18 settembre 2024

Teatro Manfredi, la stagione 2024/25

Roma, Teatro Marconi
16 settembre 2024

PER UN TEATRO MIGLIORE OCCORRONO REGOLE ANCHE PER I PRIVATI

Che non sembri una pasquinata! La fotografia che correda l’articolo vuole essere soltanto un omaggio all’attore, un grandissimo attore. Lunedì è stato presentato il cartellone della stagione del teatro di Ostia, che, inaugurato nel 2005, fu intitolato a Nino Manfredi, famoso per il cinema, non certo per gli esordi in palcoscenico al fianco di Gassman, Buazzelli e De Lullo: tutti, all’epoca, giovanissimi e da poco diplomati alla Silvio D’Amico. Non nascondo che questo desiderio di voler ricordare l’artista, scomparso ormai già da venti anni, è legato a un recente revival personale di alcuni film che ho rivisto con Manfredi protagonista, che mi hanno deliziato l’eremitaggio estivo sull’isola. La coincidenza dell’evento teatrale ha riacceso la miccia dell’entusiasmo, e in maniera del tutto consona ai tanti personaggi burloni interpretati dall’attore: sì, perché la stagione del Manfredi è stata presentata al teatro Marconi. Ecco, se avessi optato per una fotografia dell’inventore del telegrafo senza fili, sarei certamente andato fuori strada.

Non capita spesso che l’annuncio del cartellone di un teatro venga fatto in un’altra sede, ma la pensata, pur se stravagante, non è sbagliata. «Far arrivare addetti ai lavori e rappresentanti della stampa sul litorale romano non sarebbe stato facile», motivo per cui Felice Della Corte, direttore di entrambi i teatri, ha preferito organizzare l’evento nello spazio metropolitano. Il sito del Manfredi ha già pubblicato titoli e date dei 13 spettacoli ormai prossimi al debutto, tra cui rilevo Nessuno è perfetto (con Maurizio Micheli) e A spasso con Daisy (con Milena Vukotic), già recensiti dal sottoscritto la scorsa stagione.

È ovvio, ma forse neanche troppo, che un teatro a Ostia possa servire un pubblico completamente differente da quello romano, che dovendosi districare in un traffico cittadino sempre più caotico, tra cantieri aperti per il Giubileo e la consueta scarsa manutenzione stradale, impegna gli automobilisti in gimcane e attese quotidiane tanto ardue ed estenuanti che spesso, dopo una giornata faticosa, c’è chi la sera desiste dal recarsi a teatro. Questo è uno dei problemi che porta molti gestori a pensare non più a un teatro cittadino, ma a un teatro di quartiere. Tuttavia ci sono zone di Roma più fortunate che godono di una vasta scelta di palcoscenici, mentre altre piangono la desertificazione. Sarebbe bello, nell’epoca in cui le sale cinematografiche stanno scomparendo, che gli assessori culturali dei vari municipi della capitale si adoperassero a favore del teatro e non dei supermercati (ex Holiday) o delle sale da gioco (ex Rouge et noire), o, peggio, del nulla (ex Embassy, ex Empire, ex Fiamma etc etc).

Sì, lo sappiamo, Roma è una città teatralmente difficile: e non solo per il pubblico che deve affrontare le follie del traffico e del parcheggio; non solo per le compagnie di giro (le poche sopravvissute) che vedono in essa, senza andare in Argolide, la città morta, dove i fantasmi dei teatri storici a breve sostituiranno le antiche attrazioni archeologiche; ma anche per gli attori di spettacoli ridotti a pochi interpreti (due, tre, massimo quattro) e una scena molto semplice. Il «palinsesto» del Manfredi, di questi eventi, ne ospita dieci in abbonamento più tre al di fuori, per due settimane che però si riducono a otto repliche ciascuno. In Italia sono molti i teatri che hanno scelto di aprire il sipario dal giovedì, o anche dal venerdì, soltanto per coprire la seconda parte della settimana. Perché? Per un fattore economico? Per mancanza di pubblico? Per un’organizzazione troppo impegnativa? Non lo so. Tante volte mi son posto la domanda e mai ho saputo rintracciare la ragione per la quale, nell’ultimo decennio, gli spettatori, il martedì e il mercoledì, non frequentano più le platee di certi teatri, tanto da costringerli a rimanere con le serrande abbassate. Sorge addirittura il sospetto, visto che altri teatri funzionano sei giorni su sette, che l’interrogativo si debba leggere al contrario: cioè, siccome le sale sono chiuse – forse per pigrizia dei gestori (la battuta è scontata) – fino al giovedì, gli spettatori sono invitati a restare a casa.

