IL DELIRIO, O DIALOGHI CON UNA CAFFETTIERA
Il delirio è la conseguenza di chi soffre di demenza, o di Alzheimer. Ma casca nel delirio anche chi disperatamente si rifugia in uno stato depressivo, rifiutando tutto, a volte anche la vita stessa: un eccesso patologico che potrebbe spingere al suicidio. Il tema è fin troppo delicato, fin troppo profondo, e – per dirla con una parola che in teatro è molto abusata – è «pesante».
Il pregio di Conta che passa la pazza, scritto da Irma Ciaramella, è tutto concentrato in questa sfumatura: in scena, la pazza, colei che ha perduto la memoria, tanto da non ricordare nemmeno il proprio nome, colei che è stata esclusa dal mondo esterno, per fortuna è in preda a un «delirium ridens», e quindi canta e balla e gioca. O meglio, sembra giocare con i suoi amici che sono un coperchio, una vecchia marmitta da cucina, e una grossa caffettiera. Tre oggetti simbolici (la regia è di Francesco Maria Cordella) che parlano emettendo i loro rumori, quelli della quotidianità che contribuisce a irrobustire le abitudini casalinghe; proprio quelle che alla lunga rendono difficile ogni confronto con il mondo esterno, dove all’improvviso tutti possono apparire «diversi». E lo sono: perché obbiettivamente diversi da una caffettiera, da un coperchio e da una marmitta, diversi dalle abitudini che procurano sicurezze tra le mura di casa.
Pubblicato anche su Quarta Parete il 5/11/22