24 giugno 2023

«Siamo donne», film a episodi (1953)

Roma, Casa del Cinema (arena)
23 giugno 2023

L’OMAGGIO AL MONDO FEMMINILE DI CESARE ZAVATTINI

Da circa un ventennio, se non più, si usa contrassegnare molti eventi artistici e sociali, che riguardano il pianeta delle donne, con un’etichetta conformista che sovente grida «al femminile». Così nascono gli incontri di poesia «al femminile», i salotti di letteratura «al femminile», gli spettacoli teatrali «al femminile» e, insomma, un po’ tutto si può portare alla ribalta mantenendosi ufficialmente a debita distanza dai rappresentanti dell’altro genere. Nel 1953, senza pubblicizzare alle folle che si trattava di un autentico omaggio alle donne, Cesare Zavattini, uno che ideava soggetti per il cinema anche mentre dormiva, pensò che non sarebbe stato difficile perlustrare il mondo femminile mostrando i ritratti di donne famose, baciate dalla celebrità offerta loro dalla settima arte, viste nella penombra della loro quotidianità. L’idea di Zavattini cominciò a prendere forma quando osservò la realizzazione di «Bellissima», di cui scrisse il soggetto, che Visconti cucì addosso ad Anna Magnani, diva del momento: un personaggio autentico, genuino e popolare alle prese con le fatue illusioni dell’ambiente della celluloide. Nelle intenzioni di Zavattini c’era quello di mostrare la fragilità e l’inconsistenza del sistema cinematografico. Se in «Bellissima» toccò a una bambina essere vittima del falso mito del divismo, in Siamo donne sono le dive stesse a cercare rifugio in una realtà più consistente e meno bugiarda.

L’opportunità arrivò quando Isa Miranda, a quell’epoca tra le dive nostrane più acclamate dell’empireo filmico italiano ed internazionale, gli confessò che a quasi cinquant’anni sentiva forte il peso del tormento per aver sacrificato la maternità alla sua vita di attrice. E quante ne conosceva Zavattini, che gli avrebbero potuto raccontare episodi oscuri della loro carriera che all’apparenza, invece, sembrava sempre luminosa e gaudente! Tra tutte scelse, oltre alla Miranda, le più apprezzate: Alida Valli, che dopo il successo di Eugenia Grandet era già musa di Carol Reed e di Alfred Hitchcock; Ingrid Bergman che aveva già conquistato la vetta dell’Olimpo di Hollywood e il cuore di Rossellini; e Anna Magnani già vincitrice a Venezia di quattro nastri d’argento. Ciascuna si prestò a confessare un episodio e così nacque il film: quattro attrici che si propongono nel ruolo di se stesse, facendosi dirigere dal loro regista preferito.

Ma per avviare l’operazione e renderla più alla portata delle nuove leve, forse anche per invitare le giovani generazioni ad avvicinarsi con meno timori, e più prudenti entusiasmi, al cinema («che è tutto una camorra», si sente dire in sottofondo), rappresentato dalle star che comunque restano donne, con il loro sentimento, la loro dignità e le loro vicissitudini, i quattro episodi sono preceduti da una ripresa (un prologo al sapor di documentario) delle selezioni per i provini negli studi, alla Farnesina, della Titanus, la più famosa casa di produzione cinematografica italiana, da poco, all’epoca, passata dal fondatore Gustavo Lombardo al figlio Goffredo. Il provino dopo varie scremature viene vinto ex aequo da Anna Amendola (che nella sua carriera, non brillante, vanta anche una partecipazione a un lungometraggio di Jean Renoir), ed Emma Danieli che raggiunse successivamente una certa notorietà grazie alla televisione.

Da questa introduzione, che termina con l’immancabile annuncio delle vincitrici promosso dal microfono dell’indimenticabile Lello Bersani, ci si concentra sull’imbarazzo di Alida Valli, diretta da Gianni Franciolini, che accetta l’invito alla festa di fidanzamento della sua cameriera, per sfuggire ai ricevimenti ufficiali dove «bisogna sembrare intelligenti a tutti i costi». Lì, tra i comuni mortali, la Valli scopre sia la sproporzionata ammirazione che la gente ha per le dive del grande schermo, che la sua antica semplicità di ragazza innamorata del fischio dei treni; e quando viene invitata a ballare, proprio la rispolverata semplicità dei suoi sentimenti di donna, rischia di farla inciampare in una clamorosa imperdonabile gaffe: corteggiare il futuro marito di colei che l’invitata.

