17 novembre 2025

«Pinocchio.Zero» di Mandracchia/Cocifoglia

«Pinocchio.Zero» di Mandracchia/Cocifoglia/Zero

Roma, Spazio Nous
16 novembre 2025

RENATO, PADRE INCONSAPEVOLE DI UN «FIGLIO» BURATTINO

Il carrozzone muove dal foyer con un suono di ciaramelle e di tamburi, alla maniera degli zampognari, con le regine, i suoi fanti e i suoi re immaginari, per annunciare la storia che comincia con un insolito pezzo di legno. «C’era na vorta un bel pezzo de legno», sì, proprio in romanesco: un testo che Manuela Mandracchia e Fabio Cocifoglia hanno recuperato acquistando un libretto su una bancarella. Era la storia di Pinocchio riscritta nella lingua del Belli, ma seguendo gli endecasillabi dei sonetti in rima composti da Ivo Martellini. Da qui l’idea di farlo conoscere al pubblico, alternandolo, per semplificare appena, con alcuni brani in prosa, e un po’ di musica per accompagnamento. Ma non una musica qualsiasi composta per l’occasione! Chi è cresciuto con le canzoni dei nostri cantautori, le conosce praticamente a memoria e, o a Manuela o a Fabio, o a entrambi, è arrivata l’intuizione di accostare alla favola bella che tutti conosciamo qualche bella canzone di Renato Zero.

Così per Geppetto, che costruisce il suo sogno di padre, sono arrivate le parole cantate di Figlio: «Con che puntualità sei qui / come un miracolo sei qui / così ti accoglierò così / il figlio / che voglio... Io pregherò per te / soffrirò in silenzio / quando tu cadrai…». Sono versi che ovviamente Renato Zero ha scritto non pensando di ispirarsi al burattino di Collodi, ma l’arte riserva spesso sorprese inaspettate, e certamente nemmeno lui sapeva di aver interpretato, nelle sue canzoni, il sentimento paterno di quel falegname soprannominato Polendina. Ma non solo, perché alla fata Pinocchio rimprovera: «No, mamma, no! / Non mi puoi deludere, mamma! / Solo non ci sto, / sono troppo fragile, mamma! … Sempre colpa tua / se io non sono come vuoi!». C’è poi anche una canzone dedicata a Mangiafuoco, una al Gatto e la Volpe, e Mi vendo per andare al Paese dei Balocchi. Brani musicali eseguiti dal vivo dalla brava Daniela Di Renzo che ha offerto il suo prezioso contributo vocale a un microfono un po’ capriccioso; da Francesco Nobili che, oltre a modulare i controcanti, ha soffiato in eleganti ottoni e strumenti artigianali, battendo spesso anche il ritmo su una classica tammorra e ricordando, con un impercettibile accenno, il maestro Carpi; e da Felice Zaccheo abilissimo alla chitarra elettrica nel ricreare atmosfere sonore.

Questa, dal punto di vista giornalistico, è la trovata più succulenta, la notizia da sbattere sul titolo per il nome ingombrante del cantautore, inconsapevole di ritrovarsi anch’egli imbrigliato nella favola di Pinocchio, come altri suoi colleghi più coscienti. Tuttavia, l’operazione poetica non è da meno e la lettura di Mandracchia (che legge le parti di Mastro Ciliegia, Pinocchio, della Volpe, della Fata e altri) e di Cocifoglia (Geppetto, Mangiafuoco, il Gatto, Lucignolo e altri) è un pezzo di bravura in cui dolcezza e melodia fanno da sfondo costante a tutti i personaggi e le loro voci, dalle mille sfaccettature, si mescolano tra la fluidità dei sonetti e il fascino del racconto. La musicalità dell’endecasillabo aiuta, ma leggere bene i versi non è così scontato. Il dialetto romanesco conquista con la sua affabilità, eppure bisogna saperlo masticare con chiarezza. Se Manuela, romana de Roma, sfodera una forza interpretativa verace, audace, raffinata e popolaresca, Fabio – «straniero» di Napoli con passaporto capitolino – s’immerge con maggior cautela tra i flutti trasteverini senza però mai rischiare di affogare, anzi, con pregevole lucidità, duetta con il fuoriclasse.

Su tutti comunque trionfa Pinocchio. Sempre lui, che sia toscano, romano o di vattelappesca: è il monellaccio disobbediente più famoso del mondo, lo scansafatiche per antonomasia, il ribelle simbolo di una innata libertà infantile, il burattino senza fili (Renato Zero non se ne abbia a male!) che alberga in tutti noi – e guai se così non fosse – ché da troppi fili siamo agganciati. Sarà forse per il dialetto o per l’interpretazione particolarmente accordata alla coerenza della performance, che l’altra sera, al nuovo Spazio Nous di via Lucrino, m’è parso di ascoltare un Pinocchio più vicino a noi, slegato dal mondo delle favole, e calato in poesia nelle strade di quelle borgate che fino a qualche decennio fa ancora conservavano l’aria malavitosa di un immaginario più romantico che romanesco e dove i più piccoli giocavano a fare gli eroi. E guarda caso: «Ogni giorno racconto la favola mia / la racconto ogni giorno, chiunque tu sia... / e mi vesto di sogno per darti se vuoi, / l’illusione di un bimbo che gioca agli eroi!». (fn)
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Pinocchio.Zero, di e con Manuela Mandracchia e Fabio Cocifoglia. Musiche di Renato Zero. Dall’adattamento della favola di Collodi, in sonetti romaneschi, di Ivo Martellini. Allestimento scenico, Mandracchia/Cocifoglia. Con Daniela Di Renzo (voce), Francesco Nobili (fiati e voce), Felice Zaccheo (chitarra). Allo Spazio Nous, serata unica

Con microfoni: uno solo un po’ impertinente

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