia; e soprattutto assorbire tutto questo affinché parole, toni, movimenti e gesti acquisissero la leggerezza della quotidianità, la naturalezza dell’indipendenza, ossia quella capacità di far apparire ogni cosa indipendente l’una dall’altra, anche se in pratica – e lo sa bene chi fa teatro – si tratta dell’esatto contrario. Ma il teatro è finzione, e la prima finzione di un attore è quella di nascondere al pubblico la propria tecnica, è quella di camuffare al meglio i propri difetti; è quella di far apparire semplice ogni difficoltà affrontata in prova. Ecco perché occorre arrivare preparati, con la parte imparata a memoria, al primo giorno di prove.

08 novembre 2022

«Il berretto a sonagli», di Luigi Pirandello

Roma, Teatro Quirino
8 novembre 2022

LAVIA PORTA CIAMPA AL TEATRO DEI PUPI

«Dovrebbe bastare, santo Dio, esser nati pupi così per volontà divina. Nossignori! Ognuno poi si fa pupo per conto suo: quel pupo che può essere o che si crede d’essere. E allora cominciano le liti.» È uno dei ragionamenti cardine che Luigi Pirandello fa dire a Ciampa, protagonista del Berretto a sonagli nella bella e inconsueta edizione di Gabriele Lavia. E la suggestiva scena – firmata da Alessandro Camera – prende spunto da questa battuta per diventare quel sacco che per reggersi ha bisogno di lasciar entrare la ragione e i sentimenti che han determinato il fatto da esporre. Sì, perché un sacco vuoto non si regge, avverte altrove Pirandello. E allora, dato per assodato il netto cambiamento epocale rispetto al presente che non saprebbe come prendere in considerazione uno scandalo familiare d’inizio novecento, è meglio che codesto sacco si riempia di quei sentimenti atavici e originali della Trinacria.

«The wasp», di Morgan Lloyd Malcolm


Roma, Teatro Belli
7 novembre 2022

VERY GOOD PLAY!

Al Belli il sesto appuntamento della rassegna Trend sulla nuova drammaturgia inglese propone The wasp, una commedia noir, assai intrigante e ben scritta da Morgan Lloyd Malcom che, con un impeccabile senso della suspense, assesta due colpi di scena molto avvincenti capaci di rapire l’attenzione dello spettatore, ma anche di inchiodare il critico al silenzio coatto: raccontare la trama di un thriller affascinante, o svelarne i meccanismi, sarebbe errore imperdonabile.

Senza perderci d’animo, analizzeremo altro.
Dall’inglese, «the wasp» si traduce con «la vespa», ma nel bel mezzo della vicenda scopriamo che si tratta di un insetto molto più sofisticato nella sua crudeltà, denominato il falco delle tarantole. La femmina di questo particolare Pompilidae (Wikipedia ci aiuta a trovare sinonimie appropriate), quando deve deporre il suo unico uovo va a caccia della tarantola. L’insetto, dotato di un ottimo fiuto, riesce a individuare la preda anche all’interno della tana. Facendosi largo tra le ragnatele, con il potente pungiglione colpisce la vittima in pieno petto, paralizzandola con il veleno. Quindi, all’interno del corpo del ragno, introduce l’uovo che genererà una larva, la quale si ciberà delle sue interiora fino a quando avverrà la metamorfosi e sarà in grado di spiccare il volo salutando la tarantola che l’ha ospitata e che ormai è ridotta a cadavere.

06 novembre 2022

Intervista a Carlo Ragone


Roma, Teatro Vittoria
5 novembre 2022

IL TEATRO FORGIA IL PENSIERO CRITICO, MA NON SI INSEGNA A SCUOLA

È salernitano, Carlo Ragone, ma non troppo. Sì, sono nato a Salerno nel 1967, ma poco dopo sono rinato a Napoli.
Ancora neonato fui ricoverato al Policlinico di Napoli per una grave forma di itterizia. Lo chiamavano ittero mortale. Qualcuno mi dava per spacciato, invece grazie alle cure del professor Lupo, sono ancora qui.

Un miracolo?
Forse. Quando mia madre ringraziò il dottore, lui le disse: «Non dovete ringraziare me. Dovete ringraziare San Gennaro: questo bambino ha la forza e la volontà di vivere e vivrà. Una storia che racconto anche nello spettacolo che porto in scena».