Anche il terzo episodio, quello di Isa Miranda tocca corde sentimentali molto profonde. Fabrizio Zampa ci mostra la diva impegnata e spensieratamente felice nella sua casa piena di cimeli (tra cui spiccano i ritratti che le hanno fatto i pittori più abili del Novecento: De Chirico, Mafai, Guttuso, Fausto Pirandello), e quindi alle prese con un ragazzino vittima di una ferita al braccio che lei accompagna in ospedale e che poi riporta nella sua povera e squallida abitazione. La mamma del piccolo non c’è. Lo accolgono le sorelle e il fratellino. E lì, la diva che fu Signora di tutti, Zazà, la Signora dei diamanti, Marina di Malombra, scopre la dolcezza dei baci infantili, il calore degli abbracci dei bambini, tenerezze che l’hanno sempre esclusa da tanta sensibile semplicità.

Il secondo e il quarto episodio, benché di carattere più leggero, furono preferiti, dalla critica d’allora, per la dichiarata appartenenza alla corrente del neorealismo. Evidentemente s’era ritenuto che sia la Valli che la Miranda, comunque, avessero interpretato un ruolo, che si fossero calate troppo in un contesto sentimentale scritto e sceneggiato. Infatti il racconto di Ingrid Bergman, firmato da Roberto Rossellini, somiglia molto a un’intervista inframmezzata da alcune scene. L’attrice svedese è alle prese con i dispetti di un pollo (appartenente a una vicina di casa) alle sue rose del giardino e confessa che per un attimo ha pensato di darlo in pasto al cane, ma caso e buon senso hanno salvato la vita al bel pollastro. Oggi, anche grazie alla tecnologia, molte riprese perseguono la tecnica del filmato casalingo, e probabilmente, facendo ormai parte del nostro quotidiano, ci siamo ben assuefatti al filone delle riprese «fatte in casa», per cui a noi l’episodio non ha suscitato particolari entusiasmi.

Molto diverso, per fattura registica e per abilità interpretativa, è il gioiello finale, in cui Anna Magnani racconta di quando, andando al teatro Quattro Fontane, dove partecipava a spettacoli di rivista, s’imbatte in un tassista che le chiede il supplemento per il cagnolino che, per lei, non dovrebbe pagare perché si tratta di «cane da grembo», mentre l’autista sostiene che le misure non soddisfano la dicitura del regolamento. Da qui ne nasce una storia polemica e molto divertente che coinvolge un’intera caserma dei Carabinieri. La Magnani, davanti all’obiettivo di Luchino Visconti, sfodera la sua abilità recitativa: infatti: il regista, uscendo dalle indicazioni suggerite da soggetto e sceneggiatura, preferì offrire alla protagonista di «lavorare per improvvisazione», mettendo prima di tutto a proprio agio gli attori non professionisti che la circondano. Visconti utilizzò la Magnani «per comporre un piccolo saggio di recitazione a soggetto». Si intuisce che nelle intenzioni del regista ci fosse la volontà di mostrare che la Magnani attrice e la Nannarella donna non hanno mai avuto una doppia faccia, ma anzi sempre un solo unico cuore. (fn)

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Siamo donne, un film a episodi di Cesare Zavattini del 1953. Prologo, «Quattro attrici, una speranza» regia di Alfredo Guarini, con Anna Amendola, Emma Danieli, Luciana Gilli, Madeleine Fischer, Alfredo Guarini, Lello Bersani; 1° episodio, «Alida Valli» regia di Gianni Franciolini, con Alida Valli, Lello Bersani; 2° episodio, «Ingrid Bergman» regia di Roberto Rossellini, con Ingrid Bergman, Alba Setaccioli e Renzo Rossellini jr.; 3° episodio, «Isa Miranda» regia di Fabrizio Zampa, con Isa Miranda; 4° episodio, «Anna Magnani» regia di Luchino Visconti, con Anna Magnani. Casa del Cinema (arena), 23 giugno

Foto: Anna Magnani con Luchino Visconti durante le riprese

Pubblicato anche su Quarta Parete il 24/06/2023

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