29 gennaio 2009

«Il laureato», tratto da Terry Johnson

Roma, Teatro Quirino
24 gennaio 2009

GIULIANA DE SIO, AFFASCINANTE E DIVERTENTE MRS. ROBINSON

Se facciamo finta di ignorare che il laureato (minuscolo perché non mi riferisco al titolo) è un personaggio creato dalla penna di Charles Webb nel 1963 («The graduate»), prima ancora di diventare un simbolo della cinematografia americana, nessun sapientone ci prenderà mai sul serio. Tuttavia fare paragoni, sia con il romanzo che con la pellicola (che è del ‘67) di Mike Nichols che consacrò Dustin Hoffman, non è il miglior passo per cominciare la recensione di uno spettacolo presentato quasi mezzo secolo dopo il suo battesimo letterario. Questa versione italiana firmata Antonia Brancati e Francesco Bellomo, e targata alla regia da Teodoro Cassano 2008/’09, ha gambe fresche e robuste per poter camminare da sola e non ha bisogno di passare al vaglio di altre riscritture precedenti.

Tutti i temi politici e sociali prettamente americani di quel periodo restano volutamente opachi: sono ormai trapassati (la gioventù ribelle stile «Easy Rider», la critica al vuoto conformismo made in Usa) e, come roba vecchia, vengono trattati dagli adattatori. I quali si concentrano, invece, sul tema che a noi oggi interessa di più: il rapporto che le donne sposate intraprendono con gli studenti. Anche in Italia da tempo c’è un florilegio di relazioni tra le cosiddette milf e giovani ancora imberbi. Pure questa, se vogliamo, è una rivoluzione: una volta erano solo i ragazzi che si potevano vantare di simili fortunate esperienze, ora nessuno più si nasconde dietro segreti.

La storia, per lo più, la si conosce e chi non la conosce corra a teatro a godersi poco più di due ore di rilassante divertimento. Ammetto, però, con estrema sincerità il mio prudente scetticismo nell’accostarmi a un allestimento che poteva avere nelle intenzioni soltanto un facile richiamo per le allodole. E quando, ancora nel foyer affollatissimo, ho chiesto al direttore di sala se «Il laureato» avesse radunato tanta gente tutte le sere, ho letto nel suo convincente assenso un raro stupore. I nomi di cartellone possono essere un’eco incredibile che, un romanzo di discreto successo, un film premio Oscar, e un’attrice che negli anni passati ha saputo seminare bene in altri campi (soprattutto cinematografici), hanno amplificato senza neppure molta fatica. Operazione commerciale perfettamente riuscita. Il Teatro (quello con la lettera maiuscola) ringrazia. Ne ha bisogno!

All’aprirsi della tela lo spettatore è invitato ad addentrarsi in un acquario: attraverso bollicine e rumori subacquei ci si fa breccia nell’angustia e nell’insoddisfazione del neolaureato Ben Braddock. Il regista così mette subito in chiaro due annotazioni fondamentali per predisporre lo spettatore a una visione ideale: l’ironia e la leggerezza; bolle che fanno glu-glu-glu e pesci che pacificamente e dolcemente ci accompagnano all’interno della narrazione di molte nevrosi, tipiche non solo degli anni Sessanta.

Quando poi all’intervallo ho acciuffato il commento di un avventore in giacca e cravatta, il quale sottolineava come datata la situazione rappresentata in scena, ho cercato di capire quale di quelle signore lì intorno fosse stata la di lui moglie, per convincermi che certe storie di noie e tradimenti non suonano mai soltanto al passato. Esse sono eterne più di noi! Quindi giustamente il regista sottolinea la celata noia di Mrs. Robinson, quella signora quasi sempre alticcia, resa celebre dalla canzone di Simon & Garfunkel, le cui note famosissime, riecheggiano appena, accompagnando la chiusura del primo sipario; anche questa è un’apprezzabile scelta registica: altrimenti il brano avrebbe preso immediatamente il sopravvento su tutto il resto distogliendo l’attenzione del pubblico. Invece Cassano, sapientemente, così come centellina la musica, dosa luci e posizioni anche quando la bella protagonista si mostra senza veli, in atteggiamento disinvolto sia come personaggio innanzi alla sua preda, sia come interprete davanti alla gremita platea.

