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| Carmelo Bene |
Roma, 7 dicembre 2025
CARMELO BENE: «È UN MIRACOLO DI PIAZZA»
Siccome non sono esente da imprudente masochismo, sento la necessità di dover approfondire il discorso su Antonio Rezza, non perché l’ultimo spettacolo visto al Vascello mi abbia particolarmente entusiasmato, ma per i numerosi messaggi che ho ricevuto, assai contrastanti tra loro, che mi hanno acceso una lampadina. Il commento personalissimo su Metadietro si può ridurre a «una performance divertente a tratti, ma un po’ slabbrata»: detto tra noi, dieci minuti in meno sarebbero stati salutari. Tuttavia ne scrivo ancora perché Rezza ha diviso, e non da ora, l’opinione pubblica in maniera netta sia come autore che come attore: chi ne dice benissimo e chi ne dice malissimo, così da diventare un caso teatrale senza mezze misure. I molti pareri discordanti mi hanno chiarito una frase che avevo scritto senza badar troppo alla conseguenza dell’azione che mi accingevo a sottolineare: «… Rezza l’altra sera si divertiva – e faceva divertire – argomentando con la solita impertinenza le tragedie del nostro tempo».
Dunque, Antonio Rezza si divertiva, ed era palese che si stesse divertendo (pur se con autentica fatica fisica) certamente più degli spettatori; e questa stessa impressione la ebbi lo scorso anno vedendo Bahamuth. Quindi, mettendo a confronto il fastidio di certuni e l’entusiasmo di altri, sono riuscito a individuare meglio la mia sensazione: Rezza propone i suoi spettacoli con il preciso intento di mettere alla prova gli spettatori. È come se noi dalla platea, con le reazioni alle sue stravaganze, gli offrissimo l’opportunità di assistere a uno spettacolo solo per lui. Un ribaltamento completo, quindi. I suoi occhi sono sempre puntati sugli spettatori: «Spegni quel cazzo di cellulare», ha gridato all’improvviso a un tizio maleducato. È l’unico attore che è intervenuto in maniera tanto spietata contro la pessima abitudine di controllare lo schermo dello smartphone durante uno spettacolo.
«È un miracolo di piazza», scrisse tanti anni fa Carmelo Bene, bischizzando sul teatro alla sua maniera. In Rezza sussistono infatti due anime: da una parte l’autore che si traveste da attore per scendere in piazza e provocare qualche scompiglio, appiccar fuoco con gli argomenti che più ci stanno sulla punta della lingua (quelli che oggi digitalizziamo col ditino indice un po’ rapace, o con i pollici isterici, sulle pagine dei social), e dall’altra lo spettatore che dirige il traffico emotivo del gregge ed estasiato assiste al miracolo; e costui gongola di divertimento, non alle nostre spalle, ma di fronte a noi ci ride in faccia. Uno sfacciato, si direbbe, che si concede il privilegio di sghignazzare delle tragedie del nostro tempo perché le vede tutte lì, assiepate di fronte a lui, mentre esse si cibano del loro stesso tragico presente.
Io, come tanti altri che pure ricorderanno, ero molto più sbarbatello e sognatore quando Carmelo Bene si prendeva gioco del pubblico in sala, usando la provocazione come pretesto creativo: trovavo affascinante quel modo di far spettacolo, anche se non ne comprendevo sempre le cause e soprattutto gli effetti. Tuttavia il linguaggio di Bene era aulico e lo sberleffo era costantemente acquattato dietro la maschera della poesia, del ragionamento assurdo, a volte anche dietro quella della tirannia. C’era cattiveria nei toni più incomprensibili di Carmelo Bene, una cattiveria sopraffina, arguta, celestiale, che sempre volava alta sopra le teste di tutti. Le sue frecce miravano al cielo per poi ricadere infuocate – da lassù – sulla platea. Rezza muove dal basso, dalla Caina, il suo linguaggio è diretto come una saetta puntata alla fronte del peccatore. Se lo può permettere perché di fronte ci sono tanti imbecilli con il cellulare in mano che talvolta neppure ascoltano, ma ridono ugualmente al primo batter d’ali.
Però! Però, Carmelo Bene spesso offriva al suo popolo cimeli di immensa cultura, assurdità raffinatissime, emozioni cólte che confermavano una profonda conoscenza della delicatezza d’autore: «È così che si appare alla Madonna. Sub specie spectaculi» (fn)
