12 novembre 2025

«Sogno di una notte di mezza estate», di W. Shakespeare (regia, D. Salvo)

«Sogno di una notte di mezza estate» (regia, D. Salvo)

Roma, Teatro Quirino
11 novembre 2025

IL SOGNO DI PUCK È BROADWAY

Essere bravi in teatro è caratteristica determinante per innalzare la qualità di uno spettacolo. Essere bravi non significa soltanto interpretare al meglio delle proprie possibilità un personaggio, ma soprattutto restituirlo in maniera convincente, affinché lo spettatore, all’interno dell’illusione teatrale, sia persuaso dalla verosimiglianza di quel che sta vedendo, proprio come se sognasse. Per essere bravi non è indispensabile riuscire a sbalordire gli spettatori – certo, se ci si riesce, si raggiunge un obbiettivo che regala soddisfazioni – ma occorre piuttosto saper trascinare il pubblico in un gioco artisticamente malizioso e delicato: per questo la bravura non è sempre sinonimo di optimum, di tensione stellare, di vette emotive sempre altissime. Melania Giglio e Daniele Salvo, coppia che già in passato ha presentato spettacoli apprezzabili, sono indubbiamente dotati di bravura e di originalità, lei come attrice e lui come regista. Le doti vocali della Giglio sono ormai risapute: possono competere con quelle delle star del musical internazionale. La fantasia di Salvo, no, un po’ meno, ma le sue capacità di metteur en scene non si discutono. Tuttavia entrambi dovrebbero completare il loro ciclo di bravura con un buon rimessaggio di misura ed equilibrio.

Il Sogno di una notte di mezza estate, in scena al Quirino fino al 16 novembre, con una compagnia di quattordici attori, tutti di buon livello, è paragonabile a una sinfonia che, una volta inserita la marcia dell’Andante maestoso, tira dritto dall’inizio alla fine senza mai trovare il tempo di un Adagio, di un Moderato, di un Minuetto. Lo Scherzo c’è, ma è uno Scherzo nevrastenico, esagitato, stancante, perché sposa l’esagerazione che è disseminata in tutta l’operazione. Quando Shakespeare scrisse il «Sogno» pensò di intrecciare, in un unico arazzo, quattro trame composte da differenti livelli linguistici, da altrettanto mondi evocati (uno classico, uno romantico, uno realistico e uno fiabesco): rappresentano quattro epoche teatrali ben distinte che un regista oggi ha tutto il diritto di manipolare a suo piacimento, secondo le immagini della sua fantasia, ma i tempi recitativi di ciascuna delle vicende devono differire l’uno dall’altro, altrimenti la sinfonia diventa quell’unico Maestoso che stritola la delicatezza dell’intreccio che forma la commedia.

Andando, punto per punto, nel particolare ancor di più si intuisce l’enfasi corale che ha generato l’allestimento dove ogni sfumatura prende la piega dell’eccesso. Soprattutto le musiche di Patrizio Maria D’Artista che accompagnano le gesta eroiche della magnifica truppa sono enfatiche, tipiche del musical d’oltreoceano, a volte addirittura minacciose o strombazzanti come certe caricature händeliane, e spesso sovrastano la recitazione. Le luci di Giuseppe Filipponio, quelle di base, sono esemplari: esplicative in scena, fiabesche sul fondale. Ma quanti effetti! Troppi. Anche tra una battuta e l’altra. E poi i proiettori a pioggia, la discoteca, i fari rivolti in platea: a Filipponio, evidentemente, è stato chiesto di realizzare uno spettacolo d’illuministica a prescindere dal testo, forse per un San Silvestro nel bosco delle fate! I costumi di Daniele Gelsi sono il fiore all’occhiello: di questo ipotetico Capodanno se ne poteva fare un carnasciale che, invece, per fortuna è stato evitato. Forme e colori hanno seguito un criterio più moderato, spingendo là dove si poteva e attenuando altrove per equilibrare. La scenografia di Fabiana Di Marco, unica per tutti gli ambienti, è pensata per il concreto: per le scene di massa, per le lotte, per la recita, per il re e la regina e per dare risalto alle luci.

