I SOCIAL SONO IL NOSTRO CROGIUOLO QUOTIDIANO
Il crogiuolo di Arthur Miller trae spunto dai documenti del processo avvenuto nella cittadina di Salem nel 1692 che portò 19 persone ad essere giustiziate per stregoneria. Tuttavia non è difficile riconoscervi l’aspra critica dell’autore alle condanne avvenute negli anni Cinquanta nell’America maccartista, quando il senatore Joseph McCarthy praticava un’esasperata persecuzione nei confronti di persone ritenute filocomuniste.
Ora vien da chiedersi perché Filippo Dini ha sentito la necessità di portare in scena una commedia che tratta un argomento, quello della caccia alle streghe, oggi considerato primitivo, un argomento lontano dal nostro tempo e dalla nostra cultura, nell’epoca dell’esplosione dei social sul web? Forse perché in Italia si sente odor di novello maccartismo?
Tra le due domande sceglierei la prima che già contiene la risposta: cioè, proprio perché viviamo l’epoca dei social, il nostro crogiuolo quotidiano, dove pure se si lancia il messaggio più assurdo – poniamo, il famoso asino che vola – ci sarà un gruppo di ignorantoni che lo prenderà sul serio; e i prodigi del passaparola faranno crescere a dismisura il numero di coloro che crederanno alla favola dell’asino che vola; e qualcuno perfino ammetterà di averlo visto. Giurerà di averlo visto.
Nel 1692 a Salem si cominciò a perseguitare le donne del paese solo perché un gruppo di ragazzine era stato visto danzare di notte in un bosco dal reverendo Parris; tra queste c’è Abigail che, per vendicarsi di aver perso lavoro e innamorato, sparge voce che il maligno si aggiri tra le case del villaggio corrompendo tutte le donne, compresa la moglie (brava e convincente Manuela Mandracchia) del suo amante. Abigail, dopo aver convinto le sue amiche a reggere il castello di accuse che sconvolge la comunità, trova terreno fertile nel complotto sostenuto dall’ignoranza popolare, l’unica autentica forza del maligno, che s’è già introdotta anche nell’aula della giustizia: il tribunale. E la tragedia non ha più possibilità d’arrestarsi. Anche sua eccellenza, il giudice Hathorne (un cognome molto simile a quello dello scrittore Nathaniel Hawthorne, nato proprio a Salem, autore della «Lettera scarlatta») il solo che potrebbe smascherare la menzogna organizzata da una ragazza ai danni dell’intera cittadinanza, mostra volontà e desiderio di voler credere all’inverosimile per poter finalmente mettere in atto il suo potere, o la sua malvagità.
Il testo di Miller in sostanza pone sotto accusa la cieca ottusità di una società apparentemente dedita alla morale; la stessa che oggi si aggrappa al fatuo moralismo imposto dal politically correct, ossia la stregoneria del XXI secolo. Un modo di socializzare e di comunicare che allontana dalla fervida spontaneità facendo innalzare il livello d’insofferenza, cosicché in un batter d’occhio, come accade in molte scene della commedia, ci si trova ad accusarsi l’un l’altro con tanto di dito indice puntato sul volto dell’antagonista.
Noi tutti stiamo vivendo un periodo assai buio, intellettualmente spento, in cui sottovalutiamo questa malsana necessità che ci spinge ad accusarci ogni giorno, o con un clic sullo smartphone o con un gestaccio al semaforo, come se partecipassimo a una interminabile riunione condominiale. Invece si tratta del seme dell’albero della debolezza dell’intera società: vediamo e sentiamo streghe e diavoli ovunque, senza accorgerci che streghe e diavoli sono annidati dentro di noi per un malessere che vizia e mortifica la nostra intelligenza.
Foto: una scena della regia di Dini (© ???)
Pubblicato anche su Quarta Parete il 23/11/22