UNA SARCASTICA IPERBOLE GIUDIZIARIA NELLA CELLA DELL’ASSURDO
Un tavolo al centro con due sedie ai lati rivolte al pubblico. Sul ripiano, un vaso con una pianta. Due microfoni laterali in attesa di essere usati all’occorrenza. Forse, però, manca qualcosa alla scena: l’elemento protagonista, quello della speranza, dell’ispirazione, quello dal quale dovrebbe filtrare una luce evocativa che dia senso tragico al gioco perfido che i protagonisti creano nel buio delle loro vite. A un certo punto s’è avvertita forte la mancanza di una finestra, quale improbabile via d’uscita, ma necessaria, segnata appena da un riquadro, che i due disperati inseguono da tempo, e che forse nemmeno vedono più; eppure, quasi la invocano per tutto l’arco della messa in scena. Una messa in scena che ha il sapore amaro della finzione nella finzione, una sarcastica iperbole dell’assurdo costruita da John Mortimer nel 1958 sul sistema giudiziario, e che, grazie a un adattamento della coppia d’attori vincitrice Premio nazionale Scintille 2023, risulta ancora molto attuale. Marcello Spinetta e Christian di Filippo sono rispettivamente l’avvocato Morgenhall e il condannato Fowle, oltre ad essere registi di sé stessi.
I due personaggi servono all’autore (che, prima d’essere commediografo e sceneggiatore, ebbe una breve carriera da legale d’ufficio) per mettere alla berlina l’ambiente giudiziario inglese. Che poco differisce da quello nostrano. La trama è molto semplice: Fowle, accusato di aver ucciso la compagna, è rinchiuso in cella in attesa del processo; il suo difensore si dà arie di grande avvocato, facendo sfoggio di citazioni latine, ma la sua eccessiva parlantina lascia trapelare troppe insicurezze e ancor più disastrose angosce di una vita privata. La sua difesa, infatti, non si concentra sull’assoluzione del cliente, ma sulla sua stessa necessità di trovare i mezzi per la sopravvivenza. Il gioco dell’assurdo prende spunto dalla finzione: si inscena un processo, dove l’avvocato diventa protagonista assoluto della scena, mentre il reo Fowle si sdoppia nelle parti del giudice e in quelle dei giurati, ruoli che sa rendere ridicoli e paradossali. Tuttavia, la scrittura di Mortimer, ottimamente tradotta da Luigi Lunari, proprio nel gioco di Fowle, sembra voler insinuare il dubbio che il dialogo non si svolga propriamente in un carcere, ma potrebbe anche essere un tinello di casa, che diventa l’immaginaria cella dell’assurdo, dove due canaglie, amici di lunga data, con un cadavere nascosto nell’armadio, si divertono a farsi beffa delle autorità e della legge non accorgendosi di precipitare in un abisso di disonestà. Il colpo di scena finale, che non si può svelare, ne dà conferma. Insomma, basterebbe una finestra a innescare ancora più forte il dubbio sulla perfida cattiveria dei protagonisti, e a sottolineare la complessità di una scrittura assai raffinata.
Nel bel mezzo del finto processo, infatti, la verità teatrale all’improvviso scalza via la finzione: i microfoni amplificano le voci maestose che si ascoltano nell’aula del tribunale e l’udienza giuridica diventa seria dando consistenza a un dramma surreale, quello dell’avvocato che avrebbe bisogno di assistenza. Mortimer ci mostra le due facce del mestiere: le vane promesse di vittoria della causa e la dura realtà dell’aula. Incapace di proferire parola, l'avvocato fa scena muta, adottando la tecnica della mummia. Una debacle professionale che lo fa scivolare nel più profondo sconforto. Basterebbe uno sguardo lanciato alla finestra (se ci fosse stata), anziché al pubblico, per dichiarare il contrasto tra il chiarore felice della vita dove ci sono i baobab e dove volano i pappagalli amati da Fowle, e l’oscurità della disperazione nella quale ci si ostina a sopravvivere, finzione compresa.
Spettacolo vincitore del Premio nazionale Scintille 2023
Foto: Dietro al microfono (di spalle) Marcello Spinetta e (seduto) Christian di Filippo (© ???)