LA GIOIA CONTAGIOSA DI SARA E LA SILENZIOSA DIGNITÀ DI ELIA
Festa grande all’Argentina di Roma per la consegna delle Maschere del teatro 2025. Cinque premi a «Sarabanda», regia di Roberto Andò, tre a «Ho paura torero», regia di Claudio Longhi, ma il premio più importante se lo è aggiudicato il classico dei classici: «Re Lear», diretto e interpretato da Gabriele Lavia. Tuttavia la novità più vistosa riguarda l’assenza dal palcoscenico di Solenghi, presentatore storico dell’evento, che l’altra sera sedeva comodamente in platea. La serata, infatti, è stata guidata da una nuova coppia di conduttori che si sono molto ben spalleggiati: la più professionale Teresa Saponangelo (che a breve, sotto la regia di Luca De Fusco, patron del Premio, sarà Donna Rosa, protagonista di «Sabato, domenica e lunedì»), sobria e precisa, e il giovane Antonio Bannò, capace di alleggerire con scioltezza e simpatia la ripresa Rai, andata in onda a tarda serata. Anzi a tardissima nottata. Ci si chiede, da tempo, per quale motivo gli spazi televisivi che le reti nazionali riservano al teatro di prosa siano sempre più per nottambuli incalliti? Bannò, eccessivamente premuroso, più di una volta è stato costretto a sollecitare gli ospiti, affinché non si dilungassero troppo nelle dichiarazioni di rito, ma alla fine il vero ritardo ai telespettatori è stato imposto proprio da RaiUno.
Premio al Presidente. Per un simile evento è normale che i tempi si dilatino: gli invitati sono tanti, tredici le categorie da premiare, e i riconoscimenti speciali catturano interesse e curiosità; soprattutto quando a consegnarlo è il presidente della giuria, Gianni Letta, il quale ha saputo cucire a braccio un autentico panegirico, puntuale, spiritoso ed elegante, in lode di Tullio Solenghi, ripercorrendone l’intera carriera: dal debutto con Lina Volonghi, al memorabile Trio, fino all’ultima riproposta del teatro di Gilberto Govi. Tra tanti attori, come in un paradosso, Letta è risultato il più sofisticato, consapevole e arguto. Vorrei sapere quando, la giuria che egli presiede gli attribuirà un doveroso riconoscimento: cosicché il Premio del Presidente possa diventare per una volta il Premio al Presidente.
Un po’ di Sudamerica. Tra i premi speciali mi piace menzionare quello consegnato a Claudio Tolcachir, regista argentino della nostra scena, che la scorsa stagione ha diretto Valentina Picello in «Anna Cappelli», monologo scritto da Annibale Ruccello e visto al Teatro India dove a maggio prossimo porterà due spettacoli. Tolcachir è regista di genio immaginativo ma equilibrato e rispettoso del testo. A lui è andato il premio intitolato a Maurizio Scaparro. Da segnalare anche il Premio Agis a Mario Martone.
I premi. Le Maschere, quelle in acciaio a forma di ventaglio conico che affondano nella pietra dell’Etna, sono la riproduzione di un’opera creata da Paolo Gambardella. A Gianni Carluccio ne sono toccate ben due (scenografia e luci per «Sarabanda»). Eppure i premi che hanno suscitato maggiori consensi nel pubblico sono stati quelli vinti da Lino Guanciale e Sara Putignano (rispettivamente protagonista e non protagonista di «Ho paura torero») la quale ha gioito con un sorriso contagioso emozionato e commovente. Entusiasmo anche per Kepler 452 e Fabrizio Gifuni. Molto apprezzato l’invito che Giuliana De Sio (attrice protagonista per «Cose che so essere vere») ha rivolto alle produzioni e alle distribuzioni teatrali: «Gli spettacoli belli, per favore, fateli girare». È la speranza di ogni spettatore che vorrebbe avere maggiori possibilità di non perdere un allestimento che merita e che ha il diritto artistico di restare in cartellone più a lungo. Qui si può leggere l’elenco completo dei vincitori.
Proclami e silenzio. Al di là della festa e del meritato riconoscimento a Elia Schilton (eccellente non protagonista per «Sarabanda»), al termine della premiazione ho chiesto con discrezione all’attore «non un autografo, ma un abbraccio: un abbraccio di pace naturalmente». Capisco che i proclami fatti in televisione coinvolgano un parterre più numeroso di quanti ne contenga una platea teatrale e che quindi possano diventare una spinta alla partecipazione; comprendo bene coloro che, mossi da uno spirito di giustizia (consolatoria più che efficace, lasciatemelo dire), si battano per un ideale protettivo a favore del più debole, della vittima, contro la guerra, contro le uccisioni, contro i genocidi, i massacri e quant’altro l’uomo abbia ideato per identificarsi con il male più scellerato e abietto. Tuttavia siamo in teatro e, secondo il mio modesto parere, occorre rispettare prima di tutto un codice deontologico di palcoscenico: le ripetizioni vanno accuratamente evitate, altrimenti perdono d’effetto. Di fronte ai morti occorre certamente portare rispetto, non c’è dubbio, ma questo rispetto, doveroso che sia, non può e non deve offendere nessuno dei presenti alla festa. Perché la festa è di tutti. I vari proclami degli attori a favore della Palestina si sono ripetuti (due, tre, quattro, forse cinque volte) in palcoscenico, seguiti ogni volta dagli immancabili applausi del pubblico, senza tener conto del dolore muto e dignitoso di un collega probabilmente mortificato, rimasto improvvisamente solo, abbandonato dal coro di cui un attimo prima faceva parte e messo nell’angolo dei colpevoli. Il gesto delle mani con cui si è coperto il viso durante il tripudio della platea ha sancito una separazione tanto ingiusta quanto irrazionale; il silenzio dignitoso e composto con cui egli ha lottato contro la propria angoscia è stata la più alta ed educata risposta agli innumerevoli appelli suggeriti dal flusso temporaneo delle coscienze giustizialiste. Detestatemi pure adesso: l’altra sera io ero con Elia Schilton, nascosto nel suo silenzio a imparare che cosa vuol dire schierarsi ciecamente e cosa produce l’effetto di una guerra lontana: il senso dimenticato dell’unità e della pace, ossia il senso sano del teatro. (fn)
Le maschere del teatro italiano 2025, XXII edizione. Una serata trasmessa in differita su RaiUno e condotta da Teresa Saponangelo e da Antonio Bannò. Al teatro Argentina
Foto: Il premio consegnato a Elia Schilton, miglior attore non protagonista (© ???)