Potrebbe essere un valido argomento da affrontare con Della Corte che, oltre a ricoprire il ruolo di direttore artistico, è anche il presidente dell’Unione dei teatri di Roma (Utr), l’associazione che promuove la funzione pubblica e sociale dei palcoscenici privati, che tutela il patrimonio della tradizione storica e culturale del teatro italiano e, tra le altre, promuove anche l’attività delle giovani formazioni teatrali. Intenti fondamentali, ma realmente perseguibili?

Confesso che il motivo che mi spinge talvolta a disertare le presentazioni stagionali è lo scarso senso della realtà che governa questi eventi, in cui la maggior parte degli artisti si esibisce in un monologhetto condensato di simpatica ripetitività. Lo spettacolo che «fa ridere ma fa anche riflettere» diventa un infelice tormentone. Per questo – siccome a volte sono anche dispettoso – mi limito a citare L’imparata di Roberto Iannucci, che la protagonista Teresa Del Vecchio ha annunciato come «un pugno allo stomaco», escludendo qualunque possibilità di vis comica. A teatro non bisogna ridere per forza. Gli attori non devono essere divertenti a comando: non fa bene neanche al mestiere cavalcare continuamente la dolce ala della farsa (anche se fa riflettere!), occorre dar peso alla consistenza di un materiale drammaturgico che è il vero inestimabile patrimonio dell’umanità: da Eschilo a Pinter. Forse è anche questa leggerezza costante e consumata a determinare certe incongruenze che il teatro patisce da quando molti si son messi in competizione con lo squallore televisivo del sabato sera.

Soltanto Gianluca Ramazzotti, pur presentandosi al pubblico con cordiale affabilità, ha avuto la prontezza di far luce su uno dei tanti temi scottanti, quello stesso che, proprio un anno fa, assistendo alla presentazione di un cartellone affollato da oltre 40 spettacoli, tentai di fotografare in un articolo molto contestato, analizzando le tristi conseguenze. Ramazzotti – che sarà in scena al Manfredi con Elena Arvigo e la regia di Marcello Cotugno, con un testo che arriva da Parigi, Video club – sente evidentemente una forte necessità di esibirsi dignitosamente rispettando i tempi di maturazione del personaggio, di arricchire l’integrità di una regia, di assorbire il senso emotivo di una commedia che non è fatta solo di parole. A questi professionisti, che non vogliono rimanere nella strozza delle tre/quattro repliche, occorre offrire l’occasione di poter crescere: «Uno spettacolo – ha detto – emoziona il pubblico quando noi abbiamo la possibilità di sviluppare un processo artistico che troppo spesso viene interrotto sul nascere. A Roma, molti gestori di sale private costruiscono le stagioni teatrali con un numero esorbitante di titoli e questa politica commerciale danneggia prima di tutto la qualità delle rappresentazioni che non hanno mai l’opportunità di crescere». I primi a subire questa malsana organizzazione, naturalmente, sono gli attori, ma anche il pubblico ne risente: gli spettacoli soffrono tutti dello stesso male e si omologano per intensità l’uno con l’altro.

Ancora mi chiedo con estrema ingenuità: in una città distratta come Roma, dove gli eventi culturali di ogni genere si avvicendano in continuazione, chi si accorge in tempo che il Signor Tizio è in scena in quel tal teatro? Nessuno. E allora il Signor Tizio per chi recita se il critico non ha il tempo di recensire lo spettacolo e di far circolare la critica? se la notizia promozionale, malgrado la velocità di internet, non raggiunge gli utenti? «Il fatto incredibile – continua Ramazzotti – è che fino a qualche anno fa un simile atteggiamento era adottato soltanto dai teatri più piccoli, e pur se poco condivisibile era comprensibile, ma adesso anche le sale con oltre 500 posti a sedere praticano lo stesso sistema tradendo completamente i principi teatrali e facendo soltanto i loro interessi».

Il presidente dell’Utr ha ascoltato lo sfogo di Ramazzotti. Io l’ho messo per iscritto, ampliando il tema. Occorrono regole. Il gestore di un teatro privato non può ignorare che il suo esercizio vive di attori e spettatori, e ha l’obbligo morale di rispettare gli uni e gli altri. Ci vuole qualcuno che garantisca non solo per il pubblico (che non può e non deve essere soltanto quello di parenti e amici), ma anche per gli attori e per le compagnie che hanno tutto il diritto di mantenere vivo uno spettacolo che merita. La politica commerciale della toccata e fuga non premia lo spettacolo bello; anzi, lo mortifica considerandolo alla stregua dei più deludenti. Ecco il modo migliore per uccidere il teatro. (fn)
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Teatro Manfredi (Ostia), la stagione 2024/25 presentata al Teatro Marconi da Felice Della Corte Il cartellone 2024-2025

Foto: Nino Manfredi in «Café express» di Nanni Loy (© ???)


 

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