17 aprile 2024

«Adolf prima di Hitler» di Antonio Mocciola

Vincenzo Coppola e Francesco Barra

Roma, Off/Off theatre
16 aprile 2024

IL MONDO SALVATO DA UN BACIO

Uno dei tanti episodi teatrali che si narrava dietro le quinte fino a qualche decennio fa, riguarda un italiano oggi ancora assai conosciuto e che certamente ha fatto storia. Tuttavia, proprio la storia, in attesa di fonti ufficiali, non ha mai certificato il racconto che l’attore, intermediario di quest’aneddoto, già al rientro dalla prigionia in Germania (1945), cominciò a divulgare tra gli amici di palcoscenico.

Pare, dunque, che durante la guerra – ripeteva il reduce – un vecchio e illustre capocomico, se n’andasse per le strade picchiandosi sul capo, incolpandosi di essere la cagione di tutto il male che in quel periodo pioveva dal cielo, bombe comprese. «È solo colpa mia, è solo colpa mia», andava gridando a chi non sapesse di quale errore si fosse macchiato.

Molti anni prima, infatti, era andato a trovarlo un tipo robusto e campagnolo, un giovane d’aspetto deciso e volitivo, chiedendogli di accordargli un’audizione perché era suo fermo desiderio d’intraprendere la carriera teatrale. Quindi, questo giovanotto chiedeva, implicitamente con l’audizione, di essere scritturato come generico. Il nostro capocomico non gli diede credito, forse anche perché la dizione eccessivamente romagnola, la parlata irriducibile, l’esagerazione dei suoi toni, gli rivelarono l’animo di un esaltato, piuttosto che la silenziosa caparbietà di un saltimbanco. Insomma, lo rimandò via carico di delusione. Quel giovanotto avvilito che usciva stroncato nei suoi sogni d’arte si chiamava Benito Mussolini.

A questo punto è lecito chiedersi che tipo di attore sarebbe stato Mussolini. Quale il suo repertorio? Un tragico alla Barrymore? Oppure un grottesco commediante alla Emil Jannings? E chi sa se si sarebbe lanciato, come l’Oswald di Ibsen, nella paradossale richiesta del sole, come poi si sarebbe accaparrato, in altre vesti e con altri mezzi, di un più concreto «posto al sole». Ma queste restano battute di spirito che noi oggi possiamo permetterci con il sorriso sulle labbra: la parte dell’aneddoto più interessante – se fosse autentico, naturalmente – è il corso diverso che la storia d’Italia avrebbe preso se a un aspirante attore non gli fosse stata sbattuta la porta in faccia. Accordare un’audizione a quel giovane che chiedeva di diventare attore, avrebbe probabilmente evitato all’intera nazione un periodo niro niro comm’a cché, un regime politico durato vent’anni, e chissà, forse anche una guerra. Alla peggio, avremmo avuto un attore cane in più; ma un dittatore in meno. Che non è poco! E allora ditemi, se non sono da biasimare quei politici, che ancora oggi pensano che gli attori non siano utili alla società. [*]

Ebbene, grosso modo, lo stesso ragionamento deve aver attraversato la mente di Antonio Mocciola quando ha intrapreso la scrittura di Adolf prima di Hitler: non certo perché il Cancelliere del Terzo Reich avesse voluto intraprendere la carriera teatrale, ma per via di un bacio che probabilmente avrebbe potuto modificare il corso della storia. Il lavoro di Mocciola si ispira agli episodi raccontati da August Kubizek nel volume «Il giovane Hitler che conobbi», e quindi son tutti episodi di vita vissuti dall’autore delle memorie insieme all’amico d’infanzia, da poco rimasto orfano, con il quale divide un monolocale della periferia di Vienna, che è ancora la capitale di un grande impero.

All’interno della stanza in affitto, i due ragazzi parlano del loro futuro: August, detto Gustav, studia al conservatorio per diventare un musicista (e lo diventerà), mentre l’altro sembra avere bizzarre idee sul progetto di ricostruzione del ponte di Linz. Soprattutto in lui si scorgono sentimenti assai confusi e contrastanti. Non ha mai approfondito gli studi di architettura, ma parla con l’amico della costruzione innovativa sul Danubio; non sa amare, eppure scrive lettere d’amore a una donna sposata che ha soltanto intravisto; frequenta il quartiere delle prostitute, ma le rifiuta; si crede un eroe, ma Kubizek lo vede sempre agitato come un bambino, ossessionato dalle scarpe, pare indicarci la regia di Diego Sommaripa.

Infatti dalle scarpe comincia il gioco crudele con il quale Adolf si diverte a sottomettere l’amico Gustav. «Togliti e le scarpe», dice. «Fa freddo», risponde l’altro. È la confidenziale amicizia che progredisce tra i due, sviluppando un rapporto simile a quello tra il lupo e l’agnello. Tuttavia negli occhi di quest’ultimo s’intuisce un sentimento importante, non corrisposto, naturalmente. Hitler non conosce amore, né per le donne, né per gli uomini. Non c’è niente di sentimentale nel suo comportamento. Addirittura l’autore gli farà pronunciare un «porca Eva», che vibra come un monito del destino più che come una imprecazione!

La sensazione è che tutto possa passare davanti agli occhi di Adolf; nulla fermerà il corso della sua follia. Solo la padrona di casa, l’affittacamere, riesce a scuotere la sua anima quando gli intima di dimostrargli di non essere ebreo. Quindi, di non essere circonciso. È il momento cruciale, e forse il più intenso. La verità vien fuori: Adolf fugge e Gustav piange. Se il futuro musicista avesse avuto la determinazione di baciarlo, probabilmente da quel bacio sarebbe fiorito un sentimento. «Avremmo avuto un omosessuale in più, e un dittatore in meno», dice lo stesso Mocciola alla fine. Chissà!

Il testo che all’inizio desta curiosità, man mano che la storia progredisce, perde d’intensità. La regia pone alcuni ingombri che costringono gli attori a difficili gimcane. Il riquadro centrale è sproporzionato rispetto al boccascena, per cui gli sgabelli laterali tolgono ogni possibilità di passaggio disinvolto e tutti i movimenti diventano lunghi e artificiosi. Tra gli attori si distingue Francesco Barra nel ruolo di Gustav, appassionato e abbastanza credibile.

Il saluto romano del futuro cancelliere chiude con una nota di pura ovvietà uno spettacolo che sulla carta avrebbe meritato ben altra realizzazione. (fn)
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Adolf prima di Hitler di Antonio Mocciola, con Vincenzo Coppola (Adolf Hitler), Francesco Barra (August Kubizek, detto Gustav), Chiara Cavalieri (Maria Zakreys) e Jessica Ferro (Stefanie Rabatsch). Musiche di Gianluigi Capasso. Costumi, Dora Occupato. Trucco, forme e colore, Agostino Amore. Regia di Diego Sommaripa

[*] L’episodio narrato sul giovane Mussolini, che ho accorciato, rivisto e adattato per l’occasione, l’ho preso da uno scritto inedito di Giuseppe Patroni Griffi; e l’attore che lo raccontava, reduce dalla prigionia in Germania, era Gianrico Tedeschi. Malgrado le personali ricerche fatte negli anni scorsi, non sono riuscito a risalire al nome del capocomico, né all’effettiva valenza storica. Resta piuttosto un aneddoto legato a una divertente illusione teatrale.

Foto: (© ???)

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