12 settembre 2024

«Beatrice Cenci» di Simone Martino

Roma, Sala Umberto
11 settembre 2024

UN DRAMMA MUSICALE NASCOSTO NEL BUIO

La nuova stagione teatrale comincia alla Sala Umberto dove va in scena un dramma storico tra i più rappresentati: Beatrice Cenci, giovane vittima di un padre scellerato della Roma papalina della fine del ‘500. Simone Martino riscrive la storia insieme con Giuseppe Cartellà, riproponendola in forma di musical e curandone anche la regia. Forse, per il genere musicale preferito dagli autori, sarebbe stato più opportuno offrire loro il palcoscenico del Brancaccio, ma probabilmente Alessandro Longobardi ha preferito proteggere la prima nazionale dello spettacolo con una più intima presentazione, optando per il teatro di via della Mercede, in attesa che la stagione decolli.

Il dramma vissuto da Beatrice, raccontato dai più importanti scrittori, come Shelley, Stendhal, Dumas, Artaud, Moravia e altri, è stato negli anni ripreso e riproposto in ogni forma di spettacolo: dal teatro al cinema e anche trascritto per la musica. Martino sceglie il pentagramma ma in forma letteraria, partendo da un presunto diario di Beatrice che una giovane di oggi legge con passione e commozione nel suo letto, mentre in scena si svolge l’azione dell’antichità. Le analogie con la nostra epoca – si vorrebbe dire – sono sotto gli occhi di tutti, anche se non è proprio così: le differenze ci sono, molte si avvertono, alcune sono lampanti. Tuttavia la violenza è immutabile. E se allora la crudeltà fu, come adesso, un’aberrazione familiare, la morte per Beatrice giunse, non per mano di un marito o di un parente, ma per una crudele sentenza vaticana che seguiva un codice ancora legato all’oscurantismo papale.

Era l’11 settembre 1599, ieri - giorno del debutto - quindi l’anniversario, quando Beatrice fu decapitata perché s’era fatta giustizia da sola liberandosi di un padre violento e perverso. Con lei furono giustiziati anche il fratello Giacomo e Lucrezia Petroni, seconda moglie di Francesco Cenci, che parteciparono attivamente all’omicidio.

«La Chiesa dovrebbe perdonare, non condannare», dice una voce dopo il verdetto del giudice, ma nessuno grida che un padre non deve commettere violenza sui figli (tanto più se sessuali, come subì la povera Beatrice), così come l’uomo sulle mogli, i fidanzati sulle fidanzate, i popoli sui popoli. E Simone Martino pare abbia voluto, nelle intenzioni, mantenere una tetraggine scenica, introducendo i rintocchi notturni delle campane, il suono sinistro di un carillon, scegliendo un’illuminazione piuttosto cupa, concentrata sui blu a pioggia, proprio per accentuare questa atmosfera di crudele ingiustizia. Peccato però che se luci e costumi (assai inquietante l’ingresso in sala di un considerevole numero di prefiche che annunciano il dramma) spingono sul pedale dell’horror o del noir, note e canti riportano immediatamente lo spettatore nella più palese ambientazione della finzione della commedia musicale, più che del dramma musicale, quale dovrebbe essere l’opera di Martino.

Se, in genere, il gioco teatrale si considera riuscito quando il pubblico viene trasportato da un’emozione, in questo caso le sensazioni suggerite dalla scena vengono subito lavate e disciolte dall’intervento canoro. E allora ci si domanda: perché il regista ha così insistito sull’evocazione visiva di una tragedia che non decolla mai? Perché anche durante quei brani musicali che portano allegria – come l’arrivo di Francesco nei possedimenti di Petrella Salto nel reatino, accolto da una folla festante; come l’inizio del secondo atto che ci presenta il commissario e il giudice (due figure inizialmente comiche) – le luci restano severe e tetre senza dar mai vivacità all’azione? Anche la musica che spesso si riveste del mantello della notte qui risente della pesantezza del buio.

Sul finire delle canzoni, per esempio, lo spettatore avrebbe finalmente voglia di vedere il viso dell’interprete che invece resta avvolto sempre in una eccessiva penombra. E allora l’occhio del critico è andato alla ricerca di qualche proiettore che dalla sala potesse dare un leggero chiarore alla ribalta tutta: niente, soltanto buio, e senza speranza di resurrezione! Anche la giovane nostra contemporanea, chiuso il diario e lasciato finalmente il letto, ha lanciato l’invettiva finale contro la violenza alle donne nella totale oscurità. Forse qualche accorgimento all’illuministica sarebbe opportuno!

Così come non sarebbe male dare un’identità ai protagonisti. Mi piacerebbe elogiare l’interprete di Lucrezia e quello di Olimpio, davvero impeccabili, ma l’elenco corale degli artisti nominati in locandina senza il rispettivo personaggio ne impedisce il riconoscimento. Caro Longobardi, te lo chiedo per favore e quest’anno anche in ginocchio se necessario: tu che non sei un regista, ti prego, illumina almeno l’identità degli attori che ospiti sui tuoi palcoscenici. È importante per loro e per tutti noi. Auguri per la stagione che nasce. (fn)
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Beatrice Cenci - Vittima esemplare di una giustizia ingiusta libretto di Simone Martino e Giuseppe Cartellà. Musiche di Simone Martino. Con Zoe Nochi, Antonio Melissa, Stefania Fratepietro, Giorgio Adamo, Ilaria Deangelis, Maurizio Semeraro, Danilo Ramon Giannini, Giuseppe Cartellà. Ensemble: Alessandro Giorgi, Jasmine Lazzoni, Beatrice Mastrangeli, Luca Petrone, Francesca Romana Reniers, Sofia Sandri, Martina Sbardella, Martina Torrisi. Regia di Simone Martino. Sala Umberto, ancora oggi (21.00) e domani 13 settembre (20.30)

Foto: © Fabio Loreto

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