21 giugno 2025

Declassato il Teatro della Pergola

Roma, 20 giugno 2025

UN BUON MINISTRO AIUTA, NON CONDANNA

Nel 1965, durante il Concilio vaticano II, una commissione composta da cardinali, vescovi e teologi, decise di cancellare il nome di San Gennaro, protettore della città di Napoli, dal calendario ufficiale dei santi. I napoletani, pur se offesi, risposero con la solita ironia, scrivendo sui muri esterni dei palazzi divertenti ed affilate pasquinate (direbbero a Roma) contro la Chiesa e contro il Papa, esortando il loro beniamino dalla faccia ‘ngialluta (ossia, gialla perché tale il colore dei riflessi dorati che risplendono sul viso della statua che viene portata in processione) a non prendere troppo sul serio la decisione del Vaticano: San Genna’, futtatenne, fu il motto più popolare e affettuoso nei riguardi del martire a cui il clero voltò improvvisamente le spalle. Il declassamento del Santo, oltre all’offesa morale inferta ai seguaci, ebbe come unica ripercussione effettiva il fatto che la Chiesa romana non riconobbe più quale patrono metropolitano la figura di un idolo a santità ridotta, salvo poi relegarlo in extremis ufficialmente a simbolo di una fede circoscritta al luogo del culto. Santo sì, ma fino al Garigliano! Tuttavia, malgrado l’onta, San Gennaro, anche se non più ascritto al calendario protocollare di Gregorio, continuò puntuale a compiere il miracolo dello scioglimento del sangue, fino a quando nel 1980 Giovanni Paolo II lo riabilitò a santo di primo grado: addirittura, lo proclamò patrono ufficiale di Napoli (decisione senza precedenti), spodestando l’intoccabile Madonna Assunta. Terremoto in Paradiso! E per la prima volta, infatti, San Gennaro, sia per rispettare la classifica celeste, sia per ovvii diritti di sacra precedenza, sia per onorare con galanteria la Madre di nostro Signore, e probabilmente sentendosi anche umiliato dal potere ballerino dei discendenti di Pietro che potevano in terra decidere il bello e il cattivo tempo dell’empireo, a prescindere dalla volontà divina, rispose con severità rimanendo quell’anno ostentatamente rappreso nell’ampolla: segno premonitore di catastrofi imminenti. Era il mese di settembre: sessantaquattro giorni dopo l’Irpinia e la Campania furono devastate dal sisma. Un cataclisma – guarda caso – circoscritto al luogo del culto del santo, vescovo di Benevento. Da allora la Chiesa non osò mai più ostacolare credenze e tradizioni che accompagnano il mito di San Gennaro.

Deliziosa la parabola del declassamento di un santo. A Napoli, poi, diventa finanche simpatica e fin troppo teatrale. Peccato che sia finita in tragedia, come vuole la superstizione popolare che associa la catastrofe irpina alla mancata liquefazione del sangue. Tuttavia potrebbe essere interpretata come una leggenda mistica, nella quale va ricercato il significato recondito, il senso civile, l’insegnamento. Il declassamento ufficiale di un idolo cittadino, come può esserlo quello di un feticcio o di un emblema della storia civica che coinvolge l’intera cittadinanza è un atto di sfiducia nei confronti della città; significa voler dire a quella popolazione «da oggi non vali più nulla», «da oggi ti meriti un patrimonio di serie B». Ora, trattandosi di un teatro del XVII secolo, patrimonio culturale tra i più nobili del nostro territorio nazionale (e sottolineo Nazionale), trattandosi vieppiù di un luogo che ha ospitato un briciolo di cultura in più rispetto al sito di Wikipedia, e trattandosi soprattutto di Firenze, patria di Dante e di Michelangelo, e di quell’illuminato Signore che promosse il Rinascimento, quasi vien da sorridere e da chiedersi «chi è questo ridicolo Don Abbondio che non ha il coraggio di opporsi all’idiozia del Don Rodrigo di turno?»

Purtroppo il fraticello in questione è il nostro ministro Giuli che dimostra di non saper distinguere un matrimonio da una bestemmia, o (per rimanere nel suo dicastero) un palcoscenico da un Giardino zoologico. Si è detto e si è già scritto che il declassamento del Teatro della Pergola, da teatro Nazionale a teatro cittadino (esattamente come accadde per San Gennaro che da santo italiano divenne santino locale), è avvenuto per colpire il suo direttore artistico, Stefano Massini. Se così fosse – e purtroppo pare che lo sia, anche se personalmente nutro qualche dubbio – allora si apre il baratro di un’ignoranza senza possibilità di ritorno, quello che a confronto con le superstizioni partenopee che coinvolgono il santo patrono e il suo popolo, rappresenta la feccia più bassa, irragionevole e improduttiva. Si può essere in disaccordo con chi gestisce un ente pubblico, e il ministro ha tutto il diritto di contestarne l’operato, ma ciò deve avvenire senza offese per nessuno, senza tradimenti, tantomeno per la cittadinanza che in questo caso subisce un’onta pur non avendo alcuna responsabilità. Perché i cittadini di Firenze devono sentirsi declassati, caro ministro? A quale culto barbaro, e a quale rozza tradizione devono sottostare per subire un declassamento da parte di un signore che, non essendo Dio e nemmeno il Papa, decide all’improvviso che La Pergola debba essere condannata a teatrino di provincia e punita con una sovvenzione economica minima, appunto provinciale: da teatro Nazionale a teatro locale.