Segue il tripudio dei sensi tra Mrs. Robinson e il giovane Ben: momento delicato e studiato per esaltare la delicatezza e la dolcezza dell’atto amoroso tra un’affascinante cinquantenne e un ragazzo esperto soltanto di teorie; il regista, in questa occasione, evita di cascare nell’osé, nella facile tentazione dell’esibizione pruriginosa, proteggendo la sequenza con sapienti tagli in stile cinematografico, costruendo una casta atmosfera tra bui, ombre e penombre. Tutto il resto, però, è avvolto sempre da luce piena e quasi solare, per non far perdere allo spettatore il clima gioviale che, come dovrebbe essere, predispone al buonumore.

E si ride molto. Giuliana De Sio e il giovanissimo Giulio Forges Davanzati hanno trovato un affiatamento e una complicità che pare vada al di là della semplice collaborazione professionale: nel senso che in scena si sta meglio, e si lavora meglio, e si creano più vive emozioni, soltanto quando anche dietro le quinte sussistono tra gl’interpreti stima, rispetto e soprattutto divertimento reciproco: un condimento determinante per la migliore riuscita di ogni spettacolo. Forges Davanzati ha soltanto 22 anni e – bisogna dirlo – per la sua età ha già raggiunto un eccellente risultato, mantenendo toni e tempi sempre tesi e precisi. La De Sio, nel ruolo, è completamente a suo agio, domina la scena con il suo fascino; la sicurezza fisica addomestica anche la recitazione. Soltanto al finale forse l’ultima ubriacatura prende il sopravvento troppo presto: l’esuberanza attoriale quasi mai ricambia con egual moneta il temperamento di un personaggio. Se Mrs. Robinson al termine gode di una doppia rivincita, come moglie e come madre, questa arriva al pubblico da quel che accade e mai dalla carica emotiva di chi interpreta. Asciugando e dominando qualche esuberanza, il risultato acquisterebbe certamente un valore più raffinato. Tuttavia l’entusiasmo che si legge sul volto della rubiconda prima donna, agli applausi finali che la platea le tributa con sincero ringraziamento, è la dimostrazione della sua vittoria.

Laddove la rappresentazione desta qualche sospetto di poco approfondimento è nel contorno. Soprattutto i due ruoli adulti maschili mostrano caratteri troppo simili, sembrano quasi recitati dallo stesso attore, le stesse intonazioni, lo stesso pathos, l’identica vis comica. Meraviglia che un regista attento, come s’è dimostrato Cassano, non abbia dato maggiori indicazioni per diversificare le personalità, che da copione (almeno quello italiano) sembrano disegnate da una sola penna.

Doveroso spendere qualche parola anche sul gradevole impianto scenografico di Carmelo Giammello. L’assemblaggio, di sicuro effetto, delle molte scene non sempre conferma la stessa cifra stilistica (in alcuni momenti si ricorre a un puro e semplice corridoio di proscenio) ma risulta senz’altro funzionale per gl’innumerevoli cambi. Peccato che aprendo una stessa porta, in ambienti differenti, s’intraveda l’identica greca sul muro di fondo. (fn)
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Il laureato adattamento da Terry Johnson, versione italiana di Antonia Brancati e Francesco Bellomo. Con Giuliana De Sio, Giulio Forges Davanzati, Alessia Cardella, Pietro De Silva, Valentina Cenni, Luigi Di Fiore, Antonio Petrocelli. Scene, Carmelo Giammello. Regia di Teodoro Cassano.

In foto, Giuliana De Sio (© Photo Steffi)

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