C’ERA UNA VOLTA… UNA RONDINE INNAMORATA E RAZZO VANITOSO
Persino chi ha presentato la serata si aspettava che «il grande maestro», appena annunciato, salisse subito sul palco per prendersi il consueto applauso del pubblico accorso alle Terme della splendida Villa Adriana a Tivoli, per assistere alla serata conclusiva di Extra Villae; invece, Lavia, da sorprendente uomo di teatro qual è, ha preferito riscaldare i motori ai piedi della ribalta, con confidenziale giovialità, insieme con qualche spettatore, tra abbracci e baci, minimizzando l’enfasi che gli si voleva tributare e introducendoci tutti noi, soavemente, nel mondo delle favole. «Come cominciano?», domanda. E gli spettatori in coro: «C’era una volta…». «E come finiscono?», chiede ancora l’attore. «…e vissero felici e contenti», risponde la signora interrogata. Oscar Wilde, che sapeva perfettamente che l’incipit delle favole corrisponde alla presentazione del male, e che la chiusura tende a nascondere la noia che si prospetta con l’arrivo del bene, benché sia stato incautamente paragonato da un critico della sua epoca ad Hans Christian Andersen, usa in tutte le sue composizioni (favole comprese) sovvertire i criteri classici della narrazione, per costruirla secondo i principi destabilizzanti del suo mito di scrittore, di dandy, di creatore di aforismi insuperabili: «La base di ogni matrimonio è una reciproca incomprensione», è il perfetto esempio che rispecchia l’audace spirito umoristico dell’irlandese. Così, seguendo la teoria del ribaltamento, anche Gabriele Lavia sceglie la soluzione più imprevedibile, optando per un conviviale intrattenimento in platea.
Preso poi possesso del palco, luogo che più gli compete, Lavia ha subito chiarito la ragione di questa caratteristica dicotomica che segnò la vita e l’esprit dell’autore di Dorian Gray, personaggio chiave dell’opera wildiana, il quale vede avanzare la propria vecchiaia nel ritratto appeso al muro, conservando nel fisico l’immutabilità dell’immagine giovanile. Dopo una invidiabile carriera liceale al Trinity College di Dublino, dove riscattò una licenza con il massimo dei voti, Oscar Wilde fu ammesso alla più prestigiosa università inglese. Salutando il suo tutor irlandese, il reverendo Mahaffy, questi lo sorprese con caustica ironia: «Non sei abbastanza intelligente per noi, meglio che tu vada ad Oxford». Lì Wilde ebbe due immensi maestri, Ruskin e Pater, i quali, pur stimandosi, coltivavano due linee di pensiero totalmente opposte: se per il primo tutto era separazione, per l’altro era fusione. In tale clima culturale si forgiava il carattere del giovane dandy che già da qualche anno mostrava quelle bizzarrie che in futuro avrebbero fatto di Oscar Fingal O’ Flahertie il personaggio più eccentrico della sua epoca.
Tra le affermazioni attribuite a Wilde ce n’è una che non contiene alcun apparente contrasto e dice: «Bisognerebbe sin dalla prima infanzia insegnare ai bambini ad essere contro la guerra». La frase, infatti, è di Constance, sua moglie (che in seguito pubblicò due volumi per i più piccoli), e Wilde la trascrive nel De Profundis. Da questo insegnamento che la donna pronunciò in un salotto, poco prima della nascita del primogenito, quando il rapporto coniugale ancora non s’era guastato, lo scrittore ne trasse l’ispirazione per ripensare al mondo delle favole, a quelle storie che avrebbe desiderato raccontare ai suoi figli, dove la vicenda si sviluppa attorno all’amore delle persone e delle cose e non è rappresentata soltanto dalla inevitabile lotta contro il male: via le streghe cattive, quindi, le matrigne spietate, via le ingannevoli mele, gli orchi spaventevoli; molto meglio una statua di un principe che rappresenti il cuore buono dell’umanità e una rondine amorosa che simboleggi la poesia. Così è nato Il principe felice, capolavoro favolistico dell’irlandese, in cui l’autore, solitamente incline a sbalordire il lettore con le sue sferzate, o con le sue trovate sarcastiche, qui tiene a freno l’ironia, per sbilanciarsi soltanto al finale con una satira sociale in nuce, immediatamente condivisa dall’atteggiamento di Dio. Proprio lui, sì!
Lavia nel presentare questa favola – la seconda della serata – sottolinea quanto la descrizione delle gesta di un uccellino sia simile all’animo poetico del suo autore. È vero. Facendo attenzione, infatti, al primo amore che la rondine manifesta nei confronti di un giunco, sentimento che le suggerirà di rimandare la migrazione in Egitto prevista insieme all’intero stormo, si possono riscontrare le analogie con l’affetto che lo legò a Constance, madre dei suoi figli. A chi gli domandò come mai si fosse innamorato di lei, Oscar rispose: «Non parla quasi mai. Mi domando in continuazione che cosa stia pensando». L’affetto nei confronti di Constance non tarderà a inaridirsi per un amore immensamente più grande, quello nei confronti della parola. Che lo legò prima a Robert Ross e poi ad Alfred Douglas. Ed eccola la rondine che vola via dal bel giunco, elegante nel fare rigidi inchini, ma incapace di spiccicare una sola sillaba. Ed eccola ancora trovar riparo, in cima a un’alta colonna, sotto la statua di un principe al quale non mancavano né lacrime, né parole e nemmeno un buon cuore. L’essenza dell’amore. Questo è l’Oscar Wilde dei piccoli, quello che Gabriele Lavia ci ha regalato con una pregiata lettura sotto a una meravigliosa antica volta romana, dove un’alta colonna (anzi due) svettava senza statua, mentre un pipistrello, dall’evidente vocazione d’attore, svolazzava, travestito da rondine, portando, da una parte all’altra delle rovine illuminate, immaginari zaffiri e rubini.
Non è per emulare la teoria del ribaltamento di Wilde, se il critico – che, in questo caso, lungi dall’essere un artista – ha scelto di dar la precedenza al secondo brano. Una ragione c’è. Le favole sono scritte per i bambini e Un ragguardevole razzo – come traduce l’ottimo Masolino d’Amico – è una faccenda tutt’altro che per l’infanzia. Risale al periodo in cui il nostro prese coscienza del tradimento di alcuni suoi amici tra i più cari. Nel racconto L’amico devoto, il mugnaio, pur confermando qualità e necessità della solidarietà amicale, afferma, alla rovescia naturalmente: «Adesso conosci soltanto la pratica dell’amicizia, presto conoscerai anche la teoria.» The remarcable rocket è una umoristica indagine sulla vanità, e contiene le medesime intenzioni di quel lago che ammirava la propria bellezza riflessa nel fondo degli occhi di Narciso che si specchiava nelle sue acque.
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Le favole di Oscar Wilde, scelte da Gabriele Lavia che ha letto e interpretato «Un ragguardevole razzo» e «Il principe felice», traduzione Masolino d’Amico. Alle Grandi terme di Villa Adriana, Tivoli. Per Extra Villae, Metamorfosi in bellezza
Foto: Gabriele Lavia alle Grandi Terme di Villa Adriana (© ???)