Il cartellone del Teatro Argentina propone, da martedì 4 marzo a domenica 16 marzo 2025, November, commedia di David Mamet, con la regia di Chiara Noschese. Attore protagonista sarà Luca Barbareschi, patron delle due storiche sale teatrali di via Nazionale, che da marzo 2020 (dalla chiusura imposta dal Covid) mantengono le saracinesche abbassate. Luci, però, sempre accese all’ingresso, come a voler ricordare che qualcuno all’interno ci sta, e sta lavorando: sì, è vero, ma, dalle apparenze, non per il teatro. Gli uffici, quelli che una volta furono di Vincenzo Torraca, di Giuseppe Battista e di Vincenzo Monaci, sono ormai da tempo occupati dalla Èliseo Entertainment, società di produzione cinematografica di cui Barbareschi è l’unico responsabile (qui il sito della moving emotions), con sede in via della Consulta 1, palazzo dal quale si accede alla vecchia amministrazione del teatro e una volta anche alle leggendarie Stanze dell’Eliseo, dove vivevano Gino Cervi e Rina Morelli, e dove si riunivano i più importanti artisti degli anni d’oro: da Visconti a Stoppa, da Eduardo a Valli, dalla Brignone alla Falk, dalla Pagnani a Tieri, da De Lullo a Patroni Griffi, il quale nel 1978, grazie alla collaborazione che ebbe col gruppo dei Giovani, inaugurò da direttore artistico, la sala del Piccolo.
Ripercorriamo alcune tappe importanti che ci aiuteranno a comprendere meglio l’ingarbugliata storia del più famoso teatro italiano a gestione privata. Ringrazio in anticipo la redazione di Teatro e Critica, in particolare Sergio Lo Gatto e Andrea Pocosgnich, i quali, con i loro puntuali interventi, hanno permesso di ricostruire con meticolosa precisione una vicenda che troppo spesso è stata sottovalutata da un’opinione pubblica distratta dalla confusione degli eventi.
Nel luglio del 1997 Vincenzo Monaci subentrò a Battista alla guida dell’Eliseo, trovando in Maurizio Scaparro un valido direttore artistico, ma ereditando un debito amministrativo di circa 20 miliardi di vecchie lire. Nel giro di un paio d’anni Monaci, pensando di riuscire a sanare una situazione assai gravosa, convinse Carlo Eleuteri e Roberto Corsi ad aprire insieme una società per comprare l’intero immobile del teatro di via Nazionale: così fu istituita la Eliseo Immobiliare Srl, ente proprietario delle mura, che percepiva un regolare affitto da parte del gestore del teatro. Mossa certamente audace, ma in teoria conveniente: Monaci, infatti, avrebbe pagato un canone che, almeno per un terzo, gli sarebbe ritornato.
Nel 2001 Scaparro lasciò l’incarico di direttore artistico. Vincenzo Monaci, gerente unico del teatro, nel frattempo, per sanare l’ammanco della precedente conduzione, aveva cominciato ad accumulare debiti nei confronti della società proprietaria (quindi, da socio, anche nei confronti di sé stesso). Si mise perciò alla ricerca di un nuovo direttore artistico che potesse rilanciare il teatro rispettando alcune esigenze economiche. Si rivolse, con un certo entusiasmo, a Luca Barbareschi, il quale nel giro di un anno fu però licenziato: il suo programma artistico, soprattutto quello relativo alle produzioni, si presentava troppo dispendioso e poco adattabile a modifiche. Senza più impegni di organizzatore teatrale, l’attore andò a cercar consolazione in politica.
Nel frattempo, il patron del teatro chiamò in sostituzione una vecchia conoscenza dell’Eliseo: Giuseppe Patroni Griffi prese il comando artistico (aprile 2002), affiancato dal giovane Antonio Calbi, da sempre attento alla nuova drammaturgia e alle nuove leve. Malgrado l’amministrazione suggerisse accortezze e qualche risparmio, il debito faticava a diminuire: affitto, stipendi al personale e nuove produzioni stagionali erano spese onerose che anche le successive conduzioni di Calbi (in solitaria dal 2005), e poi quella di Massimo Monaci (figlio di Vincenzo), dal 2007, non riuscirono a riequilibrare. Causa principale della rovina fu la costante diminuzione, da parte del Ministero, del Fondo unico per lo spettacolo (il famoso Fus): dagli oltre 530 milioni di euro (finanziamento complessivo da suddividere per tutti gli enti dello spettacolo) del 2001 si arrivò ai 389 milioni del 2013, l’anno della debacle dell’Eliseo. Per farci un’idea più precisa: rispetto alla cifra del 2001, al teatro di via Nazionale, nel 2013 furono assegnati ben 500 mila euro in meno. Un ammanco importante che, sommandosi alle spese di gestione e d’affitto sancirono una crisi irreversibile che generò un forte malessere tra i soci: nel luglio del 2014 arrivò, da parte dei titolari di Eliseo Immobiliare Srl (Eleuteri e Stefania Corsi, vedova di Roberto), l’ordine di sfratto esecutivo dall’immobile nei confronti del terzo socio, Vincenzo Monaci, anche lui creditore per un terzo come proprietario, ma unico moroso come amministratore delle sale.
