12 aprile 2024

«I masnadieri» di Friedrich Schiller

Roma, Teatro Basilica
11 aprile 2024

SINISI RESTITUISCE LA VERA ANIMA AI MASCALZONI RIBELLI

Michele Sinisi, regista che si definisce irriverente, che ama stravolgere la tradizione, regista dalle soluzioni spesso eccessivamente originali, si cimenta con i Masnadieri di Schiller: dramma partorito tra il 1777 e il 1780. Le date sono importanti se si pensa al fermento intellettuale europeo che portò, nove anni dopo, alla Rivoluzione francese. Tuttavia, per questa edizione, folle, ironica, scanzonata, ricca di animosità e asciutta di ridondante verbosità, forse dissacrante, diventa addirittura fondamentale conoscere la storia che portò l’opera di Friedrich Schiller in palcoscenico.

Un principe tedesco, quando seppe del debutto teatrale, disse all’amico Goethe: «S’io fossi Dio, e sul punto di creare il mondo avessi preveduto che vi si sarebbero rappresentati I masnadieri, non avrei creato il mondo». Quando, non ancora ventenne, Schiller si mise a tavolino per dar voce ai suoi personaggi immaginati (ma nemmeno troppo), non aveva alcuna intenzione reale di scrivere per la scena. Fu il barone Dalberg, soprintendente del Teatro di Mannheim, a voler rappresentare il dramma: costrinse, quindi, l’autore ad apportare i necessari cambiamenti e anonimamente il testo debuttò nel maggio del 1782. Il successo, però, fece venir fuori il nome di Schiller, il quale già scontento per aver dovuto modificare la sua opera, fu anche arrestato: i concetti libertari e l’istigamento alla ribellione nei confronti delle autorità – i temi più scottanti affrontati nel testo – infatti, insospettirono i tiranni che gli prescrissero alcune restrizioni. Purtroppo, però, alla prima infrazione lo scrittore fu imprigionato.

Bisogna tener presente che i personaggi del giovane Schiller furono pensati in pieno Sturm und Drang e, quindi, accesi di fervente passione, per cui ogni impeto degli intrepidi masnadieri fu in origine esaltato dal ribollire del sentimento: ogni accensione ribelle in loro divampa in un eccesso. Eccola l’anima dei valorosi mascalzoni: un’anima che già nella prima trascrizione per la scena fu molto ammorbidita. Un’anima tanto focosa e giocosa che le successive traduzioni ottocentesche e del primo Novecento quasi mortificarono, portando alla ribalta il Romanticismo della storia d’amore tra Karl Moore e la bella Amalia e lo scellerato tradimento del fratello Franz.

Sinisi, pur conservando i momenti salienti della trama, pensando ai suoi masnadieri, è andato alla ricerca dei sentimenti originali di quei ragazzacci sfrenati e dissoluti, maleducati e ribelli, cosicché, invece di distaccarsi dall’autore (come per l’allestimento dei Sei personaggi), gli è andato incontro, trovandolo ben disposto alla nuova trascrizione per la scena, che – a intuito – molto potrebbe somigliare all’originale. Innanzitutto sceglie di non rappresentare canonicamente il dramma – com’era nelle intenzioni di Schiller – ma di farlo raccontare agli attori che, di volta in volta, diventano protagonisti del loro intervento: ciascuno raggiunge il proscenio e si presenta al pubblico, con nome, cognome ed età dell’interprete, prima di diventar personaggio di quel determinato episodio.

Gli undici esecutori sono tutti vestiti con abiti moderni, da giovani disordinati e anche un po’ sciagurati, ma ognuno nel vestiario conserva un elemento identificativo che richiama una eventuale altra rappresentazione. Seduti ai lati dello spazio scenico completamente vuoto, ognuno nasconde un accessorio che utilizzerà: una spada, un pugnale, un libro, un bastone, un cellulare. Sì, anche un cellulare, che però non verrà usato per telefonare agli amici (come per l’allestimento dei Sei personaggi) ma per selezionare i brani musicali che s’odono (di cui non parlerò, per non bruciare una piacevole quanto irriverente sorpresa).

