LINA COME WINNIE: INTERRATA FIN SOPRA ALLA VITA
«Felicissima sera a tutte ‘sti signure ‘ncravattate…», cantava Mario Merola. Il titolo dell’opera di Emanuele D’Errico sembra strizzar l’occhio ai primi versi del famoso brano che Libero Bovio dedicò allo zappatore, invece, le origini di Felicissima jurnata appartengono a tutt’altro pianeta: è infatti la traduzione in napoletano di Giorni felici di Beckett, dramma in cui, «interrata fin sopra alla vita, esattamente al centro del monticello, c’è Winnie», si legge nella didascalia del premio Nobel. «Dietro di lei, alla sua destra, ma nascosto dal monticello, Willie dorme sdraiato per terra», è scritto ancora tra le indicazioni d’apertura che introducono i due personaggi che lo scrittore irlandese crea per fotografare la sua negativa visione dell’esistenza. Tuttavia, Winnie e Willie sono anche creature, certamente ridicole, che tentano di sopravvivere alla noia e di proseguire col sorriso il loro cammino insieme, eppure, per lei, è impossibile muoversi, bloccata com’è «fin sopra alla vita».
A Dublino, quindi, ogni mattina è «una bellissima giornata» (è la prima battuta scritta da Beckett per Winnie che sorride al buongiorno), mentre a Napoli, in pieno quartiere Stella, Lina annuncia: «Ma che felicissima jurnata ca è schiarata, proprio na jurnata felice». Lei, però, non è la flebile e gracile Giulia Lazzarini, che si ricorda in una famosissima edizione del dramma originale diretto da Giorgio Strehler, ma è Antonella Morea, napoletana verace, di scuola desimoniana, esemplare voce da contralto, presenza scenica imponente, l’opposto della Lazzarini. Siamo a Napoli e per lei non c’è «un monticello che digrada dolcemente verso la ribalta», ma un Vesuvio stilizzato, assai scosceso, dal cratere del quale fuoriesce il tragico sorriso di un’umanità da sempre refrattaria all’esplorazione della città, perfino del quartiere. Molti di loro non sono mai usciti dal rione, alcuni da anni non lasciano le mura casalinghe. Il loro mondo è un’unica strada, forse due, per i più temerari, per arrivare in piazzetta. Lì è nato Totò, lì è arrivato Maradona, ma il nome di Beckett risulta sconosciuto, eppure Winnie e Willie pare soggiornino anche in via Santa Maria Antesecula.
«Felicissima jurnata» è il progetto che Puteca Celidonia, un gruppo di giovani artisti della Sanità, ha maturato dopo aver preso confidenza con la gente del quartiere, gran parte dei quali vive nei bassi, quei locali adattati (sin dall’antichità) ad abitazioni che affacciano sulla strada, e la strada diventa parte della casa, come fosse una stanza più movimentata e più ariosa, dove s’incontrano gli amici, i conoscenti, a volte anche «i nemici». E la vita si svolge più all’esterno che all’interno. Cosicché se Lina gode dell’affaccio sul vicolo, Lello (alter ego di Willie) trascorre il suo tempo chiuso in casa – nel ventre del vulcano – sempre alla luce di una lampadina, con la televisione eternamente accesa e indaffarato a… trascorrere il tempo. Esattamente come avviene nella versione di Beckett, è soltanto lei che parla; lui si esprime con rumori acquatici, bolle per lo più che evocano mormorii illogici, che però non sono gli spari di Zi’ Nicola, il quale, ne Le voci di dentro di Eduardo, comunica i suoi pensieri col fischio dei bengala e lo scoppio dei tric-trac. In questa realtà non esistono pensieri, ma soltanto tormenti silenziosi.
L’idea nasce dalle interviste alla gente del posto che Emanuele D’Errico e i suoi colleghi hanno curato, scoprendo che esiste qualcuno che, assecondando la propria volontà, non esce mai da casa, facendo della propria stanza un carcere: «È una prigionia consapevole o inconsapevole?», si chiede l’autore nelle note. Comunque sia, è una prigionia drammatica che si consuma e si alimenta con programmi televisivi e preghiere. Il monologo della Morea talvolta si alterna con le registrazioni delle risposte della gente del popolo che, tra gli schiamazzi di una vitalità in lontananza, confessa la propria immobilità, non sospettando di vivere «interrata fin sopra alla vita», proprio come Winnie. Sono le loro voci che animano di miseria il testo, di povertà emotiva, di aridità d’intenti, di drammatica inerzia. Vite sprecate, vite non vissute: e questo accade in una città che ha sempre manifestato vitalità per ogni occasione, anche nei lutti, nelle sconfitte e perfino nelle catastrofi.
Foto: Antonella Morea (© Laila Pozzo)