«COME SARANNO QUEI CORVI?»
Lei fa la guida in un museo: ci mette passione, studio e tanta energia per tenere a bada un gruppo d’immaginari visitatori irrequieti, un po’ sfrontati, un po’ maleducati. Di fronte a un quadro di Van Gogh, anch’esso fantasioso, Francesca (ma il nome è quello dell’interprete) dichiara la sua predilezione per il pittore olandese, si percepisce una debolezza che le tocca l’animo, mentre le impertinenze dei turisti la distraggono, la offendono, le fanno male. Lei reagisce con ironia davanti al tizio che usa incautamente il cellulare durante la spiegazione storica e artistica di una tela, redarguisce la signora che sgranocchia patatine. E, da una dizione perfettamente italiana e professionale, scivola su accenti più dialettali per frenare gli eccessi caustici, per smorzare la rabbia con la simpatia, per cercare di entrare in confidenza con la truppa irrispettosa e recuperare la loro attenzione. Opta per la cadenza napoletana – anche se l’attrice è nata a Roma – ma preferisce la parlata periferica, quella vesuviana resa famosa dalle incertezze lessicali di Massimo Troisi. Sfrutta l’empatia del comico di «Ricomincio da tre», senza però calcare la mano, appena appena, giusto per aprire un varco comico, prima della virata.







