L’INFELICITÀ CORRE TRA MEDEA E LA CALLAS
«Con il diritto degli infelici che la sfortuna opprime», Medea, esule in terra straniera, moglie ripudiata da Giasone, va incontro al suo destino: implora Creonte di ascoltare la sua disperazione affinché non acconsenta a benedire le nozze della figlia con il padre dei suoi bambini.
Era il Maggio Fiorentino del 1953 e Maria Callas, pure lei esule in terra straniera, anch’essa stava per abbracciare il suo destino. Due sorti apparentemente opposte in quell’istante, ma fatalmente legate dall’infelicità. Il soprano stava per diventare la «Divina», cantando sulle note di Cherubini la tragedia di Medea. Opera che segnò una svolta nella lirica e nella carriera di Maria. Fu uno dei rari momenti davvero felici nella vita della cantante americana (di nascita), greca (di origine e di cultura), italiana (d’adozione), una voce apolide in cerca d’amore e di libertà. Due necessità che si respingono: «La libertà ha un costo: la solitudine».
Nel 1969, quando ormai la felicità l’aveva abbandonata da tempo, Pierpaolo Pasolini, forse per ricordo, forse per istinto, certamente mai per caso, la volle per interpretare Medea nel suo film per rammentarle che al mondo ci furono donne più infelici di lei. Per la seconda volta nella vita di Maria, il personaggio di Medea, moglie tradita, madre assassina, le regalò successo e soddisfazione.
Ecco perché Massimiliano Auci, cogliendo questa fondamentale coincidenza tra due miti (uno epico, l’altro contemporaneo), ha provato a raccontarci, con Medea la Divina, l’infelicità della Callas attraverso l’immagine dell’eroina della Colchide. Dico, «ha provato», non perché non ci sia riuscito, ma perché avrebbe potuto raccontarcelo con più particolari, coinvolgendo più personaggi, e soprattutto con maggior fiducia nella penna rimasta improvvisamente senza inchiostro «alla fine del primo tempo» (si direbbe se fosse una partita di calcio). Invece l’idea è affascinante e coinvolgente, ma deve essere ampliata per raggiungere appieno la godibilità dell’opera. Si parla infatti dell’infanzia, ma non dell’America. La maggior parte delle persone associa la piccola Maria affacciata al balcone, ad Atene, sotto le colonne del Partenone, ma ignora che le prime modulazione le abbia intonate tra i grattacieli di New York. La Grecia, nella vita della Callas, arriva più tardi per poi ritornare con Onassis. Si percorrono alcune tappe della carriera del grande soprano, ma senza nominare mai Luchino Visconti, che per lei ideò, nel 1955, il più bel allestimento lirico di sempre: «La traviata» di Verdi. Così come si sente la mancanza del nome di Zeffirelli, regista con il quale ebbe un lungo e fecondo sodalizio, e che alla Divina dedicò un film (2002). E Pasolini arrivò a concepire la sua Medea per la Callas perché l’artista conquistò il titolo di Divina grazie a questi mostri sacri del teatro italiano.
Foto: Maria Callas nella Medea di Pasolini (© ???)