SANT’AGOSTINO: «AMA E FA CIÒ CHE VUOI»
MA IN TEATRO DIVERTITI
Evidentemente la liberazione dell’omosessualità dev’essere stata raggiunta, se ora c’è chi la racconta quasi come un tormentone frenetico e quotidiano, giocoso al limite del ridicolo, come le coppie etero che si amano, litigano, si lasciano e si riabbracciano nell’arco di poche ore. Evidentemente non siamo tutti così arretrati e omofobi, come ancora sostiene qualcuno, se Diego Pleuteri, giovanissimo autore, sente la necessità di dar vita a una crepitante scaramuccia, odi et amo, tra due sentimenti potenti e opposti che convivono con naturalezza nello stesso individuo: laddove l’odio, ovviamente, è di natura amorosa di catulliana memoria. Un odio tenerissimo che trapela da uno dei due personaggi senza nome di Come nei giorni migliori, testo che mette a confronto due visioni dell’amore: c’è chi cerca l’unione e chi tenta di difendere la propria libertà minacciata dal sentimento esploso all’improvviso per l’amico appena conosciuto.
Lui e l’altro – che chiameremo con i nomi degli attori, Alessandro Bandini e Alfonso De Vreese – vivono a Milano, frequentano lo stesso psicologo. Alfonso lavora alla Pinacoteca di Brera, mentre Alessandro ha una passione per la moda e sogna di andare a vivere a Parigi. Tra i due nasce subito un’intesa inequivocabile che, se per Alfonso è un segno del destino a cui non sa e non vuole sottrarsi, per Alessandro pare sia quasi un impaccio che manifesta, con folle disagio, perfino davanti al dipinto di San Pietro martire tra i santi Nicola e Benedetto, accusandoli di avere uno sguardo troppo severo e inquisitorio. La scena delinea bene i caratteri che si evolvono nei successivi episodi, durante i quali sono sintetizzati, con grande ironia di scrittura, i momenti salienti di un innamoramento sincero e giovanile, che porta la coppia a scontrarsi continuamente: Alfonso ama e intende l’amore come rapporto d’unione. Alessandro ama secondo il principio (adattato per l’occasione) di Sant’Agostino: «Ama e fa ciò che vuoi».
Tralasciando la trama che procede con molte trovate interessanti, oltre che divertenti, e un inaspettato colpo di scena che dà consistenza sentimentale alla schermaglia dialettica, l’autentica sorpresa è la forma con cui è stata scritta la pièce e la lettura che Leonardo Lidi ne ha fatto per collocare il dialogo in un ampio palcoscenico nudo, illuminato (grazie all’abilità di Nicolas Bovey) soltanto da grandi proiettori laterali e qualche puntamento dall’alto all’occorrenza. Gli oggetti e gli indumenti di cui gli attori hanno bisogno sono pochi, accantonati sui lati, nascosti anche in platea, e recuperati solo per necessità e mai per arredo. Il regista si affida al temperamento di Bandini e De Vreese, alle loro capacità recitative, ma soprattutto alla loro energia giovanile e ai loro fiati bene allenati. Bravissimi: due macchine da guerra (si diceva in tempo di pace!), due atleti della recitazione. Reggono il diluvio di parole al ritmo incessante di una grandinata, come quelle di cui siamo vittime in questo periodo. A volte eccedono in velocità, ma senza mai perdersi una sillaba (o quasi!). Pronunciano le battute con la frequenza di un frenetico scambio tra campioni di ping-pong. Commentano le loro amicizie durante una estenuante partita di paddle, inseguendo un’invisibile e dispettosa pallina: corrono, affannano, scivolano in terra, si rialzano senza perdere un tempo comico. Saltano in platea, coinvolgono qualche spettatore nelle loro follie. Si divertono. E poi si baciano, si amano, in preda a un sentimento che li sbatacchia l’uno sull’altro e l’altro sull’uno.
Foto: Alessandro Bandini, Alfonso De Vreese (© Luigi De Palma)