02 marzo 2023

«Metropolis», di Fritz Lang

Roma, Teatro Ghione
1° marzo 2023

LA MUSICA DEI TREETOPS SPOSA L’ESPRESSIONISMO TEDESCO DI LANG

Il regista che aveva sopravvalutato il genere umano

Intorno al 1920, nella Germania impoverita dalla sconfitta della Grande Guerra, «Urschrei» fu il grido anarchico che annunciava un nuovo movimento artistico pronto a rompere gli schemi della tradizione per risollevare lo spirito della nazione, l’Espressionismo: forma d’arte che mirava ad allontanarsi dalla realtà, a staccarsi dalle cose terrene perché tutt’intorno v’erano soltanto macerie. Prima della parentesi bellica, però, il mondo artistico europeo s’era lasciato influenzare dal progresso meccanico in enorme fermento. Le emozioni che provocava nella gente l’invenzione dell’aeroplano (1906) spinse gli artisti di tutto il mondo a guardare il cielo con maggior confidenza. Da noi, in Italia, il Futurismo s’era impossessato, già da un decennio, delle ambizioni di molti megalomani. Così, subito dopo la Grande Guerra, che bloccò le industrie e l’economia delle nazioni più facoltose, nel vecchio Continente riprese immediato il desiderio di far volare la mente e la fantasia, ma soprattutto lo spirito verso un futuro lontano. Negli Stati Uniti, invece, c’era qualcuno che, da quelle innovative forme artistiche (il volo verso il cielo promosso dal Futurismo italiano, e il distacco dalle cose terrene dell’Espressionismo tedesco) già ne stava ricavando i frutti: a Manhattan si stavano costruendo i primi grattacieli. Il signor W. P. Chrysler nel 1921 aveva già in tasca alcuni progetti per il suo personale building più alto del mondo. Da noi, la visione di queste opere avveniristiche, all’epoca, ce le poteva offrire soltanto il pennello metafisico di De Chirico.

L’AUTORE. Il giovane Fritz Lang (nato a Vienna nel 1890) intuì che l’Espressionismo tedesco se non avesse varcato i confini della nazione non avrebbe mai potuto esprimere la potenza che invece conteneva. Dopo alcuni tentativi cinematografici rimasti legati sempre al territorio europeo (con la sola eccezione del Gabinetto del dottor Caligari di Robert Wiene), Lang, dopo aver compiuto il primo viaggio a New York e avere scoperto la realtà dei grattacieli, torna in patria con le immagini del successivo film già in mente. Insieme con Thea von Harbou, la quale aveva già nel cassetto un romanzo per il cinema muto, scrive la sceneggiatura di Metropolis che sarà il suo capolavoro. Il film fu girato tra il 1925 e il 1926. Ebbe costi esorbitanti. Si pensi soltanto al numero delle comparse ingaggiate: 36.000. Vennero girati 620.000 metri di pellicola. La Ufa, casa produttrice, fallì. Molte copie del film andarono perdute. Soltanto nel 2010, grazie al ritrovamento in Argentina di una bobina, fu possibile completare l’opera di restauro. Metropolis è catalogato come film di fantascienza. A mio modesto avviso è un film biblico, un film drammatico, un film sociale, un film politico, un film pittorico in cui la fantascienza serve soltanto a dare un’indicazione assai generica al tema dello sfondo scenografico. D’altronde se i primi grattacieli sono stati innalzati prima del 1925, se gli aerei già volavano, se le fabbriche già sfruttavano gli operai, di quale fantascienza parliamo? Forse per la creazione di un robot? Non dimentichiamo che nel 1921 in Italia uscì una pellicola dal titolo emblematico, L’uomo meccanico, in cui si racconta del terrore che sparge un goffo automa di ferro.

In quegli anni, infatti, si viveva nell’entusiasmo e nell’ossessione del progresso. Il robot era il sogno proibito, ma anche il terrore che minava la fantasia dei ragazzi. Fritz Lang coglie tutti questi sentimenti avanguardistici e li raggruppa nel suo progetto nel quale si cimenta in una previsione sociale proiettata cento anni più tardi: ossia, la società del 2026.

