UN INELUTTABILE NAUFRAGIO D’AMORE
Nella costruzione della mia intima «biblioteca interna» (rubo l’espressione a Peter Stein), cominciata in maniera del tutto involontaria sin dall’infanzia, alcune opere teatrali hanno col tempo acquisito senso e valore molto più di altre: e non sto ora a spiegare né il per come né il perché. Tra queste ci sono «Natale in casa Cupiello» e «Il giardino dei ciliegi»; e quando ho approfondito lo studio su Cechov, immediatamente mi sono reso conto di quanto Eduardo fosse il più cechoviano dei drammaturghi nostrani e quanto Cechov fosse il più napoletano degli scrittori russi. Le indagini sulla famiglia che i due hanno saputo portare in palcoscenico hanno molti punti in comune. Anche Ibsen e Pirandello, per citare altri nomi eccelsi, hanno analizzato i rapporti familiari, ma il loro modo di accostarsi all’argomento è meno viscerale, oserei dire meno napoletano. Tra russi e partenopei – e non sono io a scoprirlo – ci sono molte affinità emotive e dopo aver visto, con gli occhi velati di lacrime, questo straordinario testo di Andrew Bovell sarei tentato di accostare al binomio, che ormai mi appartiene, anche gli australiani. Ma forse è solo un azzardo dovuto all’emozione della prima ora.
Tuttavia, in Cose che so essere vere m’è sembrato, e più di una volta, di ritrovare sia i rapporti simbiotici di Luca Cupiello con la moglie Concetta, sia le atmosfere drammatiche e ineluttabili della famiglia di Ljubov Andreevna. Nella villetta di Hallet Cove, periferia di Adelaide, nel sud dell’Australia, dove si svolge la vicenda, il giardino non manca: non ci sono i ciliegi, ma tra quelle piante, dove una volta si sentiva l’odore pieno di vitalità, ora non restano che fantasmi di un’allegria evaporata, ed è più facile, invece, riscontrarci la fatuità dei pastori del presepe di Luca Cupiello. Quel giardino, dice infatti Fran, «è una scusa per evitare di vivere».
Per ovvie questioni di epoca, più che di latitudine, Bovell sceglie argomentazioni più attuali, assai distanti da quelle care a Eduardo e preferite da Cechov, per far perdere l’equilibrio affettuoso e premuroso, apparentemente disinvolto e benigno di una famiglia borghese che all’improvviso collassa su se stessa, sgretolandosi un pezzo alla volta, prima che le verdi foglie del giardino abbiano il tempo di ingiallire. Una mamma, Fran (Giuliana De Sio, mai vista così brava), che ha dedicato la vita a crescere i figli (ne ha quattro), cercando di avere pronta la soluzione a qualunque problema, sempre troppo presente ed eccessivamente solerte, continua a non mutare atteggiamento nei confronti di chi ora ha a che fare con le difficoltà della vita, con le scoperte e le amarezze che questa riserva. L’autore racconta il dramma attraverso gli occhi della più giovane e la meno coinvolta, Rosie (Giordana Faggiano), la quale, di ritorno da un viaggio in Europa, si ritrova suo malgrado di fronte alla famiglia «scoppiata». I suoi fratelli, che ormai vivono tutti fuori casa, portano tra le mura avite le loro esperienze, le proprie delusioni, cosicché ciascuno mette a dura prova la stabilità di quei valori con i quali è stato educato. Ma il presepe, come insegna Luca Cupiello, è fatto di cartapesta e ogni colpo provoca uno squarcio irreparabile.
A contemplare lo sfacelo casalingo è l’apatia coatta di Bob (straordinario Valerio Binasco in una trasformazione che conferma le sue eccellenti doti), marito in pensione, dedito alla cura del giardino, incapace finanche di preparare un caffè, perché in casa ha pensato sempre la moglie a far ogni cosa, anche e soprattutto a parlare, a decidere e talvolta a sbagliare, sì, se lei stessa ammette, in un momento di distrazione, che il marito avrebbe dovuto essere più duro con lei. Il protagonista costruisce un personaggio, che spesso trova le espressioni migliori nella mimica, il quale sposa perfettamente il carattere esuberante della moglie: lei, tipica matriarca del sud (evidentemente anche l’Australia soffre dell’egemonia delle mamme meridionali!), egocentrica e onnipresente, che tutto sa fare e a tutto pensa e provvede; lui, costantemente in disparte, spesso inascoltato, prende parola soltanto in poche occasioni, tirando fuori tutte le sue insicurezze, frutto di un accumulo di rinunce.
Foto: Fabrizio Costella, Giordana Faggiano, Valerio Binasco e Giuliana De Sio (© Virginia Mingolla)