Carlo Ragone |
EREDE DI UN SORRISO ANTICO
Carlo Ragone – il personaggio Carlo Ragone – nasce in teatro probabilmente nella seconda metà dell’Ottocento, insieme a una generazione di attori che, soprattutto a Napoli, ma anche a Roma, generarono, plasmarono, forgiarono la figura del Comico: da Gustavo De Marco a Maldacea, da Ettore Petrolini fino a Totò e tanti altri: con loro bastava la giacca di un vecchio frac per far sbocciare il fiore del sorriso nell’animo dello spettatore. Furono loro, ognuno creando una sorta di propria controfigura (la famosa macchietta), che rinnovarono il genere teatrale, inventando un tipo di spettacolo più popolare e disinvolto, l’avanspettacolo. Grazie a questi geni della comicità, infatti, il muro della quarta parete crollò dando maggior spazio alla ribalta che consentiva ai protagonisti della scena di superare il limite imposto dalla linea del sipario per avvicinarsi alla platea e stabilire un rapporto diretto col pubblico, fatto di empatie e piccole collaborazioni all’impronta.
Lo charme e la simpatia della macchietta hanno sempre mantenute accese le luci della ribalta nei momenti socialmente più difficili, perfino durante la guerra: la sua verve sorregge e infonde buonumore nella popolazione, soprattutto quando questa sente la necessità di sorridere. Così quel teatro, grazie a suoi personaggi che ebbero il privilegio di non appartenere troppo alla crudele realtà spesso opprimente, divenne sinonimo di sorriso, di divertimento, di spensieratezza. Ed è per questo che s’andava a teatro per ridere, per ritrovare la serenità di un istante e scacciare l’angoscia che periodicamente perseguita l’umanità.
Evidentemente oggi Ragone avverte la nostra necessità di ritrovare un sorriso, sente il bisogno di soccorrerci per ridare la speranza a una società che vive ormai da tempo in stato di disgrazia e per questo ha scelto il vestito delle cerimonie, nero ed elegante, come quello di Totò, di Petrolini, di De Marco, e quel personaggio è tornato in teatro per regalarci il sorriso di cui necessitiamo anche oggi, dopo un lungo periodo di clausura che ci ha colti tutti impreparati, costringendoci a intristirci tra lo schermo del cellulare e il video della televisione. Invece lui, dal palcoscenico propone Intestamè, una deliziosa carrellata di comicità e di malinconie, di suggestioni, di belle canzoni e di frivoli lazzi, senza mai abbassarsi in volgarità.
Ragone tiene la scena per oltre un’ora in compagnia di quattro affiatati musicisti con i quali, oltre a cantare, dialoga in sberleffi e all’occasione anche con qualche rumore di natura prettamente partenopea. E Napoli diventa la culla delle sue creature immaginarie e delle loro vicissitudini a volte strampalate: «E ‘nce ne costa lacreme sta Napule a nuie americane», dice l’emigrante storpiando la famosa canzone di Bovio. Poi c’è Santoro, un improbabile attorucolo del Trianon di Forcella; Mimmo Vranca che ruba le note a Mackie Messer; l’intrepido bersagliere che gioca con la luna; e Matteo che s’innamora di Caterina nel regno che non c’è.
Foto: Carlo Ragone (© ???)
Pubblicato anche su Quarta Parete il 02/11/22