«LA PACE NON È UN MIRACOLO, È SACRIFICIO»
Le due regine si affrontano in un incontro di boxe. Entrano nel rettangolo presentate da una voce fuori campo che annuncia i loro ingressi: di sfidante, la scozzese Stuart, e di campionessa, l’inglese Tudor. Prima di cominciare a darsele di quella ragione che da una parte è santa (ma un po’ mignotta) e dall’altra vergine (ma dichiaratamente inacidita), ascoltano le regole imposte da Roberto Russo, autore cólto e fantasioso, che si diverte a costruire un match tanto bizzarro quanto pieno di verve e di verità storiche. Sono naturalmente «vietati i colpi alla nuca e alle reni – annuncia lo speaker alle contendenti – e soprattutto evitate di picchiare sotto la cintura perché potreste avere delle sorprese!». Svelata con un tocco di ironia la teatrale scelta di far recitare due uomini travestiti da regine. Gianni De Feo e Bruno Petrosino irrompono sul ring, nascoste da eleganti maschere veneziane, con un prologo di riscaldamento prima dar inizio all’incontro: Maria Stuart, dopo anni di prigionia dovrebbe essere la più arrabbiata, dovrebbe scalpitare per recuperare il tempo perduto, il trono mai avuto, e invece sfodera un’apparente delicatezza d’animo che la rende già preda succulenta dell’altra, Elisabeth Tudor, una iena che non perde uno sguardo per gettar veleno.
Si comincia col sorriso per rendere accattivante il gioco teatrale acceso da movenze dichiaratamente regali e dall’esibizione del trucco volutamente eccessivo che la regia ha dipinto sul carattere dei due personaggi. Poi però, quando suona il gong che apre la prima ripresa s’avverte un netto cambiamento. È terminata la fase di studio e cominciano i ganci e i montanti, quelli veri, che rispolverano antichi rancori, sottintendono nuove possibilità di accordi per l’una e palesano i rifiuti dell’altra. Insomma pur se si prevede una vincitrice al meglio delle tre riprese, lo scontro prosegue altero e violento, senza nessuna resa. Il diverbio diventa incandescente, quando si capisce che non sono soltanto due cugine che vogliono mettere le carte in tavola per chiarire i loro affari di famiglia, ma sono due bandiere in opposizione, due mondi che vengono a contatto, due religioni che giungono al contrasto definitivo. Enrico VIII, padre di Elisabetta, fu scomunicato dal papa e instaurò la Chiesa anglicana protestante, staccandosi da quella cattolica. Maria, se fosse stata perdonata avrebbe tentato di riallacciare i rapporti con il Vaticano: un’onta per i Tudor, già in odore di Brexit, all’epoca religiosa!
Per questo motivo, rientrata dalla corte francese, dove fu allevata, Mary fu fatta prigioniera: «Mi hai sottratto vent’anni di vita. Io venivo da te in pace», dichiara la Stuart messa alle corde. «La pace non è un miracolo, è sacrificio», sentenzia Elisabeth, sferrando gli ultimi colpi che mandano al tappeto la sfidante. È la frase che illumina il testo facendolo aderire perfettamente ai nostri giorni, quando altri Tudor e altri Stuart si contendono potere e territori – chi da qualche anno, chi da qualche millennio – senza riuscire a raggiungere mai una pace definitiva, perché nessuno è pronto a sacrificare una briciola del proprio orgoglio. E, invano, si aspetta il miracolo! Qualcuno, a spettacolo finito, ha sussurrato che «il teatro è pericoloso perché spesso ci suggerisce che non siamo meglio di tanti altri». Esatto. È l’insidia che Russo ha rubato al passato per presentarci su un vassoio la politica di oggi, mostrandoci una vorace fame di potere, dove ogni disturbatore, anche se cugino o fratello, può diventare il nemico da eliminare. E, al termine della contesa, Elisabetta arriverà a firmare la sentenza di morte.
Foto: Bruno Petrosino e Gianni De Feo (© Manuela Giusto)