05 novembre 2022

«Conta che passa la pazza» di e con Irma Ciaramella


Roma, Teatro Porta Portese
4 novembre 2022

IL DELIRIO, O DIALOGHI CON UNA CAFFETTIERA

Chi può dire se sia meglio perdere la memoria o se prendere coscienza di essere diverso dagli altri, tra loro simili, e sentirsi all’improvviso esclusi dal mondo che ci ha accolti fino a quell’istante? Il quesito resta senza risposta, perché sia gli uni che gli altri si abbandonano a uno stato patologico di assurde convinzioni. Il delirio.

04 novembre 2022

«Buonasera a tutti», di Peppe Barra


Roma, Off/Off Theatre
3 novembre 2022

UN BAMBINO DEL 1944 SEDUTO SULLA SEDIA

Eduardo, quando frequentava i set cinematografici, ai giovani che gli chiedevano timorosi cosa occorresse per far cinema, abituato alle estenuanti attese tra una ripresa e l’altra, rispondeva sicuro: «Giovanotto, procuratevi una sedia». Peppe Barra fa eccezione. Lui fa teatro, ma una sedia se la procura sempre. Ormai in quasi tutti gli spettacoli di Barra la sedia campeggia in proscenio. È diventata la cifra stilistica delle sue performance: per lui, diremo, è una sicurezza necessaria, perché Barra ha un’età certa; per noi seduti in platea, invece, quella sedia rappresenta la sua generosa convivialità. Peppe Barra ama il pubblico e sedendosi di fronte ai suoi spettatori comincia a conversare amichevolmente senza neanche troppo impegno, pare.

03 novembre 2022

«Agamennone», di Ghiannis Ritsos


Roma, Teatro Tor Bella Monaca
2 novembre 2022

IL RE SI PERDE IN UN BICCHIER D’ACQUA

L’Agamennone del poeta ellenico Ghiannis Ritsos mostra una sottile novità che fa da sfondo alla pena che deve scontare un re osannato dal popolo, «un re perfetto» com’è definito nel prologo. Agamennone, pur se acclamato vincitore in patria, sente su di sé l’ineluttabile condanna della vecchiaia. Dopo dieci anni trascorsi a capo dell’esercito greco in quel di Troia, su di lui ora grava il peso della fatica del tempo trascorso, anziché l’entusiasmo dell’eroe trionfante.

Il re diventa uomo. Infatti, è la decadenza dell’uomo. Fisica e morale. Ma non solo: c’è dell’altro.

«Preparami l’acqua per un bagno caldo», chiede alla moglie Clitennestra che lo accoglie in casa come un perfetto estraneo. E così comincia, da parte di lei, un sadico gioco fatto di acqua versata in un numero esorbitante di bicchieri: travasi continui, effettuati prima con una brocca e poi con le mani, goccia a goccia per tutto il tempo dello spettacolo. È vero: «Gutta cavat lapidem» dice il proverbio, la goccia scava la roccia. Quella goccia costante, nelle mani di una moglie che aspetta il marito da dieci anni, diventa l’arma letale che consuma e spegne ogni tentativo virile.

Non so quanto l’acqua faccia parte del testo originale di Ritsos, ma nella messa in scena di Alessandro Machìa, l’acqua diventa la reale protagonista della tragedia. La regia pone il tavolo di lavoro a centro scena, lasciando lateralmente Agamennone fiaccato nello spirito sia dal combattimento che dalla freddezza della consorte: così la regina solitamente antagonista prende il sopravvento a discapito del re, il cui nome trionfa sul manifesto (un «quasi equivoco» riuscito perfettamente anche a Shakespeare con il Macbeth). Ma, la vera sorpresa scenica è che Clitennestra attira su di sé la concentrazione degli spettatori non pronunciando mai una sola parola, anzi, riuscendo ad esprimere l’intera gamma dei suoi stati d’animo attraverso una precisa gestualità danzante, manipolando l’acqua per farla rimbalzare sul tavolo delle sue fatture, e la goccia emette un suono, e i bicchieri cantano roteando il dito sul bordo, e il liquido assume prima fascino e poi ostilità. Clitennestra, grazie a questo magico incantesimo mima luci e ombre dell’acquario del suo mutismo e al contempo grida l’odio verso lo sposo con la violenza di un bicchiere rovesciato.