Il teatro, Signor Ministro, fa parte della città intellettualmente vivace. E ai fiorentini non si può dire, come è stato suggerito a San Gennaro, fregatevene del vostro teatro. Il teatro è il punto di ritrovo vivo e fervente, non una statua da portare in giro per le strade una volta all’anno. E il Teatro della Pergola, Signor Ministro, è un luogo, tra i più belli del mondo, e che il mondo ci invidia, dove i fiorentini possono ritrovarsi insieme ai personaggi di Shakespeare e di Molière. Tra cotanto senno, non so se afferra la citazione, Signor Ministro, s’è formato nei secoli un contesto da serie A, anzi da Champions League; e non da oggi: voglio dire, non con Massini che è soltanto l’ultimo a cui è stato dato lo scettro di organizzatore di una stagione teatrale. Lei non lo approva? Non lo giudica all’altezza della tradizione fiorentina? Benissimo! Abbia il coraggio di prendersela direttamente con Massini, non con la Pergola, non con Firenze tutta. Altrimenti fa come il peggior San Gennaro che per far arrivare il messaggio in Vaticano ha annientato la popolazione di un’intera regione. Ma San Gennaro un miracolo all’anno, lo fa. Sangiuliano, il suo predecessore, ha provato almeno a redimere una sopravvissuta pompeiana: ce l’ha messa tutta, ma ne è rimasto scottato. Lei, così come sembra, non pare avere nemmeno le carte per una briscola al bar del paese.

Un buon ministro della Cultura, uno che sappia cosa sia il teatro, il suo mondo, la sua storia, uno che conosca a fondo il valore culturale del teatro e le sue possibilità, aiuterebbe Firenze a mantenere alto il nome della Pergola, la sua programmazione, la sua frequetazione, magari – ripeto – contestando il direttore artistico, che potrebbe aver pur commesso qualche errore di valutazione, ma non si scaglierebbe mai contro il palcoscenico, imponendogli di giocare in serie B. Un buon ministro lavorerebbe dietro le quinte, in punta di piedi, lasciando la ribalta ai più competenti, ma solleciterebbe a far meglio, consiglierebbe preziosi suggerimenti per non cadere, per non scivolare. Invece lei s’è messo a far lo sgambetto alla memoria di Zeffirelli che in quel teatro conobbe Visconti: così lei si rende ridicolo. Non vorrà mica passare alla storia come il ministro che ha chiuso La Pergola di Firenze, spero?

Al ministero della Cultura, lo sappiamo da tempo, si può anche confondere il monologo di Tarzan con l’urlo di Amleto, lì contano i soldi e nulla più, ma, santiddio, almeno un minimo di rispetto per i cittadini e per il teatro, per la storia della Pergola e per quella di Firenze da cui dovrebbe imparare molto: terra di banchieri e di artisti. Non le suggerisce nulla questo sacrilego accostamento, Signor Ministro? Lei, agendo così, da contabile più che da ministro, ha sollevato un noioso polverone pseudopolitico di cui non se ne sentiva la necessità, invece, adesso ne subiremo gli strascichi per l’intera stagione. Grazie alla sua iniziativa punitiva i componenti dello squadrone avverso, per esercitare pubblicamente in piazza della Signoria il diritto al più pietoso vittimismo, hanno preso immediatamente a pretesto il Savonarola arrostito, che dall’altro mondo starà inveendo per essere stato chiamato in causa per una vile questione di denari, proprio lui, che per non aver mai apprezzato le ricchezze della Chiesa fu condannato per eresia. Lei, con la sua decisione che promuove soltanto il risparmio, è riuscito perfino a restituire la parola alla Schlein che, dopo la batosta del referendum, non aspettava altro per tornare a condurre il carro degli inutili proselitismi, quelli che a teatro non servono, perché il palcoscenico non ha bisogno delle vostre (destra e sinistra) sciagurate insopportabili presenze, dei vostri carichi di ignoranza da azzeccagarbugli da quattro soldi. Il teatro ha bisogno soltanto di sovvenzioni silenziose ed educate da parte del ministero, che farebbe meglio a disinteressarsi della parte artistica, per il semplice fatto che i ministeriali sono ministeriali perché non capiscono nulla di arte.

Con occhio da uomo di teatro le confido una mia piccola riflessione. Voi ministeriali, Signor Ministro, siete condannati a essere vestiti tutti allo stesso modo, un esercito in divisa. In palcoscenico si vestono tutti uguali soltanto i soldati che s’inchinano e obbediscono alla volontà di un re o talvolta di una regina. Le è arrivato il messaggio, Signor Ministro? Soldati, ha capito! Ruoli marginali, comparsate o poco più. Se ambisce a diventar protagonista restituisca immediata nobiltà alla Pergola, teatro italiano, e chieda scusa alla città di Firenze. E soprattutto non dia motivi inutili alla signora Schlein di scendere in piazza e prendere parola. Ché la Signoria merita ben altro! (fn)

Foto: La platea del Teatro della Pergola (© ???)

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