FINALMENTE UN CORO AFFOLLATO PUÒ ESPRIMERE L’ANIMA DELLA TRAGEDIA
Sono lontani i tempi in cui si poteva assistere alla rappresentazione di una tragedia greca allestita come se fosse appena stata scritta dal suo autore: senza idee originali e senza stravolgimenti, senza proiezioni e senza automobili o motociclette che arrivano dalle quinte, senza jeans strappati e senza cappotti neri, senza parrucche cotonate e senza calze a rete. La tragedia autentica, così com’è stata ideata, portata sulla scena di un teatro moderno, tolta dal suo antico spazio dove nacque qualche millennio fa e riproposta tale e quale, con una traduzione esatta, resa scorrevole, e con qualche taglio opportuno, e rappresentata con fedeltà letteraria e semplicità teatrale.
La semplicità in teatro è un valore dimenticato, invece andrebbe rivalutato perché ha molte cose da insegnarci. D’altronde siamo all’università e gli insegnamenti, da queste parti sono all’ordine del giorno. E anche se si tratta di un’iniziativa nata da un laboratorio di studio sul teatro dell’antichità, questa è giunta a tagliare il traguardo del palcoscenico nel più felice dei modi. Ideato e coordinato dalla professoressa di Filologia classica, Anna Maria Belardinelli, «con l’obiettivo di produrre traduzioni e allestimenti di testi classici che conservino intatti il significato e i valori originali», il progetto ha coinvolto circa quaranta studenti dell’Università di Roma, La Sapienza. Attori non professionisti, quindi! Il risultato, però, è stato nel complesso più che dignitoso, positivo, grazie all’attenta regia di Adriano Evangelisti, unico professionista di teatro che ha diretto la messa in scena. Da un folto gruppo di giovani universitari non si può pretendere di sentire una recitazione perfetta, eppure tra i protagonisti si sono distinti l’Edipo di Marco Caroletta, il Tèseo di Leonardo Losi e soprattutto l’Antigone di Annamaria Bertoni.
Bene, le notizie ordinarie le abbiamo esaurite, ora occorre fare una riflessione su questo allestimento. Da anni assistiamo a riscritture e adattamenti delle tragedie che riducono il coro a un solo elemento, talvolta due, al massimo tre. Lo si fa ovviamente per questioni economiche: per risparmiare paghe agli interpreti di personaggi considerati superflui. Si cancellano ruoli che sono simili perché hanno le stesse identiche battute giustificando i tagli del cast con le più improprie menzogne. La verità è racchiusa soltanto nel libro paga della produzione di turno. Nell’Edipo a Colono, Evangelisti ha avuto il coraggio di portare su un palcoscenico di dimensioni non certo immense come quelle del teatro di Dioniso ad Atene o di Siracusa, ben 22 attori per avere finalmente un coro folto e consistente, a una voce, come fosse una cittadinanza.
Sofocle, per quel che ne sappia, fa parte di quel gruppetto di scrittori (non sono poi tanti) che hanno inventato il teatro: ossia che delle prime rappresentazioni dei riti dionisiaci, costituiti prevalentemente da intrattenitori o imbonitori, ne hanno fatto uno spettacolo teatrale, scrivendo un testo, strutturando personaggi per la scena, ideando situazioni conflittuali. Se cotanto autore prevede un coro formato da tante unità, un motivo valido, suppongo ci sia. Il coro greco nasce prima della tragedia. È quel canto festoso che diventa preghiera negli antichi riti, che poi si trasforma in inno funebre, ma anche nella voce del popolo e nell’eco del regno dei morti. È sempre il grido di una moltitudine. Spesso nelle parole del coro c’è la verità, c’è il senso della tragedia, c’è il lamento dell’uomo costretto a misurarsi con il mito. E non è mai il lamento di un solo essere umano, o di due o di tre, ma diventa il lamento di tutti noi, antichi e moderni.
Quei registi – oggi tutti, purtroppo – che per allestire una tragedia classica riducono le voci del coro a uno sparuto numero di attori commettono un gravissimo tradimento nei confronti dell’originale. L’altra sera, all’Ateneo, pur assistendo a un allestimento fatto da studenti, mi sono persuaso che il coro corale (mi si conceda l’allitterazione) è l’anima della tragedia. Quando recita un coro affollato all’unisono si sente l’eco della storia, il valore del mito, il calore del teatro che ritrova nella parola d’insieme il suo antico rito. Voglio ringraziare Adriano Evangelisti per aver osato una prova tanto ardua tecnicamente, ma altrettanto efficace nella realizzazione, restituendo la semplicità dell’azione che si sviluppa con la essenziale fluidità del discorso. Soltanto attraverso la voce del coro s’è avuta la sensazione di vedere un personaggio straziato dal dolore in una città a lui sconosciuta. Soltanto attraverso gli interventi del coro s’è compreso il tormento di uno straniero in mezzo a un popolo nuovo. Soltanto grazie al coro s’è vista la clemenza di un re che accoglie un profugo. Il coro di Colono ha rappresentato il coinvolgimento di una città, di un popolo, di un pensiero democratico.
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Edipo a Colono di Sofocle. Regia di Adriano Evangelisti. Un progetto Theatron Teatro Antico Sapienza. Coordinamento Anna Maria Belardinelli. Con Laura Maria Baldassarri, Annamaria Bertoni, Desiré Boccia, Francesco Bruno, Marco Caroletta, Alessandra D’Aloisi, Ludovica Damiani, Diletta De Simplicio, Emanuela Di Paolo, Filippo Di Vita, Benedetta Fatali, Francesco Fazio, Perla Franchi, Francesco Frollini, Alessandro Giardetti, Alessandro Lacchè, Aldo Lobascio, Leonardo Losi, Andrea Meduri, Ilde Mosca, Claudia Ndoca, Viola Maria Ronzoni. Traduzione, Elena Avino, Giovanni Calamo, Davide Gravanti, Irene Mascia, Matilde Pesci, Viola Piagnani. Giovanni Vaglini. Musiche, Patrizio Maria D’Artista, Costumi, Cicci Mura e Luigina Ponzo. Al teatro Ateneo dell’Università di Roma la Sapienza. Lo spettacolo si replica nei prossimi giorni nell’Aula Magna (mattina e pomeriggio)
Foto: Marco Caroletta (Edipo) con Annamaria Bertoni (Antigone) (© Danilo Serreli)