Lei è giovane e bella, con l’amante (Egisto, che mai appare) pronto a prendere il posto del re. Lui è vecchio, adagiato ormai nella stanchezza che è diventata il suo spazio, il suo linguaggio. «A che servono le parole», si chiede nel delirio dell’accidia. Vuole solo farsi un bagno caldo e niente altro. Dopo dieci anni di battaglia comprende che il suo corpo ha perso l’abitudine di possedere la sua donna. Sta per invitarla a giacere con lei, ma subito desiste, perché per lui «contano i fatti e non le parole». Eppure continua a parlare, nascondendosi dietro le parole, senza che nessun fatto prenda consistenza dai suoi racconti. È evidente: dopo la guerra cruenta non ha più fatti da consumare. O forse il suo destino si consuma in quel momento sotto i suoi occhi annegando in un bicchier d’acqua. Vien da pensare che nell’Agamennone di Ritsos riecheggino in lontananza le parole premonitrici di Cassandra, che avvertì il re della sventura che l’avrebbe colto al rientro in casa. Così, mentre Clitennestra trasforma l’acqua in sangue come fosse un ultimo sortilegio, Agamennone s’avvia, con la dignità di chi è conscio della fine, verso la morte.

La regia di Alessandro Machìa ha creato qualcosa di molto interessante, che va oltre la novità del testo; è entrato a fondo nella psicologia e nella sensibilità femminile capace di eliminare dentro di sé ogni traccia d’amore verso l’uomo che per dieci anni l’ha abbandonata, mostrandole nient’altro che il suo oblio. E si vendica con l’elemento più vitale e cristallino che esiste: l’acqua che rinfresca e disseta, ma, appunto, scava anche la roccia.

Proprio questa scelta, così visibilmente particolare e affascinante, scalza la recitazione dimessa e stanca di Andrea Tidona. L’attenzione del pubblico è rapita dal gioco dei bicchieri e dalla manipolazione dei liquidi che, grazie a due microfoni direzionali, restituisce le sonorità dell’acqua che in teatro raramente si ascoltano. L’effetto tecnico sembra rubare interesse al dramma del re, che per contrasto, invece, risulta falsato proprio dall’eccessivo uso del microfono di cui è dotato l’attore protagonista, il quale si trova spesso schiacciato dal rimbombo della sua stessa voce, così come il suo personaggio desta disinteresse da parte di una moglie abbandonata per dieci anni. Insomma, se l’amplificazione da una parte favorisce il mutismo di Clitennestra, dall’altra danneggia il monologo di Agamennone. (fn)
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Agamennone, di Ghiannis Ritsos, con Andrea Tidona. Regia di Alessandro Machìa

Foto © Manuela Giusto

02 novembre 2022

«Intestamè» di Carlo Ragone e Loredana Scaramella

Carlo Ragone

Roma, Teatro Vittoria
1° novembre 2022

EREDE DI UN SORRISO ANTICO

Carlo Ragone – il personaggio Carlo Ragone – nasce in teatro probabilmente nella seconda metà dell’Ottocento, insieme a una generazione di attori che, soprattutto a Napoli, ma anche a Roma, generarono, plasmarono, forgiarono la figura del Comico: da Gustavo De Marco a Maldacea, da Ettore Petrolini fino a Totò e tanti altri: con loro bastava la giacca di un vecchio frac per far sbocciare il fiore del sorriso nell’animo dello spettatore. Furono loro, ognuno creando una sorta di propria controfigura (la famosa macchietta), che rinnovarono il genere teatrale, inventando un tipo di spettacolo più popolare e disinvolto, l’avanspettacolo. Grazie a questi geni della comicità, infatti, il muro della quarta parete crollò dando maggior spazio alla ribalta che consentiva ai protagonisti della scena di superare il limite imposto dalla linea del sipario per avvicinarsi alla platea e stabilire un rapporto diretto col pubblico, fatto di empatie e piccole collaborazioni all’impronta.

Pour vous