IL FILM. In una Metropolis che il ricco industriale Joh Fredersen ha costruito per sé, sul disegno architettonico che all’epoca s’andava sviluppando a Manhattan, lui può vedere il mondo dall’alto, talmente in alto che anche gli aerei volano al di sotto del suo sguardo. Vive agiatamente grazie alla fatica di una classe operaia che lavora in una grande fabbrica nel sottosuolo in condizioni disumane. Suo figlio Freder, invece, vive come Adamo, in un giardino felice, coltivato a pace, frutti e belle ragazze. Nessuno ha il privilegio di svagarsi come Freder, fino al momento in cui viene distolto dalla visita di Maria che gli mostra le condizioni drammatiche in cui versano i figli degli operai: ricoperti di stracci, denutriti, sporchi e senza genitori perché impegnati alle macchine per 10 ore al giorno.

Fin qui soltanto il prologo del film che prosegue con le sequenze relative allo sfruttamento delle masse, al tentativo di rivolta e a quello di pace, poi c’è l’inganno, il tradimento, lo scontro tra il bene e il male e naturalmente la storia d’amore che ci accompagna al lieto fine. Insomma, a conti fatti, quando mancano appena tre anni alla scadenza della visione di Fritz Lang, sia la fantascienza sia l’intenzione artistica di distaccarsi dalle cose terrene, di volare verso la luminosità del cielo, restano traguardi ancora molto lontani. Probabilmente l’autore del film, invece di immaginarci, ci aveva già fotografati cento anni fa. Anche se va annotato un «errore»: nella drammatica visione sociale di Lang la figura del robot sollecita gli operai alla rivolta; al contrario, i nostri cellulari ci rendono talmente stupidi da smorzare ogni impeto di ribellione. Evidentemente l’autore ci aveva sopravvalutati.

LA MUSICA. Ieri sera, al Teatro Ghione, una platea stracolma ha applaudito la visione della pellicola restaurata e presentata con le musiche dal vivo di un gruppo di giovanissimi talenti specializzati in un jazz moderno, che affonda un po’ nel rock, o forse il contrario, fa lo stesso: restano bravissimi. Dopo un anno di lavoro, i Treetops sono riusciti a trovare tutte le sonorità che accompagnano i fotogrammi della pellicola. Utilizzando due sax, due chitarre e tastiera, oltre alla batteria e al basso, hanno modulato i crescendo, gli adagi e i veloci fino ai singoli effetti con una perizia davvero rara. I Treetops sono sette, proprio come i sette peccati che Fritz Lang mostra prima immobili come statue e poi all’improvviso barcollanti, ma implacabili e minacciosi, come gli zombie di Michael Jackson.

Con la loro musica che (pur non somigliando affatto a quella roba orrenda che si ascolta per radio, ripetitiva e incolore) rispecchia i nostri tempi, soprattutto la sensibilità intellettuale di oggi, i Treetops hanno restituito un ritmo che ha facilitato la comprensione della contemporaneità della pellicola, facendosi ispirare dal genio di Fritz Lang. (fn)
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Metropolis, film di Fritz Lang (1926); sceneggiatura di Thea von Harbou e Fritz Lang; con Alfred Abel, Gustav Fröhlich, Rudolf Klein-Rogge, Brigitte Helm. Versione restaurata e presentata al Teatro Ghione il 1° marzo 2021 con la musica dal vivo dei Treetops: Anna Bielli (chitarra), Luca Libonati (batteria), Eric Stefen Miele (sax soprano), Simone Ndiaye (basso), Andrea Spiridigliozzi (chitarra), Marcello Tirelli (tastiere), Daniel Ventura (sax tenore)

Foto: un’immagine futuristica della Metropoli di Lang

Pubblicato anche su Quarta Parete il 02/03/23

 

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