17 febbraio 2025

«Prima della Tempesta» di Antonella Civale


Roma, Teatro di Documenti
15 febbraio 2025

STREHLER & DAMIANI: LA MEMOIRE

Giorgio Strehler, da ragazzo, avrebbe voluto fare il direttore d’orchestra, ma poi optò per dirigere, da regista, gli attori in teatro: grazie alla sua straordinaria immaginazione, gli bastava posizionare un’orchestra in palcoscenico per dar vita con un tocco di bacchetta magica al grande concertato che furono le sue regie, un’arte dove tutto era ricerca della perfezione. Chi conosce, anche per sommi capi, La tempesta di Shakespeare non ha gran difficoltà a intuire quante analogie ci siano tra Prospero e Giorgio Strehler: «Il più grande di tutti», ripeteva Vittorio Caprioli appena sentiva nominare il grande regista del Piccolo, accompagnando l’asserzione con un gesto della mano che cancellava ogni possibilità di fraintendimento.

Luciano Damiani fu lo scenografo di quella Tempesta che sin dal suo debutto, nel 1978, «era rimasta viva nella memoria degli spettatori per gli straordinari effetti che fino ad allora non si erano mai visti in teatro». La scena di quell’allestimento, nato dal vuoto di un palcoscenico, con gli interventi di Damiani, diventava protagonista della poesia dell’opera shakespeariana sin dal primo istante, quando una furiosa mareggiata, «riprodotta da un enorme velo agitato da una schiera di mimi, mentre dei percussionisti battevano forsennatamente tamburi e piatti, scrollando lastre di metallo», percuoteva l’isola abitata dagli spiriti.

E l’altra sera Antonella Civale ci ha deliziato con un suo omaggio a Strehler e a Damiani, immedesimandosi nell’anziano suggeritore del Piccolo, quell’Alighiero Scala che divenne tra i protagonisti più applauditi dell’Arlecchino servitore di due padroni. Certamente ai più giovani, che non l’hanno mai visto, andrebbe spiegato chi era e cosa faceva il suggeritore in teatro: non v’è dubbio che suggerisse le battute durante le recite, o che desse l’imbeccata (come si dice in gergo), ma, come spiega bene il personaggio Alighiero, appena sbuca da una botola del sottopalco del Teatro di Documenti, il suggeritore d’arte nei secoli scorsi, spesso, era l’unico che sapesse leggere e scrivere, quindi, era considerato come l’uomo di lettere di ogni compagnia di giro. Persona importante, dunque. L’Alighiero della Civale pare essere proprio uno di quegli omini, nato dalle tavole di un palcoscenico, con un copione in mano, cresciuto ma non troppo, con la voce sommessa per consuetudine professionale, perché i suggerimenti agli attori non vanno detti, ma soffiati.

Così cominciando, il fedele Alighiero, il pio Alighiero, ci introduce sull’isola della Tempesta, passando però per la porta di servizio, ossia per l’ingresso degli artisti, e allora diventa all’improvviso il vulcanico Strehler con voce piena e irruenta, poi Prospero, poi Ariel con la vocina alta della Lazzarini, infine anche Damiani e perfino Calibano, finendo in un valzer – che è il valzer creato per il Giardino dei ciliegi (tutte le musiche sono quelle originali dell’indimenticabile Fiorenzo Carpi) – un ballo gioioso con una sedia che sembra riunire tutti, persone e personaggi, in un unico spiritello che è il teatro rappresentato dalla sedia del regista, il suo demiurgo. Racconta aneddoti, Alighiero, svela misteri, affascina leggendo dai diari dell’allestimento: quei preziosi scritti di Ettore Gaipa, altra figura storica del Piccolo di Milano.

