LE TENERE ANGOSCE DI UNA MADRE
C’era una volta una mamma che amava talmente tanto suo figlio che non riusciva a vedere nemmeno le sue paure. Un peccato di superbia, come le suggerisce la coscienza, che perseguita la povera madre ogni giorno di più, costringendola a vivere in una continua angoscia anche ora che quel «bambino» ha 18 anni e trascorre la giornata in camera, chiuso nel suo mondo immateriale, come un orso nella sua tana, da dove traspare soltanto rabbia e malumore. La delicatissima favola di Lucilla Lupaioli, ispirata alla novella giapponese «L’orso della luna crescente» ma con chiare influenze shakespeariane, pennella le inquiete ossessioni di una madre che vede crescere suo figlio sempre più distante da lei. E soffre, povera donna: soffre per lui e soffre soprattutto per gli errori che ha commesso da quando suo figlio è nato. Ma – e questo è il punto – di quali errori si tratta?
La logica domanda, in realtà, può avere mille risposte, ma anche nessuna. La Lupaioli, anche regista dello spettacolo, ambienta la storia nel mondo immaginifico delle favole, dove perfino la morte si spaventa della furbizia dei viventi, e costruisce il personaggio della madre, Penny (interpretato con candida tenerezza da Martina Montini), in un complesso archetipo composto dalle varie sfaccettature della sua stessa coscienza. Un impianto drammaturgico apparentemente complicato, ma che in realtà, grazie a uno stile di scrittura proprio delle favole, risulta tanto elementare quanto gradevolissimo e di facile comprensione anche per i più piccoli.
Oltre a Penny, affannata e preoccupata, ci sono il giocattolaio (l’elegante Guido Del Vento) e il suo assistente (lo spigliato e virtuoso Riccardo D’Alessandro), che guidano i sentimenti della donna portandola a un corto circuito mentale durante Aperitivi e colazioni in casa dell’amico e confidente Nico (il simpatico Alessandro Di Marco). Il quale sembra metterle davanti agli occhi soltanto la normalità della situazione. Pertanto la esorta a brindare invitandola a sorridere tranquillamente, tuttavia le angosce per il presente e per l’avvenire del figlio (Andrea Lintozzi), e il suo passato di madre (forse assente, forse anaffettiva, forse eccessivamente distratta) trasformano il frivolo appuntamento in un territorio minato da inutili nevrosi: fuochi fatui che l’amico cerca di spegnere cospargendo gocce di ironia e perle di saggezza. D’altronde, si sa, i figli crescono e il risultato del lavoro «perfetto e meraviglioso» che un genitore crede di aver fatto per tanti anni, è ritrovarsi di fronte un giovane sconosciuto che chissà da dove arriva!
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