LAVIA PORTA CIAMPA AL TEATRO DEI PUPI
«Dovrebbe bastare, santo Dio, esser nati pupi così per volontà divina. Nossignori! Ognuno poi si fa pupo per conto suo: quel pupo che può essere o che si crede d’essere. E allora cominciano le liti.» È uno dei ragionamenti cardine che Luigi Pirandello fa dire a Ciampa, protagonista del Berretto a sonagli nella bella e inconsueta edizione di Gabriele Lavia. E la suggestiva scena – firmata da Alessandro Camera – prende spunto da questa battuta per diventare quel sacco che per reggersi ha bisogno di lasciar entrare la ragione e i sentimenti che han determinato il fatto da esporre. Sì, perché un sacco vuoto non si regge, avverte altrove Pirandello. E allora, dato per assodato il netto cambiamento epocale rispetto al presente che non saprebbe come prendere in considerazione uno scandalo familiare d’inizio novecento, è meglio che codesto sacco si riempia di quei sentimenti atavici e originali della Trinacria.
Lavia, quindi, ambienta la vicenda secondo le istruzioni dell’autore, «in una cittadina dell’interno della Sicilia», e infatti, anche lui (nel ruolo di Ciampa) parla con uno spiccato accento siciliano. Lì, la tradizione dei pupi è molto antica: si esibivano nei teatrini ambulanti e anche in piccoli teatri appositamente creati per muovere i fili dei burattini. Così tutta la storia rivive sul retro del palcoscenico del teatro dei pupi, delimitato da quinte girate al contrario e da un fondale al di là del quale – si immagina – ci sarà un altro palco e un’altra platea. Da quest’altra parte, cioè dietro la scena, è ammucchiato il mobilio di una commedia salottiera: sedie, divani, poltroncine e anche alcuni pupi in disuso che ne approfittano per dar vita alle loro liti. Ci sono i pupi che parlano secondo le battute del copione e mantengono le movenze dei pupi, e altri pupi che invece restano fermi in silenzio a osservare come litigano gli altri, ciascuno mosso dai fili della propria coscienza.
Il pretesto, tipico da teatro dei burattini, è una storia nata dalla gelosia, un sentimento capace di smuovere i germi più turpi della nostra anima: la pupa Beatrice, infatti, convinta che il marito la tradisca con la moglie del suo scrivano, riesce a far arrestare i presunti fedifraghi per un reato inesistente. Ora non è il caso di ricordare l’intera trama di una delle più famose commedie pirandelliane scritta oltre un secolo fa, ma va rimarcata l’assoluta logica tra le intenzioni del regista e la creazione scenica, che è oltretutto un omaggio al più grande drammaturgo del teatro nel teatro, motivo principale per cui vinse nel 1934 il Nobel per la letteratura.
S’è detto, prima, del nostro tempo presente che non potrebbe mai far da sfondo realistico a un simile dramma: i tradimenti non fanno più notizia, scomparso l’onore da difendere duellando, la legge non si occupa nemmeno del disonore, insomma tutto è cambiato. Eppure, oltre ai ragionamenti che Pirandello tesse mostrando le tre chiavi che abbiamo sulla fronte, o elogiando la pazzia solo per il piacere di poter gridare la verità in faccia al prossimo, vien fuori, grazia all’atteggiamento mostrato da Lavia, una battuta certamente attualissima che Ciampa fatica a concludere: «Quando ci sono appunto tutte codeste carte da cento…». Per lo scrivano è impensabile che possano esserci in giro tanti denari, per cui quasi scioccato si interrompe, guarda i soldi tra le sue mani e vede nient’altro che carta. Allora riprende: «Volevo dire che (con tutte queste carte da cento) lei può prendersi il gusto di muover le fila di un pupo e di farlo camminare». Nel linguaggio moderno significa allungare una mazzetta a tizio per fargli commettere qualcosa di illecito: una maniera per far rivivere i pupi anche ai giorni nostri. Significa pure che quando ci sono troppi soldi c’è sempre qualcosa che non va. Un concetto simile a quello che Eduardo fa ripetere nel 1945 in «Napoli milionaria!» a Gennaro Iovine: «’e ccarte ‘e mille lire fanno perdere ‘a capa … e io ‘e tocco e nun me sbatte ‘o core… e ‘o core ha da sbattere quanno se toccano ‘e ccarte ‘e mille lire…». Il Ciampa di Lavia tocca tutte quelle carte da cento (siamo nel 1916) e il cuore non gli sobbalza, non prova emozione, ma solo sospetto che si stia covando qualcosa ai suoi danni. Quando ci sono troppi soldi bisogna fare attenzione, proprio come quando non ce ne sono abbastanza!
Foto: Gabriele Lavia e Federica di Martino (© Tommaso Le Pera)