Vola via in poco più di un’ora il testo ideato dalla stessa Civale, ma drammatizzato da Marco Carniti, che di Strehler fu assistente in più occasioni, e che qui, nello spazio teatrale inventato da Luciano Damiani, disegna una regia particolarmente ispirata, usando il ventre dell’alveo testaccino come raramente s’è visto. Lo spettacolo, che nasce qualche anno fa, è stato rappresentato già in altri luoghi; in questa sede, tuttavia sembra trovare un antro assai accogliente, una perfetta culla: pur svolgendosi interamente sul livello superiore, anche la parte bassa delle caverne viene sfruttata per raggiungere effetti particolarmente magici e teatrali (soltanto un po’ troppo illuminati), come esigeva Strehler e come pensava Damiani proponendo soluzioni che diventano anch’esse regia: «Le mie scene più belle sono fatte di silenzi», diceva.

Spettacolo, mah! Non so se sia la parola esatta per definire l’operazione: monologo certamente mai. Spettacolo, in verità, mi sembra termine troppo generico e forse inappropriato, quantunque indelicato. La coppia Carniti-Civale prepara, infatti, un doppio omaggio sceneggiato che è uno studio in forma di dramma sulla Tempesta, un approfondimento sul rapporto artistico tra Strehler e Damiani, una memoire «sull’interpretazione critica» di un testo che deve tirar fuori tutta la sua umanità. Non è un caso che «l’ineluttabile topo con voce di nano» (definizione che il maestro dà del suggeritore) cominci dicendo che «il teatro di Strehler è un teatro umano», ossia che contiene pregi e difetti degli uomini, ma che ha il privilegio di poter essere perfezionato. E con Strehler, che della regia ne fece un fatto critico, doveva essere la perfezione, proprio per riflettere il miglior ritratto dell’umanità. Andiamo al sodo: per questo motivo occorsero quattro mesi di prove per collaudare i meccanismi scenografici, per intonare le battute degli attori, per selezionare gli interventi di Carpi che venivano fuori anche da sotto il palco (e Carniti trova una soluzione fantastica per far rivivere la magia), per ricercare nuove invenzioni, come quella suggerita da un incidente di percorso. Quattro mesi di prove: forse per questo, oggi, i capolavori in palcoscenico li abbiamo dimenticati!

Narra Alighiero che un giorno, in prova, sfilando il moschettone dal gancio che teneva la Lazzarini (Ariel) sospesa da terra, l’elastico che la reggeva, schizzò in alto andando a sbattere sulla graticcia (che è lo scheletro superiore che regge tutto il corpo del teatro) e producendo un rumore forte, stentoreo, rimbombante. Strehler lo fece suo e stabilì che quello sarebbe stato lo schianto prodotto dal taglio del cordone ombelicale tra Prospero e Ariel. E la sua Tempesta si arricchì di un effetto fino a quel momento mai immaginato, nemmeno da Damiani, il quale era impegnato a segare un manico di scopa per ricavarne i bottoni dei costumi o a definire la quantità di seta che occorreva per la mareggiata iniziale (quattromila metri quadrati). Un tipo particolare di tessuto che da quel momento fu chiamato universalmente Tempesta.

Prima della Tempesta, dovrebbe essere uno di quegli allestimenti che il teatro di Documenti dovrebbe riproporre almeno un paio di volte all’anno, sempre, come fosse una lezione di memoria teatrale, un ritrovo per nostalgici, uno studio per trovare ispirazioni da un teatro che non c’è più, un libro scenico che s’apre nel suo luogo deputato, affinché le nuove generazioni di attori (non dimentichiamo che a Roma c’è un gran fermento di scuole di recitazione) sappiano chi sia Giorgio Strehler, chi sia Luciano Damiani, e cosa sia stata la loro Tempesta e quella del tenero Alighiero. (fn)
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Prima della Tempesta (Omaggio a Luciano Damiani e Giorgio Strehler), di e con Antonella Civale. Drammaturgia e regia di Marco Carniti. Musiche di Fiorenzo Carpi. Luci e fonica, Paolo Orlandelli. Allo spettacolo è associata la mostra dei disegni progettuali di Luciani Damiani, autore dei costumi e delle scene della Tempesta diretta da Strehler. Al teatro di Documenti, speriamo presto

Foto: Antonella Civale (© ???)

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