09 giugno 2025

La banalità del sistema teatrale

Roma, 9 maggio 2025

CARO BISICCHIA, TEMO CHE IL SUPERFLUO SIA DIVENTATO IL NOSTRO NECESSARIO

Tra le tante notifiche che il cellulare mi elenca ogni mattina, poco prima del caffè, la maggior parte delle quali assolutamente superflue, ne trovo una che desta immediata curiosità: mi suggerisce che il professor Andrea Bisicchia ha pubblicato un nuovo post. Leggo subito e, pur se a malincuore, mi compiaccio per aver trovato in un’autorevole firma un validissimo alleato. Come scrissi il 25 aprile scorso (qui l’articolo), anche Bisicchia ha sentito il bisogno di porre l’attenzione (qui l’articolo) sulla quantità di spettacoli proposti in queste ultime stagioni, un numero esorbitante che crea disorientamento a discapito di una qualità coscienziosa e necessaria. Anzi, scrive l’esimio professore, «oggi sui palcoscenici domina l’eccesso che, per forza di cose, produce esemplificazioni, superficialità e confusione». All’abbondanza dei titoli in cartellone, il professor Bisicchia conferisce una dote d’inutilità superflua, un disordine di stili e di intenzioni, a danno di un più succulento gusto del necessario. Wilde sosteneva che, avendo il superfluo, si sarebbe potuto fare a meno del necessario, ma il sommo irlandese pensava a come farsi beffa delle sciocche difficoltà di un mondo reale, non imputando alla finzione del palcoscenico che, invece, «ci permette di esplorare l’umanità», la responsabilità della nostra laboriosa e complicata sopravvivenza.

02 giugno 2025

«Sarabanda», di Ingmar Bergman

Roma, Teatro Argentina
1° giugno 2025

QUANDO L’AMORE NON RIESCE A INTACCARE IL MURO DELL’ODIO

Che cos’è l’amore? Che cos’è l’odio? Ingmar Bergman cerca di dare una risposta scrivendo i dieci dialoghi che compongono la sua ultima sceneggiatura (del 2003), Sarabanda, riprendendo, trent’anni dopo, il filo del discorso interrotto troppo bruscamente tra Marianne e Johan, protagonisti di «Scene da un matrimonio», film per la televisione del 1973 (in Italia trasmesso nel 1978). Il titolo dell’opera si riferisce al quarto movimento della 5ª «Suite per violoncello solo» di Bach. Il termine risale al XVI secolo quando in Spagna s’indicava una particolare danza di origine, pare, orientale che si ballava su un ritmo dapprima allegro e poi sempre più grave. Per estensione il vocabolo oggi indica un susseguirsi disordinato di accadimenti, di particolari scombinati, ma anche una cascata di cose che si accompagnano a un movimento assai chiassoso. Insomma, una gran confusione. Non è un caso che tra le ultime battute di Marianne a Johan, in «Scene da un matrimonio», c’è una domanda che dice: «Credi che viviamo in una totale confusione?». Una frase che diventa per Bergman il seme che dà alla luce Sarabanda, dove sono i sentimenti a creare quel movimento chiassoso che vibra disordinato nell’animo di certe persone legate a rapporti indissolubili.

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