26 ottobre 2025

«Eigengrau», di Penelope Skinner (regia, F. Le Pera)

«Eigengrau», di Penelope Skinner, regia di F. Le Pera

Roma, Teatro Belli
25 ottobre 2025

QUEL GRIGIORE CHE SI ADAGIA SULLA FIDUCIA DELLA GIOVENTÙ

Eigengrau è il colore delle nuove generazioni, che meglio s’intona al loro modo di esprimersi, di divertirsi, di colorare le loro emozioni. In tedesco significa «grigio proprio», ed è una tonalità appena più chiara dell’oscurità, quella nella quale vivono tanti ragazzi. Penelope Skinner (mi è già capitato di vedere l’allestimento di qualche suo lavoro) è autrice inglese molto attenta ai giovani: non ha ancora 50 anni, ma osserva con occhio scrupoloso l’esistenza e il modus vivendi di chi è cresciuto dopo di lei. In «Eigengrau» presenta quattro personaggi: Mark, Chessie, Rose e Tom, due uomini e due donne. Ognuno rappresenta un differente carattere, ognuno si porta dentro qualche silenzioso trauma infantile, ognuno espone timidamente le proprie paure. Il risultato è che, quando si trovano uno di fronte all’altro, ciascuno pensa alla propria difesa, ma nessuno sa come condurre il gioco. E quando accade che bisogna sferrare un attacco per cominciare una relazione, amichevole o amorosa, non esiste altra possibilità che il disastro.

Sarebbe facile tirare in ballo la difficoltà di comunicazione. Tra i quattro non si tratta soltanto di problemi di incomunicabilità, piuttosto di grigia fiducia in se stessi. E la più apprezzabile nota alla regia di Federico Le Pera è aver individuato nel cellulare, quell’oggetto tanto caro e indispensabile ai nostri ragazzi, l’elemento più superfluo a questo dramma della gioventù. Infatti, il telefono portatile in scena non appare mai, ma la parola sbagliata, il modo aggressivo di esprimersi, il gesto spropositato e il silenzio che omette sono e restano i segnali più evidenti di una felicità mancata avvolta nell’oscurità.

Tra i vari caratteri mi piace segnalare per prima quello di Cassie (interpretata dalla bravissima Silvia D’Anastasio), una femminista agguerrita che rischia di vivere in solitudine gli anni più belli della sua giovinezza, soltanto per portare avanti un ideale radicale contro il patriarcato: un’ossessione che la allontana non solo dal genere maschile, ma la rende sterile a ogni tipo di rapporto, fino al momento in cui qualcosa, per fortuna, cambia. Tenerissimo anche il Tom di Luca Massaro che adatta perfettamente il suo fisico e la sua parlata nebulosa al problematico ragazzo che non riesce a liberarsi del rimpianto dell’infanzia trascorsa sotto l’ala protettiva della nonna. Ottima Veronica Stradella nel ruolo di Rose che confonde la genuinità del suo animo romantico con l’esuberanza delle pulsioni sessuali. Anche se non sembra palese, è Lorenzo Terenzi a tenere le fila e gli equilibri della commedia: il suo Mark, infatti, benché abbia il carattere meno definito e maggiormente ambiguo, è l’unico a far trasparire la solidità dei suoi propositi: ma è soltanto apparenza che trova concretezza in un labile refrain pubblicitario.

La scena, che è la migliore trovata registica, è rappresentata da una grande lavagna posta sul fondo, esattamente color eigengrau, sulla quale vengono disegnati gli oggetti di cui c’è bisogno. Sul palco, in effetti, c’è solo un tavolino con due sedie e quando Mark offre da bere a Cassie, invece di prendere i bicchieri, li disegna. Terminato l’incontro, mano al cancellino e il servizio bar è sparito. Quando Rose (e non solo lei) si appresta a uscire dalla stanza, passa davanti allo specchio che ancora non c’è, ma basta un cerchio col gessetto bianco e un’ombreggiatura nel centro e il riflesso è soddisfacente. Quando Tom prepara il caffè, due tazze fumanti sono pronte in un attimo. Qualcuno ricorderà la pubblicità di una famosa pentola a pressione dove la Linea chiedeva al suo autore, provvisto di veloce matita, gli oggetti che gli occorrevano per proseguire il suo itinerario, ossia la sua vita che si svolgeva proprio su una lavagna. Non so se Le Pera (troppo giovane, in verità, per aver rispolverato la memoria dell’antico Carosello) abbia trovato ispirazione nel personaggio di Osvaldo Cavandoli, ma certamente questa soluzione – ribadisco, registica più che scenografica – è la cifra stilistica dello spettacolo, composta da fantasia, ironia giocosa e teatrale originalità.

L’eccessivo uso del buio, invece, è il punto debole della regia. In un contesto così delicato cromaticamente, dove il grigio del titolo diventa il colore dell’oscurità, anche lo spegnimento delle luci acquista un segnale drammaturgico. E se il buio improvviso funziona bene all’interno di una situazione continua, quand’è ripetuto in chiusura di scena, per chiudere un quadro e aprirne un altro, diventa un meccanismo obsoleto che toglie valore al gustoso lavoro di una pregevole compagnia. (fn)
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Eigengrau, di Penelope Skinner, traduzione Marco M. Casazza. Regia, Federico Le Pera. Con Lorenzo Terenzi (Mark), Luca Massaro (Tom), Silvia D’Anastasio (Cassie), Veronica Stradella (Rose). Costumi, Valentina Basiliana. Produzione, Società per Attori. Al teatro Belli, oggi ultima replica

Foto: Lorenzo Terenzi e Silvia D’Anastasio (© Pino Le Pera)

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