La realizzazione di Sinisi, infatti, si districa bene tra una precaria rappresentazione e una prova: oggi si direbbe una mise en espace. Vocabolo che fa parte di una terminologia presuntuosa che poco s’adatta alle ricercate «sporcature» impostate dal regista, alle volute «guitterie» attoriali. Siamo in una sorta di prova di un dramma che deve anche divertire, e deve divertire soprattutto gli interpreti che giocano ad essere masnadieri, che si trastullano anche tra vezzi spregiudicati e goliardici pretesti (proprio come cinici giovanotti), per cui la recitazione scorre veloce, apparentemente disordinata, tra inflessioni dialettali e accavallamenti di battute (ma ieri era anche la prima): insomma, all’apparenza tutto è ammesso fuorché la disciplina. Ma si tratta di un subbuglio rigoroso, lo stesso che Schiller intese quando fu investito dalla bufera emotiva che conteneva la forza intellettuale dello Sturm und Drang. Anche quando l’ipotetica foresta si riempie di centinaia di lattine di birra piovute dal cielo, queste annunciano la soddisfazione dei rumori della ribellione, il caos vittorioso dell’irregolare, e prelude alla sommossa della rivoluzione.

In locandina la lattina di birra diventa il giusto emblema di questi masnadieri, d’altronde sono anarchici tedeschi della Franconia: è marchiata dall’immagine di un grifone che in araldica simboleggia la custodia e la vigilanza, ma qui sembra avvertire il pubblico che il disordine scenico a cui si assisterà verrà eseguito con precisione; l’effige veniva consegnata a chi si era distinto in un’azione con solerte meticolosità; nonostante Donato Paternoster precisi che raccontare la storia di Karl Moor possa oggi smuovere un «senso di inadeguatezza». Karl, infatti, alla fine urlerà all’autorità clericale: «Il mio pulpito è la vendetta», per indicare l’avversione alle imposizioni e all’ordine. Noi non abbiamo certo bisogno di vendetta, e nemmeno di pulpiti, ma soltanto di una sana irregolare ribellione: questa sì, sarebbe auspicabile. [leggi postilla]

Gli attori sono tutti bravi, tutti perfettamente in parte. Non voglia sembrare un’indelicatezza se mi piace ricordare, oltre al già citato protagonista assai convincente, soltanto le prestazioni di Amedeo Monda, che per il suo Schwarz, ha inventato un personale grammelot che conferma una precisa indicazione di regia su come s’è affrontato il linguaggio di Schiller; Alessio Esposito, spaccone viscido e sgradevole sin dalle prime battute, e il Franz di Gianni D’Addario che gli fa da contraltare, laddove l’autentico infame diventa il buffone del male. (fn)
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I masnadieri di Friedrich Schiller, rielaborazione del testo Michele Sinisi e Tommaso Emiliani, con Stefano Braschi (Maximilian, Conte di Moor), Donato Paternoster (Karl Moor, figlio del Conte), Gianni D’Addario (Franz Moor, figlio del Conte), Laura Pannia (Amalia), Alessio Esposito (Spiegelberg), Matteo Baronchelli (Schweizer), Jacopo Cinque (Grimm, Razmann e Schufterle), Lorenzo Garufo (Roller), Amedeo Monda (Schwarz), Vittorio Bruschi (Herrmann), Lucio De Francesco (Moser, il pastore e il domestico). Elementi scenografici, Federico Biancalani. Costumi, Giulia Barcaroli. Regia di Piero Michele Sinisi. Produzione: Gruppo della Creta - Elsinore centro di produzione teatrale – Fattore K. Teatro Basilica, fino al 28 aprile

Foto: © Simone Galli


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