La scelta dell’uso dei microfoni è destabilizzante (e meno male che è un sogno!). Ce ne sono di tutti i tipi: in ribalta, appesi in graticcia, sulle guance degli attori (non tutti). Il risultato è che spesso si ascoltano le battute attraverso le vibrazioni di una eco che si riflette di continuo in taluni personaggi, in altri no. Per giustificare la disarmonia dei suoni ho anche pensato che si trattasse di una trovata registica, di cui però, lo ammetto, non ho afferrato la logica. Così come non ho capito perché Puck all’improvviso canti – magnificamente s’intende – prima in lingua inglese, poi in italiano, poi di nuovo in inglese. Forse in attesa di un provino che consacri la sua interprete sulle scene di Broadway: è il suo sogno, lo si intuisce e glielo auguriamo. E non si capisce soprattutto perché Puck canti non da personaggio ma proprio da cantante, come se Shakespeare avesse scritto la parte di Robin pensando a Barbra Streisand. Tutto ciò è molto improbabile, tuttavia fa parte di un sogno che ha nell’incoerenza e nelle lungaggini le sue fasi più offuscate. Ecco perché la bravura in teatro non è un valore da sbattere in faccia al pubblico, spingendo sul diaframma per allungare i fiati e torcendosi nei toni alti per arrivare lassù dove solo Mina e poche altre sapevano arrivare, e dimenticandosi di essere quel folletto buffone e dispettoso che mette scompiglio ai piani di Oberon.

Allora preferisco rivolgere le mie attenzioni alla straordinaria Marial Bajma Riva che propone una Elena coerente allo stile della commedia shakespeariana, giocosa nei movimenti, spiritosa nei toni, equilibrata dall’inizio alla fine e capace di guidare il quartetto romantico seguendo le indicazioni suggerite dallo spartito del testo scritto in versi. Lei lo sa bene: «in quanto a vigliaccheria è una femminuccia», dice, ma sa usare la delicatezza delle fate per gestire le «assurde frenesie di un sogno». Un sogno che nel finale riserva la più ovvia sorpresa che si potesse immaginare: la Giglio, uscendo di nuovo dal suo personaggio buffonesco, prima di intonare l’ultimo acuto, ruba a Prospero la famosa sentenza sulla nostra vita racchiusa nello spazio e nel tempo di un sonno: «Siamo fatti etc etc…». Ma il pubblico a quel punto, dopo circa tre ore di magnifica bravura, s’è già sfatto! (fn)
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Sogno di una notte di mezza estate, di William Shakespeare, traduzione e adattamento Daniele Salvo, Melania Giglio e Marioletta Bideri. Regia di Daniele Salvo. Con Melania Giglio (Puck), Martino Duane (Quince, Egeo), Alessandro Marmorini (Teseo, Oberon), Maria Luisa Zaltron (Ippolita, Titania), Federico Gatti (Bottom), Marial Bajma Riva (Elena), Alberto Mariotti (Lisandro), Matilda Farrington (Ermia), Tommaso Sartori (Demetrio), Odette Piscitelli (Fata), Eleonora Russo (Snug, Fata), Filippo Rusconi (Flute, Elfo), Raffaele Vernieri (Snout, Elfo), Joyce Conte (Starveling, Elfo). Scene, Fabiana Di Marco. Costumi, Daniele Gelsi. Musiche, Patrizio Maria D’Artista. Luci, Giuseppe Filipponio. Produzione, Bis Tremila e Teatro Quirino. Al Teatro Quirino, fino al 16 novembre

Microfoni a gogò

Foto: Alcune maschere usate per il «Sogno» (© ???)

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