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Alessandro Giuli, ministro della Cultura |
Roma, 21 giugno 2025
UNA POSTILLA NECESSARIA
All’indomani del polverone sollevato a Firenze, dopo lo choc per l’annunciato declassamento del Teatro della Pergola, la cui eco ieri è giunta fino in piazza della Signoria con poche spiegazioni da parte del Ministro della cultura e troppe proteste fumose dei soliti piagnoni, la timida voce del sottosegretario dello stesso dicastero, Gianfranco Mazzi, che ha la delega per lo Spettacolo dal vivo, annuncia: «Dopo aver appreso delle plateali dimissioni di tre componenti della commissione teatro del Ministero e che due di loro, nominati come figure tecniche dalla Conferenza unificata di Regioni, Province e Comuni, sono in realtà esponenti di partito, ho deciso di accelerare una decisione già da tempo condivisa con le associazioni più rappresentative del settore. Insedieremo entro pochi giorni un gruppo di lavoro per lo studio e l’individuazione di nuovi criteri e nuove modalità per l’assegnazione dei contributi allo spettacolo dal vivo che lavorerà per i prossimi due anni e dovrà realizzare un sistema più semplice e trasparente di quello attuale, da lasciare come eredità alla prossima legislatura. Sarà Giorgio Assumma a guidare il gruppo di studio che si avvarrà del contributo dei più autorevoli studiosi italiani della materia e dei migliori operatori del mondo dello spettacolo.»
Il comunicato ufficiale ha una data: Roma, 20 giugno 2025. Ossia, ieri. La tempestività con il quale è stato diramato schiarisce (che non è chiarisce), in parte, alcuni particolari che l’iniziativa del ministro invece aveva reso confusi e interpretabili secondo gli umori e le tendenze di ciascuno. La prima certezza – come sospettavo – è che il direttore artistico del teatro ha perso una buona occasione per rimanere discretamente dietro le quinte; invece, o per mania di persecuzione o per mania di protagonismo, ha preferito saltar subito sul carro del pietoso vittimismo, quello condotto dalla Schlein, coinvolgendo nella corsa anche la memoria dell’ardente Savonarola che nella questione c’entrava ancor meno dei cavoli a merenda. Se, infatti, come specifica il comunicato dal retrogusto assai democristiano, è urgente rivedere «nuovi criteri e nuove modalità per l’assegnazione dei contributi allo spettacolo dal vivo», il problema allora non è Stefano Massini, arrivato da poco a Firenze, il quale può serenamente continuare a trastullarsi con i suoi Lehman show e con la sua collaborazione con il giornale di partito. Certamente, il silenzio e il modo con cui è stato annunciato dal Mic il declassamento di un teatro Nazionale, di storica importanza, non hanno aiutato a comprendere che l’attacco del ministro non era rivolto a lui, ma ad altri politici suoi colleghi che al tempo, quando Dario Franceschini era ai Beni e alle attività culturali, parteciparono alla riforma, riuscendo da Montecitorio a rintracciare i requisiti per promuovere La Pergola a teatro Nazionale e, di conseguenza a farlo rientrare tra gli enti teatrali di prima fascia (che vuol dire, sovvenzioni più alte).
La seconda schiarita riguarda l’atteggiamento del ministro Giuli: il quale, se nel giro di ventiquattro ore, forse meno, ha mandato avanti un sottosegretario a chetare gli animi con un dispaccio riparatore, significa che probabilmente s’è accorto di aver creato un forte imbarazzo, o qualcosa in più, con il suo intervento inaspettato a gamba tesa, in apparenza proprio all’indirizzo del Massini. Giuli avrebbe dovuto parlar chiaro e indicare subito i responsabili del guazzabuglio commesso in occasione della riforma del 2014, quando furono selezionati gli «organismi teatrali di grande prestigio, riconosciuti per la loro attività di notevole rilievo a livello nazionale e internazionale, e che si distinguono per la loro tradizione e storicità.» Organismi denominati Teatri Nazionali. Ora, se per La Pergola le «attività di notevole rilievo a livello nazionale e internazionale» possono e devono essere meglio esaminate e rimesse in discussione, per quanto riguarda «tradizione e storicità», il teatro di Firenze rientrerebbe di diritto nell’élite. Dunque, è vero, occorre rivedere i «nuovi criteri e nuove modalità per l’assegnazione dei contributi allo spettacolo dal vivo», ma prima rivediamo le regole e poi si deciderà sulla sorte dei teatri. Percorrere la strada inversa, è un controsenso e anche una carognata nei confronti della città.
Intanto, mentre si discute di punteggi – perché secondo il Mic il teatro si fa con la tessera a punti come al supermercato (è questo il vero scandalo di cui nessuno parla) – la sindaca Sara Funaro, impegnata nel difendere i diritti del suo teatro contro la decisione del ministro, viene sostenuta e affiancata da Matteo Renzi, fiorentino, che fu presidente del Consiglio dal febbraio 2014 a dicembre 2016. Come volevasi dimostrare, è una questione tutta politica, in cui lo spettacolo c’entra davvero poco. (fn)