LE TRISTEZZE DI BERLUSCONI E IL RISCATTO DI VERONICA
Ha ragione Giovanni Franci ad affermare che Berlusconi «è stato un personaggio straordinario, un precursore, un unicum, capace di restituire con precisione e irriverenza i costumi recenti di un intero Paese, estremamente fantasioso nei vizi privati, meno prodigo di pubbliche virtù. Insomma, se Shakespeare, Aristofane, Pirandello o Cechov lo avessero conosciuto, avrebbero sicuramente pensato di trasfigurarlo in teatro». Forse non lo avrebbero chiamato Silvio, preferendo un differente nomignolo per consegnarlo alla ribalta di un palcoscenico, ma ancora oggi, a circa due anni e mezzo dalla scomparsa, quel nome è legato in maniera indissolubile alla figura del Cavaliere e cambiarlo, certamente, non avrebbe destato la stessa curiosità. Berlusconi è questione sempre attuale e sempre annosa che ancora ferve, come è vivo il suo «regno»: quello economico che ha lasciato in eredità ai familiari e quello politico, rimasto indelebile sull’andamento della vita degli italiani.
Argomento teatrale, quindi, pericoloso: un terreno minato che sarebbe potuto esplodere facilmente in un tourbillon di faccende forse illecite, sicuramente scomode, di ricordi troppo vicini che hanno acceso, e ancora accendono, discussioni mai sopite. Giovanni Franci dimostra grande maturità di scrittura, rimanendo al di fuori delle beghe di parlamento, tralasciando i processi, le condanne e le assoluzioni dell’uomo tanto amato e tanto vituperato dalle folle. Non espone mai un suo giudizio personale sul personaggio Silvio, ma anzi gli offre l’opportunità di parlare, più a se stesso che ad altri, di confrontarsi con la realtà che lui stesso ha creato, senza mai sfiorare il «cattivo tempo», perché di tempo, il Silvio interpretato da Gabriele Guerra, non ne ha più.
È la regia che svela immediatamente il carattere (insospettabile) del testo, quando sulle note dell’overture della Traviata vengono proiettate le immagini di famosi quadri, perché Berlusconi era anche un collezionista di opere d’arte: pare, però, che in realtà non fossero di grande valore quelle conservate nell’hangar di Arcore, anche se in scena si ammirano e si citano dipinti di Tiziano e del Canaletto. Il Cavaliere è allettato in ospedale; al centro della scena una sedia a rotelle che lo attende, e che sarà per tutta la durata dello spettacolo il suo trono. Quando prende la parola trova un rimbrotto anche nei confronti del Signore, che il settimo giorno sentì la necessità di riposarsi: «Io non ho mai provato il bisogno di riposo». Supponente come sempre, come sempre affabile e simpatico. Non ha perso il «vizietto» per le donne: un’infermiera sexy (Priscilla Micol Marino) lo accudisce e lo asseconda in giochi erotici, ormai innocenti. Le forze fisiche non ci sono più, ma l’arguzia e l’ironia non cedono.
Foto: Gabriele Guerra, accerchiato da Tiziana Sensi, Riccardo Pieretti e Priscilla Micol Marino (© Marco Aquilanti)
