02 dicembre 2023

«Pseudolus» di Tito Maccio Plauto

Roma, Teatro Arcobaleno
1° dicembre 2023

L’ANIMO ARDIMENTOSO DI ANZELMO E LA COMICA VIS DI PIETRO ROMANO

La platea dell’Arcobaleno è sempre troppo illuminata dalle luci degli schermi dei cellulari. La gente non si contiene. E non si comprende il motivo per cui questa dilagante maleducazione venga tollerata da Vincenzo Zingaro e dalla sua équipe. Sono davvero molti gli spettatori che durante lo spettacolo scattano fotografie, e filmano ciò che accade in palcoscenico, non curandosi del fastidio che procurano a chi si ritrova il riflesso della luce negli occhi. Ieri sera, una quasi alta e quasi bionda – che si è spacciata con protervia per addetta ai lavori – s’è arrogata il diritto di usare a suo piacimento il cellulare, nonostante qualcuno le avesse detto di smettere: «La finisca lei, io sto lavorando» ha sbottato essa a voce alta e in malo modo. Il tono dei due litiganti ha rischiato di far fermare lo spettacolo. Al termine – l’ho visto con i miei occhi – mentre il signore andava via, prima che terminassero gli applausi, probabilmente ancora irritato dalla persistenza della maldestra fotografa, essa, a luci di sala già accese, ha allungato una gamba per farlo inciampare. L’uomo è rimasto in piedi per miracolo, mentre la «sgambettatrice» sogghignava soddisfatta. Oltre ad aver usato il cellulare durante tutto lo spettacolo, oltre ad aver alzato la voce, ha anche tentato il colpo gobbo ai danni di chi aveva perfettamente ragione. Questi spiacevoli episodi sono capaci di rendere una spensierata serata teatrale in amare sortite in cui arroganza e maleducazione purtroppo l’hanno sempre vinta. Certamente Zingaro, da artista di teatro qual è, saprà porre rimedio a questo increscioso atteggiamento.

Ma concentriamoci sullo spettacolo che Nicasio Anzelmo ha portato in scena con coraggio da leone: di questi tempi, tristemente anti-patriarcali, optare per un testo che parli di una donna schiava, obbligata alla prostituzione, comprata da un lenone e poi rivenduta a un soldato, è l’audace scelta di un animo ardimentoso. Tuttavia pare che il teatro latino di Plauto sia ancora immune da attacchi per violenza di genere. Ci auguriamo che resista!

Anzelmo è anche l’autore dell’adattamento di Pseudolus, e avendo a disposizione la vis comica di Pietro Romano, non ha lesinato ad abbracciare alcuni modelli burleschi tipici della Commedia dell’arte, che pure molto ha attinto dai testi latini. Con questa indicazione, la regia conferma quanto suggerito dall’autore, il quale nel prologo scrive: «Chi nella commedia si mette a cercar altro che ilarità, mi pare chieda troppo». Infatti sul palco sette personaggi (su dieci contati nel testo originale) regalano un incalzante ritmo sempre brillante a uno degli intrecci più riusciti del teatro di Plauto che qui replica la matrice assai vivace della commedia greca, e ne ricavano puro divertimento. Se drammaturgicamente si respira un’aria più antica, visivamente la scioltezza del copione scivola verso tempi più moderni e serrati. E modernissimo appare l’impianto scenico, molto semplice ma elegante e soprattutto funzionale. La regia sfrutta – a volte anche con qualche eccesso – la platea, che gli attori usano come fosse la strada che conduce all’agorà (il palcoscenico), una piazza adornata con una panchina e due lampioni con tanto di lampadine elettriche. In sala anche il pubblico è coinvolto dagli attori, e questo giustifica una recitazione che in ribalta mira quasi esclusivamente agli spettatori. Meno riusciti i costumi, soprattutto quelli che richiamano i pennuti (già visti e rivisti), tuttavia, alcuni colori in movimento accendono d’allegria il blu del fondale.

Il tema principale di «Pseudolus» è la fiducia. Nonostante il titolo, riferito al nome del servo protagonista, significhi il bugiardo, Calidoro (Giovanni Cordì), giovane innamorato, ripone massima fede nel suo schiavo. Il ragazzo, completamente privo di iniziative, è già pronto a veder partire il suo amore, Fenicia (incarnata dal fascino di Fanny Cadeo); lui è l’unico che vede nel carattere cialtrone del suo servitore una bontà portatrice di buone speranze. Tutti gli altri lo credono un imbroglione, ma Pseudolo è astuto e riesce a trarre beneficio anche da questa illazione. Pietro Romano veste i panni del servo e cattura con la simpatia sia il pubblico che i suoi complici (incisivo il carattere dell’Arpace di Antonio Macaluso); si intuisce che le battute siano spesso spontanee con riferimenti al mondo contemporaneo: altra abilità che fortifica lo spirito da Commedia dell’arte. Romano fa di Pseudolo un Brighella, a volte un Pulcinella, ma mai un servo sciocco. Tutt’altro: spiritoso e intraprendente.

Abbastanza differente dal personaggio originale è il Ballione di Giovanni Carta, il lenone, un tipo talmente losco e viscido che ogni ingiuria gli scivola addosso, anzi se ne compiace. L’offesa lo esalta, gli insulti lo rendono unico, inimitabile e tranquillamente spocchioso. La sua consumata cattiveria è talmente perfida, tanto da renderlo cieco di fronte all’inganno tesogli da Pseudolo. Tuttavia, nella sconfitta, accusa il colpo, ma senza mettere sgambetti! (fn)
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Pseudolus (Il bugiardo), di Tito Maccio Plauto. Adattamento e regia, Nicasio Anzelmo; con Pietro Romano, Giovanni Carta, Franco Sciacca, Paolo Ricchi, Antonio Mirabella, Giovanni Cordì e Fanny Cadeo

Foto: Da sin. Pietro Romano, Giovanni Carta e Giovanni Cordì (© Adriano Di Benedetto)

Pubblicato anche su Quarta Parete il 2/12/23

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