17 ottobre 2025

«Ad A.», scritto e diretto da Sara Esposito

Roma, Spazio Diamante
16 ottobre 2025

LA LIBERTÀ VISTA DAL PIANETA ALZHEIMER

In teatro ormai aprire il sipario su uno spettacolo senza la scenografia è all’ordine del giorno: d’altronde, si sa, la scena ha un costo e per risparmiare se ne fa a meno. Più raro è cominciare uno spettacolo che prevede una scena e, per un disguido, invece, questa non c’è. Allora gli attori si caricano di un peso psicologico insolito, ingombrante, indisponente, che diventa una preoccupazione insopportabile durante la recita, perché pensano ovviamente che l’allestimento sia incompleto, temono che i movimenti provati possano diventare un impaccio, addirittura ridicoli; insomma, in simili occasioni, forse sarebbe stato meglio non prevederla proprio una scenografia, sarebbe stato opportuno, addirittura logico, rimandare il debutto.

Ma no, perché? Per far muovere la macchina teatrale sono sufficienti gli attori e un po’ di pubblico: saranno loro, gli artefici in palcoscenico, a indicarci una scenografia che non si vede; saranno gli spettatori, se ce ne sarà bisogno, a immaginarla con la creatività suggerita dalle luci, dai gesti. Questa è la bellezza del teatro. La realtà, al confronto, può apparire soltanto un po’ più paradossale: sì, perché lo spettacolo in questione ruota intorno all’Alzheimer, e sapere che qualcuno si è dimenticato di consegnare la scenografia… be’, fa parte del gioco teatrale: in fondo, anche il trasportatore s’è immedesimato nella parte.

Il titolo è Ad A., una dedica, ma anche un nome: la protagonista in scena si chiama, infatti, Ada. Il testo di Sara Esposito trova ispirazione nel dramma di una anziana, vittima della demenza senile, oggi, purtroppo, abbandonata dalla famiglia in un ospedale psichiatrico. Sara l’ha conosciuta, le ha parlato, ma soprattutto l’ha ascoltata. Le è stata accanto registrando frasi, toni, suoni, sbalzi di umore, e ne è nato un lavoro soprattutto emotivo, certamente drammatico, ma anche divertente. Non è il primo spettacolo teatrale sul morbo della terza età, già ne abbiamo visti, ma è il primo che fotografa la realtà dal punto di vista della malattia. In scena è l’Alzheimer che parla, che disegna le discrasie mentali e caratteriali: nella scrittura di Sara Esposito non degenera la mente (o il fisico) di chi è malato, ma tutta la realtà circostante, che uscendo dalle quinte, invade l’intera società. Per la Esposito l’Alzheimer diventa un linguaggio contagioso che distrugge i rapporti, l’amore, le speranze. Diventa la conflittualità tra i personaggi: tra il mondo di chi si reputa sano e il mondo di chi viene considerato malato. Soltanto così si può comprendere perché l’autrice trasferisce il morbo, che solitamente colpisce gli anziani, su una donna appena quarantenne, alla quale il mondo in cui vive non piace più.

Ada (l’autrice e regista) è la moglie di Pietro (Sebastiano Gavasso); con loro c’è Max (Valerio Lombardi), anima inquieta, bambino docile e reazionario a cui piace nascondersi nell’apnea di una vasca da bagno (vuota) per ritrovare la felicità dell’infanzia. Soltanto Pietro, inizialmente, sembra appartenere decisamente al pianeta dei sani di mente: in lui si avverte la necessità dell’amore, il desiderio continuo di riconquistare la compagnia della sua donna che s’è perduta nella malattia; nei suoi momenti di debolezza mostra la disperazione della fatica di un uomo stanco e della solitudine (che è il male di molti) che patisce. Tra i tre derelitti, che vivono nascosti in una trincea casalinga, il linguaggio si frantuma, andando a sbattere contro il muro di una libertà negata.

«Com’era bella la libertà», sospira Ada. «La gente si batte per la democrazia che non c’è più», sostiene Pietro. In verità, «la gente aveva paura, ma non sapeva ostacolare le decisioni del governo», dice ancora Ada chiusa nel sogno della sua malattia, nella quale sembra, però, trovare protezione dai pericoli della landa dell’odio esterno, dalle persecuzioni quotidiane, dai controlli incessanti del vivere comune. Ada si ribella, diventa perfino violenta, perché dal suo punto di vista, offuscato dal morbo, si accorge che Pietro non vuole seguirla. Lui con ostinazione resiste alla tentazione della malattia, non cede. Preferisce la realtà: ma come fa! Per lei ciò è inconcepibile perché nel mondo di A., e in quelli come lei, malgrado tutto, ci può essere maggiore libertà di pensiero, di espressione, di amore.

All’improvviso c’è un netto ribaltamento in cui la follia mentale passa da un personaggio all’altro: Ada sembra l’unica cosciente, dotata di ragione e di piena ragionevolezza. Sono i drammatici «scherzi» dell’Alzheimer che progredisce e il pathos generale aumenta: sembra tutta una visione alla Orwell. Siamo, infatti, in un futuro distopico, una microsocietà immaginaria del 2035, sulla quale incombe la voce del Grande fratello, un tiranno che non lascia scampo e si nasconde dietro la porta d’ingresso. Proprio come il morbo quando ha raggiunto l’ultimo stadio.

Alla fine, quel che doveva essere il dramma di una persona sola si trasforma nella tragedia di tutti, tranne degli spettatori che, incuranti dell’assenza della scenografia (della quale non s’è avvertita la mancanza grazie alla professionalità e alle capacità di tutti), hanno a lungo applaudito la performance. Dimenticavo: quant’è brava Sara Esposito! (fn)
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Ad A., scritto e diretto da Sara Esposito. Con Sara Esposito (Ada), Sebastiano Gavasso (Pietro), Valerio Lombardi (Max). Aiuto regia, Gaia Galati. Illustrazione, Elena Manocchio. Produzione, A. G. Spettacoli di Al. Alfieri. Allo Spazio Diamante fino a domenica 19

Foto: Sara Esposito (© ???)

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