La lunga stagione di Monaci, dunque, volgeva al termine. All’orizzonte, prima ancora della fine, già si paventava l’ipotesi che qualcuno potesse sostituire una deficitaria fucina culturale con una più redditizia impresa commerciale. Una mozione da parte di alcuni diretti interessati, di qualche intellettuale e di artisti del settore, mosse a compassione l’allora ministro Franceschini che s’affrettò a vincolare il cambio di destinazione d’uso: una notizia ufficiale che sollevò molti animi, ma le preoccupazioni non svanirono, perché il sipario restava abbassato e le luci spente: non c’era più tempo per concludere il cartellone della nuova stagione, ormai imminente. E più gravoso si presentava il problema dei dipendenti a rischio lavoro. I sindacati si misero subito in agitazione. I ministeri furono prontamente allertati. Il caso Eliseo non era più soltanto un problema artistico.
Si verificarono curiose coincidenze. Mentre l’ordinanza di sfratto venne rimandata al 30 ottobre (2014), il gioielliere Carlo Eleuteri, che fino a un anno prima cercava ancora di comprendere e risolvere la questione economica insieme con Monaci, all’improvviso, spalleggiato da Stefania Marchini Corsi, annunciò che il testimone del comando del teatro passava nelle mani di Luca Barbareschi, che con un balzo felino tornava sulla ribalta da cui era stato estromesso tredici anni prima; e che, da meno di un anno, particolare non irrilevante, aveva lasciato l’ultimo incarico parlamentare. Per quanto riguarda l’effettiva posizione di Eleuteri, fu inequivocabile una sua frase riportata dai quotidiani dell’epoca: «L’accordo con Barbareschi c’è, è ufficiale e sarà operativo dal 1° novembre. Il problema è che non abbiamo la disponibilità del teatro fino al 30 ottobre, data dello sfratto: non vorremmo arrivare a far intervenire la forza pubblica, ma se necessario la richiederemo». Parole molto severe che alimentarono i già aspri dissidi interni alla società; tanto che Massimo Monaci, in quel momento direttore artistico, commentò: «A oggi [ossia, 27 ottobre 2014, ndr] non esiste un accordo con Barbareschi né per la cessione delle quote, né per la gestione del teatro». Fatto sta che Barbareschi, invece, in conferenza stampa, divulgava, con grande sicumera, rassicurazioni sia sullo svolgimento della stagione teatrale 2014/15, sia sulla stabilità dei posti di lavoro di tutte le maestranze sotto contratto, comportandosi già da amministratore e direttore artistico di un teatro dove ancora non aveva una scrivania.
Seguirono giorni molto caotici, durante i quali (novembre 2014) la nuova cordata, ritenendo illegittima la quota del terzo socio, chiaramente moroso, e costringendo Massimo Monaci alle dimissioni, riuscì a insediare Luca Barbareschi nel ruolo di titolare del teatro sia come gerente che come responsabile artistico delle due sale. L’attore (regista, produttore e parlamentare etc etc), sull’abbrivio dell’entusiasmo delle nuove cariche, dichiarò in televisione che, a breve, avrebbe anche acquistato l’immobile del teatro. Operazione che, però, gli riuscì soltanto qualche anno dopo. Tuttavia le sue promesse organizzative si rivelarono subito delle chimere: spettacoli prima rinviati e poi annullati (anche Emma Dante ne fece le spese); contratti di lavoro dei dipendenti prima ereditati e poi sospesi; stagione teatrale prima annunciata con ampie rassicurazioni anche agli abbonati, e poi cancellata. Teatro chiuso per ristrutturazione.